Intervista. Cristicchi, la pace è nelle piccole cose
«Ti sei mai guardato dentro? / Ti sei mai chiesto del tuo desiderio profondo? / La nostalgia che si nasconde dentro te, Che cosa ti abita? /». Tre interrogativi fondamentali, purtroppo quanto mai attuali, quelli che cantano Simone Cristicchi e Amara nel loro brano Le poche cose che contano, presentato ieri a Recanati, al Teatro Persiani, in occasione di “Musicultura”. Un’esecuzione per la prima volta dal vivo, anche se Le poche cose che contano «scritta con Amara, nella prima fase della quarantena, con quel senso di incertezza che ha contagiato tutti», spiega Cristicchi, è stata sigla e titolo dell’omonima trasmissione andata in onda nell’ottobre 2020 – in tre puntate su Tv2000 – . Programma in cui il più spirituale tra i nostri cantautori, compiva un «viaggio nell’interiorità» assieme a don Gigi Verdi dalla Fraternità di Romena. Un «viaggio ininterrotto», che poi ha fatto sosta nelle pagine di quello scrigno prezioso delle sue riflessioni che è Happy Next. La ricerca della felicità (La nave di Teseo) .
Un pezzo di felicità forse ogni cantante la cerca nella musica, per poi donarla a chi ascolta. Ma le nuove leve di “Musicultura” la trovano ancora la felicità?
Da giurato posso assicurare che riscontro sempre una grandissima qualità nelle tante proposte, ed è molto difficile selezionare appena tre artisti. Il problema però è anche garantire a tutti uno spazio futuro. Quando nel 2005 vinsi “Musicultu-ra”, il mio brano Vorrei essere Biagio Antonacci era proprio il grido di aiuto di un ragazzo che non riusciva a fare sentire appieno la propria voce. Trovare la felicità nella musica e donarla, dipende poi esclusivamente da loro, dal percorso che saranno in grado di fare, dall’unicità e la riconoscibilità delle loro creazioni.
Da Recanati, patria di Giacomo Leopardi, viene naturale pensare allo stretto rapporto tra musica e letteratura. Per quanto mi riguarda è imprescindibile . E sempre dal 2005, ho trovato nella scrittura un modo per ampliare il mio raggio di riflessione che ho scoperto può andare molto al di là del testo di una canzone. Complice un editor della Mondadori incontrato al Festival Giorgio Gaber, scrissi il mio primo libro che in fondo era un altro diario di viaggio, Centro di igiene mentale. Un cantastorie tra i matti..
E anche il quel caso si trattava del “prolungamento” di un brano incentrato sulla malattia mentale, Ti regalerò un rosa.
Il mio secondo album Dall’altra parte del cancello toccava il tema della follia e della salute mentale – con brani come Nostra Signora dei Navigli dedicato ad Alda Merini che fece la dura esperienza del manicomio – e poi divenne un documentario in cui mancava una canzone per i titoli di coda. Così scrissi Ti regalerò una rosa che piacque a Pippo Baudo che la volle a Sanremo nella sezione big, e vinsi il Festival.
Anno di grazia 2007. Poi da quel momento tanto “teatro della memoria strorica”, con dei lavori che suonano tragicamente odierni, comeMio nonno è morto in guerra , Li romani in Russia e Esodo.
Il mio primo approccio con la Storia è avvenuto dal rapporto bello che avevo con mio nonno: un uomo dalla vita molto avventurosa e piena di sorprese. Aveva fatto la Campagna di Russia, ma preferiva non parlarne, per lui era un dolore troppo forte per ricordare. Poi quando è morto, ho trovato il testo di Elia Marcelli Li romani in Russia che raccontava della Divisione Torino che era partita da Roma, e quel racconto in romanesco mi è sembrato il testamento di mio nonno. Dopo averlo letto, ho trovato il coraggio o l’incoscienza di diventare narratore monologante di una storia che credo tocchi un po’ tutti.
La storia si ripete, con i russi invasori e i profughi istriani di Esodo che ora sono gli ucraini in fuga dalle deportazioni e i bombardamenti orditi da Putin.
È uno scenario quotidiano atroce che mi lascia impotente davanti a certe immagini e mi crea forti sensi di colpa. In questi giorni mi sono chiesto spesso: come possiamo continuare a salire su un palco e cantare facendo finta di niente? Come posso io raccontare al pubblico il Paradiso di Dante (nello spettacolo teatraleParadiso - Dalle tenebre alla luce) e parlare di altitudini spirituali, quando a due passi da casa nostra muoiono i bambini in un Inferno reale? Poi però penso anche che continuare a seminare bellezza, a donare emozioni con la musica e le parole, può essere un atto di civile resistenza, un gesto controcorrente, come partecipare, senza preavviso, a una serata per la pace a Romena con don Gigi Verdi.
Tra le sue «sette parole» da seguire nella ricerca della felicità c’è la parola «Cambiamento ». Parola coltivata dal liutaio e sacerdote Guidalberto Bormolini, al quale è arrivato tramite Franco Battiato.
Bormolini l’ho incontrato e ne scrivo in Happy Next nel monastero pratese di San Leonardo dove ha sede il gruppo dei “Ricostruttori di preghiera”. Guidalberto insegna che bisogna «pregare per tenere in vita chi si ama », anche se nel Cantico dei Cantici scopre che «la morte è forte come l’amore ». Di questo incontro e di molto altro, sarò grato in eterno a Franco Battiato, che a sua volta mi ha insegnato che la musica va oltre il semplice intrattenimento. Franco ha scritto delle canzoni che sono delle “preghiere” e ad unirci c’è la sua meravigliosa La cura che si lega alla mia Abbi cura di me. Sto lavorando a un progetto su Franco, e conto di presentarlo presto...
L’ultima parola da inseguire alla ricerca della felicità è «Noi» e con Amara canta: «Noi siamo il senso, la ragione, il motivo, la destinazione, noi siamo il dubbio, l’incertezza, la verità, la consapevolezza, noi siamo tutto e siamo niente...».
Ognuno di noi partendo dalla sua realtà può e deve fare qualcosa, specie in questo momento storico. La leggenda africana del “Colibrì” ci dice che anche un uccellino trasportando nel becco quel po’ d’acqua del lago per spegnere l’incendio è consapevole di essere utile, e infatti al Re, al Leone che lo vuole sminuire rivendica con orgoglio: «Io faccio la mia parte». Questo è un tempo in cui servono stormi di Colibrì e dei “curanderi” di anime, come le “lodolette”, le seguaci di Sorella Maria di Campello che nel Sentiero della Pace su una pietra hanno inciso: «Nessuno potrà rapirvi la vostra gioia». Per trovare un po’ di pace, ora, ognuno inizi a seguire il suo sentiero.