Geotermia. Islanda, nuova energia perforando il cuore caldo della terra
Islanda, la centrale geotermica di Reykjanes
Entro la fine dell’anno una perforazione in atto nel sudovest dell’Islanda raggiungerà il cuore di un vulcano, là dove le rocce iniziano a fondersi per diventare magma. La perforazione arriverà a una profondità di 5.000 metri sotto la superficie terrestre, dove le temperature raggiungono i 500°. Il fine di questo lavoro è di catturare vapore ad altissima temperatura e portarlo in superficie per produrre energia elettrica. «La nostra speranza è quella di aprire una nuova strada nell’industria geotermica a livello mondiale, così da poter avere una sempre maggiore quantità di energia che non derivi da quella dei combustibili fossili», ha spiegato Asgeir Margeirsson, responsabile dei lavori di un comitato a cui collaborano scienziati, industrie e il governo islandese. La perforazione in atto si trova nella Penisola Reykjanes, dove esiste un vulcano che eruttò circa 700 anni fa. Lì un gigantesco pozzo da perforazione si staglia sopra un mare di lave nerastre, dove gruppi di ricercatori e tecnici si danno il turno 24 ore su 24 dallo scorso mese di agosto.
Gudmundur Fridleifsson della compagnia islandese per l’energia HS Orka e capo geologo del progetto, studia le rocce che vengono estratte dal pozzo: «Non vogliamo in alcun modo arrivare direttamente nel magma, in quanto il nostro obiettivo è di arrivare alle rocce, molto calde, che lo sovrastano». Da alcuni anni a questa parte l’Islanda sta facendo enormi sforzi per essere sempre meno dipendente dai combustibili fossili e a ben ragione visto che il Paese è nato e cresciuto su una immensa catena di vulcani, gli stessi vulcani che a nord e a sud dell’isola continuano in pieno oceano a formare la dorsale Medioatlantica, la lunga frattura che divide in due parti l’Oceano Atlantico con a est la zolla euroasiatica e a ovest quella americana. Sotto l’Islanda, tra l’altro, vi è anche un 'punto caldo' della Terra dove del magma sale direttamente dalle profondità del mantello terrestre. Tutto questo fa sì che l’Islanda risulti essere uno dei Paesi più ricchi di vulcani al mondo.
«Da tanto tempo perforiamo la crosta terrestre fino a 2 o 3 chilometri di profondità alla ricerca di vapore per produrre energia elettrica. Ora vogliamo vedere se le risorse di calore sono più interessanti se catturate a profondità maggiori», ha spiegato Margeirsson. Quando la perforazione arriverà a 5 chilometri di profondità il gruppo di ricerca si aspetta di trovare un misto di rocce fuse e acqua. Ma con quelle temperature così elevate e con l’immensa pressione che si sviluppa là sotto, l’acqua si trova in uno stato chiamato 'vapore supercritico'. Una condizione che fa sì che non sia né liquida né gas, ma in uno stato che trattiene al suo interno molta più energia che in entrambe le situazioni. Ed è proprio il 'vapore supercritico' con l’immensa energia contenuta all’interno che è circa 10 volte superiore a quella contenuta nei vapori dei pozzi geotermici convenzionali, che i ricercatori vogliono portare in superficie per trasformarlo in energia elettrica. «Se il sistema dimostra che lavora come abbiamo previsto, in futuro avremo bisogno di un minor numero di pozzi e questo significa un minor impatto ambientale e una maggiore quantità di energia», sottolinea Margeisson.
Ma non c’è proprio alcun timore nell’andare a scalfire la camera magmatica di un vulcano? Va ricordato infatti, che nel 2009 in una prova di perforazione più o meno simile si arrivò involontariamente a perforare un serbatoio di magma. Si ebbe una risalita di materiale caldissimo che distrusse completamente il pozzo di perforazione. Secondo i geologi che seguono la nuova perforazione il rischio che si possa ripetere un simile incidente è bassissimo, perché prima di perforare il pozzo è stato realizzato uno studio di grande dettaglio di quel che avrebbe incontrato il perforatore e al momento tutto procede come dai piani dei geologi. La geotermia è una forma di produzione di sfruttamento dell’energia che in Italia potrebbe trovare importanti applicazioni. Fu proprio nel nostro Paese, infatti, a Larderello, che si fecero i primi impianti geotermici. Negli ultimi anni però vi sono state numerose prese di posizioni nei confronti di alcuni campi geotermici, come quello dell’Amiata. Vari comitati, infatti, hanno raccolto prove di variazioni importanti delle falde acquifere locali e soprattutto un aumento pericoloso di arsenico, mercurio e ammoniaca nell’aria e di una produzione di anidride carbonica che sembrerebbe superiore a quella prodotta dai combustibili fossili per produrre la medesima quantità di energia.
Ma allora quanto potrebbe essere sfruttata l’energia geotermica in Italia? «Lo sfruttamento dell’energia geotermica deve tenere conto di tutti gli aspetti che essa implica», spiega Adele Manzella, dell’istituto di Geoscienze e Georisorse del Cnr-Igg, la quale prosegue: «Sarebbe errato sostenere che realizzare un pozzo fino a 3 o più chilometri di profondità senza particolari controlli non ha alcun impatto sull’ambiente, tuttavia per evitare che ciò avvenga esistono le tecnologie e le leggi adatte. Il motivo che fa sì che la geotermia in Italia non abbia avuto lo sviluppo che avrebbe dovuto avere è spesso da ricercare nelle motivazioni sociali. All’Amiata per esempio, è stata quasi imposta, mentre a Larderello è nata con l’industria e quindi è stata accettata». Ma in Italia è meglio estrarre acqua calda per riscaldamento (detta a bassa entalpia) o per produrre energia elettrica? «Senza dubbio il primo tipo di sfruttamento può essere fatto su una vasta area del territorio ed è un peccato che ci sia una lentezza enorme nello sviluppo di questa tecnologia, ma ciò non toglie che si debba dare espansione anche alla seconda forma di geotermia. Da quando la legge ha permesso a qualunque società di proporre progetti di sfruttamento geotermico ne sono stati presentati più di un centinaio, ma al momento sono tutti bloccati per questioni locali ».
E a conferma delle potenzialità di tale forma di energia vi sono i dati dell’Unione geotermica italiana secondo i quali le risorse geotermiche del nostro Paese potenzialmente estraibili da profondità fino a 5 km sono dell’ordine 500 Mtep, ovvero 500 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio. Se si pensa che nel 2015 il fabbisogno energetico dell’Italia è stato di 171 Mtep si capisce quali potenzialità potrebbe avere la geotermia per il nostro Paese. Nella realtà il contributo energetico del geotermico non supera il 2 per cento della richiesta con un incremento annuo molto modesto.