Jazzista di formazione iniziò a suonare il clarinetto a 13 anni. La sua produzione musicale, in mezzo secolo di attività artistica, ha attraversato numerose fasi, dalla stagione beat alla canzone d’autore, dalla lirica alla melodia. Innumerevoli i suoi brani di successo: «4 Marzo 1943», «Caruso», «Piazza grande», «Come è profondo il mare», «Futura»... Personalità eclettica e profonda ha sempre confessato la sua fede cristiana, ha musicato i salmi, ha cantato davanti a due Papi: Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. È morto improvvisamente a 69 anni il primo marzo 2012. L’ intervista risale al 14 dicembre 2008.
C’è un brano del suo lunghissimo repertorio di canzoni che s’intitola «Inri». Cos’è, una preghiera?«Sì, una preghiera a Gesù, il quale conosce anche le tentazioni. È Dio e uomo. La sua grandezza è l’avere scelto la situazione più lontana dal suo essere Dio, condividendo con un atto di generosità estrema la più comune sorte umana, quale è la morte».
Con in più l’essersi fatto povero!«Questo è fondamentale. Gesù non è amico dei potenti, perché la vera potenza sta in Dio, non nei re della terra. E poi si applica anche a lui la logica degli opposti: il più grande si fa il più piccolo».
C’è un verso di «Inri» che dice: «Tu esisti e splendi, con quel viso da ragazzo, con la barba senza età»!«Sì, è un verso molto bello. In fondo è ciò che troviamo nelle immagini di Gesù, dalle più alle meno artistiche. La sua presenza è continua nell’universo, è dovunque; altrimenti come spiegare il fatto che anche un delinquente può intuire l’identità di Gesù, pur comportandosi in maniera diametralmente opposta al suo insegnamento! È talmente grande, la figura di Gesù, che riesce ad atterrare in qualsiasi coscienza, facendo saltare le difese più resistenti».
Con lui riesce a dialogare?«Certamente. Non è un merito, è una necessità! Sostanzialmente passo con Gesù due o tre ore al giorno: quando sono solo, ma anche quando compongo canzoni, quando sono felice. Lo ringrazio per tutte le cose che mi capitano e dedico a lui i pochi momenti di sofferenza e d’inquietudine che ho; li considero benedetti perché mi vengono da lui. Delle cose certe, la più certa per me è credere in Gesù».
Nella canzone «La mela» parla del paradiso terrestre? Come se lo immagina?«Il mondo è un regalo di Dio, anche con i suoi contrari. Mi colpì Giovanni Paolo II quando, a proposito del Novecento, disse: "Abbiamo superato un secolo tra i più tremendi della storia, che ha visto guerre, nazismo, comunismo". Con quell’ "abbiamo superato" Wojtyla voleva dire che il bene alla fine ha trionfato sul male. Io sono convinto che nella dinamica del bene entra sempre il male, ma dipende dall’uomo far trionfare il bene. La vittoria sul male è la più grande conquista che l’uomo possa ottenere. Quando l’uomo raggiunge i pianeti ottiene una conquista scientifica importante, ma più grande è essere capace di entrare in se stesso, perché qui trova il paradiso terrestre, vero regalo di Dio!».
Dei guasti prodotti dall’uomo, quale la preoccupa di più?«Il fondamentalismo. Vorrei che l’uomo scoprisse che attraverso la tolleranza, il dialogo, il confronto, i problemi si possono risolvere, o per lo meno si possono discutere, soprattutto tra religioni. Io sono cristiano ma non disprezzo chi crede diversamente da me, semmai mi incuriosisce. Penso che a dividere il mondo nelle sue prospettive sia soprattutto il credere e il non credere».
È praticante?«Assolutamente sì. Non salto una messa la domenica, anche se mi riesce faticoso per la vita che conduco: un giorno qui, un giorno lì! Quando sono stato in Irlanda andavo in chiesa tutte le domeniche senza curarmi se la chiesa fosse cattolica o protestante. Per me si tratta di un atto dovuto, è il minimo che possiamo fare a motivo della ragione per cui viviamo».
C’è un verso del suo album che dice: «L’eternità è solo un respiro, non un rumore». Che cosa vuol dire?«Ho sempre ritenuto che il respiro sia più forte del tuono, per cui parlando di eternità mi è venuto in mente di identificarla in un respiro, piuttosto che nel rumore assordante del mondo».
Una volta ad ascoltarla c’era Giovanni Paolo II. Che ricordi ha di quell’incontro che si tenne a Bologna per il Congresso eucaristico nazionale?«Quell’evento rimane uno dei più grandi momenti della mia vita. Cantai "Enna", la canzone che si riferiva alla guerra civile in Bosnia, dove un soldato diceva: "Adesso basta sangue, è il dolore che ci farà crescere. Chi ci aiuta è l’amore". Tutte le volte che la canto dico a chi mi ascolta che la dedicai a papa Wojtyla».
E poi ha cantato più volte ad Assisi!«Sì, dentro la chiesa di San Francesco, nella piazza accanto, in cattedrale. Per me Assisi è un punto di riferimento. L’ultima volta che ho fatto un concerto ho dormito nel Sacro convento e un frate mi è venuto a svegliare alle 6 del mattino per partecipare alla prima messa in basilica».
Si ritiene un frate mancato?«Oggi faccio un’altra cosa, ma nell’altra vita saremo tutti di Dio».