Il personaggio. Cristicchi, la vera felicità è fatta di molliche di “Noi”
Simone Cristicchi, autore di “Happy Next. Alla ricerca della felicità” (La nave di Teseo)
Prima che scoppiasse la “tempesta Covid”, un giorno, per caso, passando davanti a una scuola del Sud ho sentito una classe di liceo – che diretta dalla prof. Rita – intonava questa magia: «Lo chiederemo agli alberi, come restare immobili. Fra temporali e fulmini. Invincibili…». Una filastrocca di Gianni Rodari? pensai. Magari una canzone di quel poeta (troppo spesso dimenticato) di Sergio Endrigo? No, quello splendido brano che accarezza i cuori dei più piccoli come quelli degli adulti è Lo chiederemo agli alberi di Simone Cristicchi, il più spirituale dei nostri cantautori. È da tanto ormai che non pensa più, nemmeno per ironia, a cantare come Biagio Antonacci: Cristicchi canta anche quando scrive, e come Sant’Agostino lo fa pregando.
In fondo, è una lunga preghiera laica il suo ultimo libro Happy Next. Alla ricerca della felicità (La nave di Teseo. Pagine 188. Euro 16,00). Titolo che rimanda all’omonimo documentario, testo che, appena riapriranno i teatri, lo porterà in scena in uno spettacolo fatto di canzoni, racconti e videoproiezioni. Già, quando tutto ricomincerà e ci si potrà riabbracciare... «Ti immagini se cominciassimo a volare. Tra le montagne e il mare, dimmi dove vorresti andare. Abbracciami...». C’è un filo resistente che lega il refrain di Abbi cura di me – l’ultimo singolo lanciato da Cristicchi sul palco del Festival di Sanremo 2019 – e questo libro. Come un Pollicino con gli occhi sempre aperti sul mondo il «Ricercautore» ha lasciato in terra «sette molliche di pane» ad indicare una via ancora possibile. «Sette parole» che riaccendono la luce della speranza e che aprono «la finestra sull’infinito».
Happy Next è un viaggio nei luoghi dell’anima, alla ricerca della felicità che passa anche dai maestri perduti, trovati o ritrovati. In un percorso animato dalla necessità di seguire quelle sette tracce esistenziali, il “cantattore”, i suoi maestri è andato a scovarli a uno a uno, intervistandoli di persona. Così è passato dalla Fraternità di Romena per incontrare don Gigi Verdi (suo “alter ego” nelle tre puntante di Le poche cose che contano, andato in onda su Tv2000) fino al monastero delle clarisse sul lago d’Iseo per conoscere suor Nadiamaria. Queste e altre figure “mistiche”, – una decina, comprese le voci, solo apparentemente fuori dal coro, come il poeta e cantautore Vincenzo Costantino Cinaski e il giornalista Gianluca Nicoletti – sono le stelle fisse sotto il cielo dell’artista che, cantando, recitando, pregando, dubitando, gioendo e soffrendo, compie questo viaggio al termine della notte oscura. Lo fa attraversando e meditando, come fece Italo Calvino con le Città invisibili, con le sue «sette molliche» in tasca, che cadendo sulla terra diventano parole.
Attenzione La prima parola, assaporata con l’amico frate Giorgio Bonati che gli ha insegnato a non fare l’esame di coscienza prima di addormentarsi, ma a «passare in rassegna tutto ciò che di bello ci è accaduto nella giornata appena trascorsa». Ciò che ci ha feriti se non ci ha resi più forti ci ha messi di fronte alla prospettiva della morte. E quando a Cristicchi, orfano di padre dall’età di dieci anni, la morte l’ha sfiorato frontalmente come un tir in autostrada, allora ha capito che «se tutto rischia di finire in un istante, la salvezza è stare dentro il momento». Sono riflessioni che necessitano di spazi interiori molto sensibili e di un tempo adatto a seguire, lentamente, la seconda mollica...
Lentezza «Gli africani dicono: rallentiamo per permettere alla nostra anima di raggiungerci ». Così Simone ha bussato ai conventi, alle pievi più remote, aggirandosi per borghi e campagne come fa il “paesologo” Franco Arminio (altra sua cometa). Ma il suo pensiero non conosce limiti né confini, e si appella al maestro anche di “lentezza”, il mistico e filosofo cinese Chuang-Tzu per il quale «la felicità deriva da calma e distacco». Spesso non serve andare troppo lontano quando in casa si ha una «zia Zen» come Rosina. La zia molisana che giocava alla corsa delle lumache, animali che vanno piano ma arrivano sempre a destinazione e durante il tragitto lasciano una scia. La scia dell’anima. La “lentezza cristiana”, Cristiccchi l’ha scovata tra le montagne verdi dell’Umbria, a Campello sul Clitunno. Lì Sorella Maria, la madre «Minore», che amava scrivere e ricevere lettere da Gandhi, ha costruito il nido per le sue «lodolette». Le compagne di missione che hanno ospitato il famoso cantante, a loro ignoto, nella celletta, «la Benigna» dove apprende il senso di tutta l’opera di Sorella Maria: «Non solo con un fratello cristiano, ma con un fratello israelita o pagano io mi sento in comunione spirituale se egli crede e spera e ama». Cristicchi ha camminato all’alba nel Sentiero della Pace, fino alla Croce e di ritorno al convento il suo sguardo si è posato su una scritta rivelatrice: «Nessuno potrà rapirvi la vostra gioia».
