Anniversario. Dalla dieci anni dopo, Lucio è un angelo
Dieci anni moriva il cantautore bolognese Lucio Dalla, nato il 4 marzo 1943
Come ogni anno, nella basilica di San Domenica a Bologna, anche stamattina alle 10 gli amici di Dalla si riuniranno in preghiera. Molti di loro fino al 2012 in quella chiesa retta dai padri domenicani ci erano andati chissà quante volte con Lucio che lì, in quel luogo eletto e prediletto, amava portare le persone più care per condividere ciò che lui per primo percepiva. Oggi si commemora il decennale del “senza Lucio” e il suo storico factotum e padre putativo Umberto “Tobia” Righi nei giorni scorsi ha personalmente invitato alla Santa Messa gli amici. A celebrare, padre Bernardo Boschi, l’officiante delle esequie in San Petronio, che con Dalla ha vissuto decenni di amicizia e confidenze senza mai riuscire però a realizzare il sogno di Lucio: andare insieme in Terra Santa. Ma lì in San Domenico sono stati in tanti, se non tutti, a condividere la incessante compagnia del “cantautore di Dio”, come lo definirono i frati di Assisi quando quel primo marzo del 2012 dettero la notizia della morte di Dalla avvenuta a Montreux durante un tour europeo. Tra i “padri” di Lucio, spiccava il filosofo Giuseppe Barzaghi, che il cardinale Giacomo Biffi, predecessore dell’arcivescovo Matteo Zuppi, volle nel 2004 direttore della Scuola di Anagogia da lui fondata nel 1998.
Padre Barzaghi, come e quando conobbe Dalla?
Lucio era di casa in basilica e lo vedevo spesso, anche alla Messa che celebravo la domenica alle 22. Un giorno ricevetti una sua telefonata e un invito a pranzo: “Padre Giuseppe, ho bisogno di parlarle”, mi disse perentorio. Aveva bisogno di confrontarsi con me su questioni di fede, ma il primo incontro non andò proprio in quel verso.
Perché, cosa successe?
Diciamo che fu un approccio molto divertente, fin dalle istruzioni che mi dette: citofonare Domenico Sputo. Mi ha poi spiegato il perché di quello “pseudonimo”. Da bambino veniva a giocare in piazza San Domenico e la gara con gli amici consisteva nel colpire i piccioni sputando. Lui era il più bravo, per questo veniva chiamato Domenico (perché era piazza San Domenico) e Sputo. Ricordo che quel giorno a pranzo c’era anche Andrea Bocelli che lo sfidò ad acuti. A un certo punto Lucio emette una nota pazzesca, sopra il do di petto e sentenzia: “Questo qui è un mi sovracuto”. Va al piano e suona il mi, ma si era sbagliato per eccesso. Una delle sue meravigliose bugie. A tavola c’erano anche “Tobia” e Mauro Malavasi. Fu bellissimo, ma niente filosofia quel giorno. Ero però diventato un altro domenicano amico di Lucio.
Chi erano gli altri?
Chi seguiva molto Lucio era padre Angelico Menetti, il suo confessore. Poi padre Mariano Pilastro, assistente spirituale degli scout che aveva avuto Lucio tra i lupetti. Ce lo aveva mandato sua mamma, la signore Iole, assidua frequentatrice della basilica. Veniva a pregare in una cappellina e lì poi ci andava sempre anche Lucio. Ricordo che spesso lo vedevo arrivare in chiesa con padre Mariano e, per non disturbare la funzione, andava a sedersi nel coro, a lato dell’altare. Una volta tornavo dall’Università Cattolica di Milano, dove insegnavo, entro in basilica e vedo nel chiostro una troupe e Lucio con un paltò e un colbacco in testa. Mi avvicino e gli chiedo cosa stesse combinando. “Sto recitando Cechov”... Un altro grande amico di Dalla, oltre al biblista Bernardo Boschi, era stato padre Michele Casali, morto nel 2004. Sua madre, spagnola, era un soprano e lui da giovane aveva fatto l’impresario teatrale. La famosa Osteria delle Dame, dove si incontravano Dalla, Guccini, Lolli ecc., l’aveva fondata lui.
Ma veniamo alle vostre conversazione più alte.
Un giorno mi disse di una sua canzone, Henna, incentrata sul tema della sofferenza. Io parlavo spesso nelle mie omelie della compassione e del dolore. Nella visione cristiana tutte le cose sono concentrate in Cristo, nella sua sofferenza di gloria. Lucio era affascinato dal tema. E in Henna c’è proprio questa verità cristiana, laddove canta che è il dolore che ci cambierà e ci salverà.
Quel disco del ’93 era stato per Dalla cruciale, ci teneva tantissimo...
Sì, un giorno mi confessò che lo aveva colpito molto una mia omelia sulla compassione universale, sul cristocentrismo cosmico, per cui tutta la sofferenza ha una dimensione di gloria. Lucio era con- vinto di questo, così aveva interpretato in quest’ottica la tragedia della guerra dei Balcani, a cui si riferisce proprio Henna. Diceva che bisogna, parole sue, “abbracciare lo spettacolo degli avvenimenti, prima ancora di cercare le motivazioni di quello che è successo”. Beh, questa qui è autentica contemplazione. Nei discorsi che facevamo era sempre molto profondo. E se si mette insieme la profondità con la leggerezza che esprimeva, ecco che hai la sua straordinaria simpatia. È per questo che anche nella musica riusciva a essere nel contempo alto e popolare.
Com’era la fede di Dalla?
Profonda. Una volta mi chiamò al telefono e mi disse che dovevo assolutamente battezzare al più presto il figlio di un marinaio che aveva conosciuto. Voleva che il bambino avesse un segno sacramentale, un riconoscimento cristiano. Ma io non potevo battezzarlo, gli dissi che si doveva andare in una parrocchia. Ecco, quella grande preoccupazione significava che la sua fede era forte, radicata.
Perché cantava spesso gli angeli?
In Lucio c’era una specie di scommessa sul dualismo cielo e terra, su una presenza angelica che potesse risolvere i problemi della terra. Questo potrebbe far pensare che avvertisse una sorta di dubbio. Invece era la speranza di togliersi da questa condizione tra cielo e terra.