Teatro. A San Miniato la sintonia di Cristicchi con il Paradiso
«La nostra vita è un grande mistero che un giorno ci sarà rivelato. È questo che sembra dirci con la forza immutata delle sue parole Dante. In questo mistero io mi sono calato, mettendomi a nudo e cercando di raccontare l’inconsueto e rendere testimonianza di ciò che di misterioso è accaduto nella mia vita». Ha scelto un approccio originale e toccante, come sempre, il cantautore Simone Cristicchi che affronta il Paradiso di Dante come un viaggio nella propria personale selva oscura attraverso la formula del teatro canzone. Applausi e commozione hanno accolto l’altra sera nella piazza del Duomo di San Miniato (Pisa) il debutto del suo nuovo lavoro, Paradiso – Dalle tenebre alla luce, prodotto da Elsinor e Accademia Perduta/ Romagna Teatri, con Arca Azzurra e Fondazione Istituto Dramma Popolare di San Miniato. Cristicchi ha scritto l’opera in collaborazione con Manfredi Rutelli ed è co-autore, con Valter Sivilotti, delle musiche originali, oltre a firmare canzoni e regia. Lo spettacolo, patrocinato dal Comitato Nazionale per le celebrazioni dantesche, resterà sino al 28 luglio a San Miniato (e poi in tournée), quale momento culminante della 75ª edizione della Festa del Teatro organizzata dalla Fondazione Istituto Dramma Popolare presieduta da Marzio Gabbanini. Un viaggio fra parole, musica e poesia che ha acquisito ancora più fascino grazie al corposo accompagnamento sinfonico dei 22 elementi dell’Orchestra Oida di Arezzo. «Mi sono sentito preso per mano in questo spettacolo dalle tenebre alla luce e sono rimasto colpito dalla ricerca sincera di un artista che pone delle domande in un momento in cui nessuno se le pone più» ha sottolineato entusiasta il vescovo di San Miniato, monsignor Andrea Migliavacca, che ieri ha consegnato a Cristicchi il premio “San Matteo d’oro” dell’associazione Arco di Castruccio. L’intuizione vincente di Cristicchi è quella di essere se stesso, ovvero uno di noi, nell’affrontare il cuore del lavoro dantesco, il nostro destino dopo la morte.
"Paradiso – Dalle tenebre alla luce" di Simone Cristicchi in scena nella piazza del Duomo di San Miniato - Danilo Puccioni, Simone Borghini, Stefano Bertoncini
Cristicchi declina sul palco «la nostalgia di infinito » che l’essere umano ha sempre provato sin dai tempi più antichi, con una particolare attenzione al rispetto della nostra casa comune. Dante è presente sin dall’inizio, con l’accenno delle prime terzine del Paradiso, «La gloria di colui che tutto move», poi l’artista intona «Il mondo è una briciola di pane/ sulla tavola dell’universo/ e ti tremano le gambe/ e ti fa sentire perso, oppure eterno». Simone Cristicchi non cela i suoi dubbi che nascono dal desiderio di felicità che lo spinge da tempo nella sua ricerca artistica. Così scrive una lettera appassionata a Dante, canta l’inedita Dalle tenebre alla luce, dolce e ampia come le altre canzoni di Paradiso, percependo accanto a sé la presenza di Qualcuno di superiore. Il Paradiso, per Cristicchi «è pieno di bambini che volano sugli aeroplani / e tirano palle di neve agli adulti che non hanno ali», ma è pieno anche di barboni, di migranti, di adolescenti stanchi della vita. Il mistero dell’aldilà è raccontato dalla storia di Maria Sole, una bimba di otto anni dalla cui scomparsa è germogliato un fiume di bene tramite una associazione a favore di altri bambini curati all’Ospedale Meyer di Firenze. Il cantautore romano è capace di toccare gli spettatori conducendoli con semplicità a confrontarsi con il pensiero di teologi come Guidalberto Bordolini, Vito Mancuso, don Luigi Verdi, anche se non mancano le provocazioni del benedettino Willigis Jäger. L’incontro con Dio non può però non essere affidato alle parole inarrivabili di Dante: il cantautore spiega e recita a memoria con sorprendente densità tutto l’ultimo canto del Paradiso preceduto dalla preghiera di san Bernardo alla Vergine Maria trasformata in un dolce inno. Inevitabile la standing ovation. «In questa selva oscura io credo che alla fine riprenderà il sopravvento quello che è già codificato in noi, quella unione fra noi e il Tutto. Perché proprio quando tutto sembra perduto è possibile ritrovare la coordinata di origine, e comprendere che il vero “peccato mortale” è l’incapacità di vivere in sintonia con l’universo».