Nessuno attraversa la strada senza guardare. E nessuno si lancerebbe da un aereo senza sapere come maneggiare il paracadute. Nessuno entrerebbe in un bar urlando a squarciagola la prima cosa che gli passa per la mente e solo un incosciente arrivando in una grande città si avventurerebbe alla cieca in certi posti pericolosi che sarebbe meglio evitare. «Eppure sconcerta la disinvoltura con cui la maggior parte dei ragazzi – e non solo loro – naviga in internet, usa smartphone, apre profili facebook, scarica app e passa da un social network all’altro scambiando con spensieratezza informazioni, battute, scherzi, foto di ogni genere e video. Immaginando la Rete come un universo etereo dove le cose magicamente appaiono e scompaiono per sempre semplicemente schiacciando un tasto e in cui protetti dallo schermo si può spaziare liberamente senza problemi. Un’ingenuità. In realtà il web è un mondo chiuso, dove si incontrano ostacoli e trabocchetti, un mondo pieno di regole di comportamento che bisognerebbe imparare così come si impara a stare nel mondo reale. Senza mai dimenticare che si è dentro uno spazio in cui tutto viene archiviato, controllato, processato e niente muore mai. Un graffito sul muro si cancella con un colpo di vernice, sul web non c’è vernice che tenga. È per sempre. Perciò ogni manovra fatta alla leggera espone a rischi e pericoli che bisogna conoscere per starne alla larga». Teo Benedetti la Rete la frequenta fin da quando sono nati chat e blog. Di questa passione ha fatto una professione, quella di social media manager, figura che corrisponde al responsabile della comunicazione aziendale attraverso i social network. La seconda vita di Teo Benedetti, che per altro corre parallela alla prima, è invece densa di scrittura e di libri per ragazzi. Con Davide Morosinotto – anche lui parte del gruppo di autori autodefinito degli Immergenti – Teo Benedetti firma un vademecum per l’uso dei social intitolato
Cyberbulli al tappeto (Editoriale Scienza, pagine 96, euro 13,90), un manuale che spiega le strategie e le tecniche di autodifesa nell’uso dei social network, affronta le zone d’ombra della vita digitale, racconta le trappole in cui si può cadere e i rischi che si corrono a parlare troppo di sé o a mettere in piazza gli affari altrui, magari solo per ridere un po’. Non per spaventare ma per incoraggiare un uso consapevole e anche più ricco della Rete. «Abbiamo messo nelle mani dei ragazzi – spiega – macchine lanciate a gran velocità ma chi ha spiegato loro che la prima regola per muoversi in sicurezza nel- la Rete è darsi delle regole pratiche, chiare e rigide? Limiti da non oltrepassare, perché esagerare è fin troppo facile. Chi mostra loro quali e quanti muri si possono alzare per bloccare, isolare e anche allontanare da un social un prepotente o un molestatore? Spesso i più non conoscono neppure la differenza tra social privati e pubblici. È divertente fare una foto un po’ scema a un amico, è bello riderci su per scherzo ma se quella foto viene condivisa con settecento persone e tutte iniziano a prendere in giro il malcapitato, la cosa non è più tanto divertente. I ragazzi sanno che hanno ceduto a quel social network tutti i diritti di quella foto, e che potrebbero vederla utilizzata in altri contesti? Sanno che cosa sottoscrivono quando accettano le condizioni di uso, previste per iscriversi a un social o per scaricare una app?». Belle domande, soltanto alcune delle tante che ruotano attorno al delicato tema della privacy e conducono dritte al capitolo del cyberbullismo, un fenomeno preoccupante in crescita. Prendere in giro un compagno a tu per tu può essere uno scherzo innocente e divertente ma metterlo in ridicolo a sua insaputa sui social, denigrarlo o far girare ripetutamente voci e pettegolezzi sul suo conto sono veri e propri atti di cyberbullismo. A cui si può contribuire anche indirettamente, stando al gioco come fa il branco, ridendo delle battute, tacendo davanti ai messaggi offensivi. «Sapere come funziona il web e cosa c’è dietro il mondo dei social – continua Benedetti – dare un nome alla cose che succedono, sono il primo livello di consapevolezza e di autodifesa. La comunicazione digitale non ha tono. Dietro le righe di una chat o di un commento su facebook è difficile sapere se uno sta ridendo o è disperato, se è sereno o molto solo. È facile essere fraintesi, non capire lo scherzo o diventare bersaglio di attacchi violenti. Il linguaggio social è estremamente veloce e sintetico e conta su un’attenzione di pochi secondi. È un terreno che moltiplica il potere dei cyberbulli ». Tutto può nascere per una battuta stupida su whatsapp, da una bravata o da un vero e proprio attacco ma il potenziamento della Rete può essere devastante. «Un prepotente l’abbiamo conosciuto tutti nella vita – racconta Teo Benedetti – ricordo bene alle medie come giravo alla larga dalla classe del bullo della scuola, il mio terrore era incrociarlo da solo nel corridoio o all’angolo della strada. La tecnologia cambia tutto. Le informazioni sono facili da trovare e diffondere e le prepotenze si gonfiano e si moltiplicano in un istante. Il bullo tradizionale vive in uno spazio fisico mentre il cyberbullo si stacca dal tempo e dal luogo, può colpire sempre, attaccare in ogni momento; se conosce il mio indirizzo mail può tempestarmi di messaggi, mi può trovare su facebook, arrivare nelle chat e nei gruppi che frequento. Si diverte, si sente invisibile e invincibile. Ma non è così e noi lo dimostriamo». È tempo di allenarsi all’autodifesa e di passare al contrattacco. Spesso i cyberbulli colti sul fatto scoppiano a piangere.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Il fenomeno Sorprende la disinvoltura con cui i ragazzi navigano su internet senza alcun filtro, diventando facili prede di attacchi violenti In libreria un vademecum sul buon uso dei social che spiega le strategie di autodifesa Benedetti: «Casi in preoccupante crescita. Chi mostra ai giovanissimi quali muri si possono alzare per bloccare un molestatore?»