Umiltà Metafora dell’umile è la statua del «guerriero monco», acquistata da da un antiquario in un momento difficile della sua carriera discografica. Giorni dolorosi, pieni di incomprensioni, giudizi e pregiudizi dall’intronata routine del cantar leggero. Meglio rifugiarsi nel teatro, in quella casa dalle tavole di legno, specie dopo la chiamata a direttore dello Stabile dell’Aquila «Mi ero tagliato le mani, reso inabile. Ero diventato un fiero guerriero monco... Ma meno chiedevo alla vita più questa mi regalava incontri straordinari». È qui, che nell’artista si instilla la goccia che mischiata alla mollica impasta il pane dei cambiamenti.
Cambiamento «Le trasformazioni ci travolgono e resistere a un cambiamento ineluttabile non fa che renderlo ancora più doloroso. Non possiamo trovare un senso a tutto perché “tutto ha un senso” » (citazione di Abbi cura di me). Cristicchi, tramite Franco Battiato incontra il liutaio e sacerdote Guidalberto Bormolini. Lo fa nel monastero pratese di San Leonardo dove ha sede il gruppo dei “Ricostruttori di preghiera”. Pregare per tenere in vita chi si ama, anche se nel Cantico dei Cantici scopre che «la morte è forte come l’amore». L’amore suo, dei fratelli e dei nipoti, è ciò che ha tenuto in vita mamma Luciana che dopo essere stata dichiarata clinicamente morta si è risvegliata. Oggi continua ad essere in prima fila ad ogni concerto del suo Simone che annota: «Nonostante non riesca più a camminare, Luciana sorride comunque e quando sorride illumina il mondo».
Memoria Il mondo di Cristicchi è quello che si nutre di narrazione e memorie. Nel suo “teatro civile” ci sono «i racconti dei manicomi, dei reduci della ritirata di Russia, dei minatori del monte Amiata, l’esilio degli italiani dell’Istria, i profeti sconosciuti come David Lazzaretti (il “Cristo dell’Amiata”)». E tutto ciò definisce la completezza dei suoi tanti talenti.
Talento La storia dell’uomo più intelligente del mondo (raccontatagli dal narratore e poeta Roberto Mercadini), il genio precoce William James Sidis, dimostra che il talento da solo non basta. William James a 11 anni viene ammesso all’università di Harvard dove sale presto in cattedra, ma le lezioni del prof. Sidis erano incomprensibili per gli studenti e venne cacciato. Ripartendo dal basso, accettando i lavori più umili, il genio ha continuato a studiare, a parlare e leggere in tutte le lingue possibili, a scrivere saggi che nessuno leggerà mai. E questo a conferma che «il talento ha bisogno di accompagnarsi all’umiltà e al Noi».
Noi Mollica finale e sintesi di questo viaggio. Nell’universo musicale il «Noi» trova la sua essenza nell’orchestra sinfonica. «Il vero comunismo», secondo il regista Radu Mihaileanu che ne Il concerto, film premio Oscar (2010), ci dice: «Se riusciamo a cambiare la nostra realtà con pensieri e gesti quotidiani, potremo rivoluzionare la piccola porzione di mondo che ci è stata affidata». E questo il colibrì lo sa meglio di tutti, come ricorda Cristicchi, divulgatore della “Favola”: la leggenda africana diventata simbolo della campagna di sensibilizzazione dell’emergenza sanitaria. «Dove stai andando? – chiese il Re della foresta al colibrì – . C’è un incendio dobbiamo scappare da questa parte!». «Vado al lago, per raccogliere acqua con il becco, da buttare sull’incendio», rispose il colibrì. Il leone sbottò «Ma sei impazzito? Non crederai di poter spegnere un incendio gigantesco con quattro gocce d’acqua!». E il colibrì con fierezza: «Io faccio la mia parte». Quattro gocce d’acqua e sette molliche di parole, possono dissetare e sfamare, tutti Noi.