Il ricordo. Dalla Torre, un'autonomia invisa al regime
Giuseppe Dalla Torre di Sanguineto, di cui oggi ricorre il cinquantesimo anniversario della morte, è stata una delle figure più importanti nella storia del cattolicesimo italiano nel Novecento. Nominato nel 1912 da Pio X presidente dell’Unione popolare, allora la più importante organizzazione del laicato cattolico, guidò i cattolici italiani nella transizione dall’Opera dei Congressi al Partito popolare. Gabriele De Rosa ha scritto che la sua opera favorì la nascita del Ppi ma, secondo Sturzo, Dalla Torre guardò con preoccupazione la fondazione del Partito popolare «perché temeva che esso portasse via i quadri dell’Azione cattolica». Il suo nome è legato soprattutto all’“Osservatore Romano”, di cui fu direttore per quarant’anni, dal 1920 al 1960, in due stagioni cruciali: quella dei complessi rapporti tra Chiesa e fascismo e quella dei cattolici alla guida politica del Paese. Diresse l’organo “ufficioso” della Santa Sede sotto quattro pontificati molto diversi tra loro – quelli di Benedetto XV, Pio XI, Pio XII e Giovanni XXIII – con grande capacità giornalistica e con notevole vigore. Seppure con prudenza e abilità, portò l’“Osservatore Romano” a prendere posizione chiare su questioni rilevanti.
Nello scontro tra Azione cattolica e regime, nel 1931, la sua difesa dell’autonomia delle organizzazioni cattoliche lo portò vicino all’arresto da parte dalla polizia fascista. Non si entusiasmò per la Spagna franchista e fu contrario all’alleanza italo-tedesca. In Italia e all’estero il suo “Osservatore Romano” si guadagnò la fama di voce non allineata con il regime. Benché sia stato un fedele servitore della Santa Sede e dei pontefici, Dalla Torre non rinunciò ad esprimere posizioni personali. I documenti fascisti parlano di ripetuti interventi sia di Pio XI sia di Pio XII per fargli moderare la linea dell’“Osservatore Romano” (ma probabilmente Montini gli fu vicino in alcune scelte importanti). Divenne perciò uno dei bersagli preferiti dei fascisti e dei loro organi più aggressivi, come “Il regime fascista” di Farinacci, irritato soprattutto per le contestazioni dell’“Osservatore” alle tesi antisemite che iniziarono a circolare sempre più diffusamente in Italia dopo il 1938. Ma paradossalmente questi attacchi finirono per favorirlo: sostituirlo avrebbe significato che la Santa Sede cedeva alle pressioni fasciste. Dalla Torre chiamò a collaborare all’“Osservatore Romano” figure indipendenti come Guido Gonella, al quale affidò, nel 1933, la rubrica Acta diurna e affidò all’ex segretario del Ppi, Alcide De Gasperi, una rubrica di politica internazionale nell’“Illustrazione vaticana”. Nel novembre 1942 firmò un memorandum sulle forze antifasciste italiane per il dipartimento di Stato degli Stati Uniti redatto in realtà da De Gasperi.
Nei duri mesi dell’occupazione nazista difese l’autonomia del quotidiano vaticano, mentre cercava di proteggere antifascisti, ebrei, perseguitati politici. Malgrado la vicinanza agli ex popolari e il comune sentimento antifascista, tuttavia, Dalla Torre rimase anzitutto uomo dell’Azione Cattolica e non si identificò mai pienamente con gli ex esponenti del Ppi che nel dopoguerra fondarono la Democrazia Cristiana. Nel 1945, rivendicando i meriti cattolici nell’opposizione al regime scrisse che «tra l’Azione Cattolica e il fascismo ci fu sempre un’irriducibile incompatibilità di carattere. Nel campo morale come in quello politico». De Gasperi, viceversa, parlò allora di «spettacolo miserando» offerto da tanti cattolici con il loro atteggiamento complice nei confronti del regime. E commentò così il giudizio di Dalla Torre: «Ammiro la sua generosità ma non la ritengo utile. Il massimo che si può fare è rinunciare al vanto di aver conservato il seme [della libertà] noi stessi, ma attribuire il merito proprio a chi ne lasciò soffocare persino il germe, sarebbe come collaudare il metodo seguito e raccomandarlo per ulteriori esperimenti».