La mostra. Gli affreschi ritrovati di Cremona romana e imperiale
Frammento con Arianna abbandonata, dalla Domus del Ninfeo di Cremona
Non solo Pompei ed Ercolano, e neppure solo l'Urbe: la pittura romana è solitamenta legata a queste aree per ragioni legate alla storia della conservazione e alla densità delle testimonianze. Ma si faceva pittura anche in provincia, e di una qualità che ha lasciato stupiti gli stessi studiosi. È il caso della decorazione murale delle domus della città di Cremona, riaffiorata in migliaia di frammenti una ventina di anni fa in occasione di saggi di scavo in piazza Marconi una zona del centro storico che un tempo si affacciava sul Po. Oggetto di una importante campagna di studi e di restauri, ancora in corso, sono ora oggetto di una mostra di grande interesse, dal titolo "Pictura Tacitum poema. Miti e paesaggi dipinti nelle domus di Cremona” al Museo del Violino (che proprio su piazza Marconi si affaccia), visitabile fino al 31 maggio prossimo.
Cremona è stata insieme a Piacenza nel III secolo a.C. la prima colonia romana della Gallia Cisalpina. Ricco e importante centro Regio X Venetia et Histria, nel 69, l'anno dei quattro imperatori, durante la guerra civile tra Vespasiano e Vitellio venne assediata e distrutta dalle truppe del primo. La presa della città è raccontata da Tacito come una serie di violenze inaudite e orrori. Plutarco ricorda una "catasta di corpi che sfiora in altezza i frontoni del tetto". Per quanto ricostruita da Vespasiano, Cremona uscì dalla storia per lungo tempo.
Le ricche domus della città vennero incendiate e distrutte. È da queste che arrivano i frammenti, pazientemente riconosciuti e riassemblati, presenti nella mostra curata da Nicoletta Cecchini, Elena Mariani e Marina Volonté. Materiale raro per quantità, la cui qualità - che nel percorso è messa direttamente a confronto con riproduzioni di affreschi romani e originali di area vesuviana - testimonia lo sfarzo e anche la piena adesione ai modelli culturali e pittorici che dalla capitale si espandevano insieme alle leggi, alla lingua e ai costumi.
Gli affreschi provengono da domus differenti. La prima è denominata "Domus dei candelabri dorati", proprio in virtù della decorazione dell'atrio (ricostruito in un video) che presentava campiture di prezioso rosso cinabro ritmate da alti candelieri. Ritrovati in campagne di scavo condotte tra 2014 e 2016, presentano inoltre elementi provenienti dalla zona del peristilio e da un larario. Alcuni frammenti testimoniano la presenza di "quadri" (ossia scene di vario tipo, circoscritte da una finta cornice) di grande raffinatezza. Tra questi una scena con nani e pigmei messa a confronto con un frammento proveniente da Ostia. Il gusto nilotico, riscontrabile in tutte le decorazioni cremonesi, raccontano quanto la romanità fosse affascinata dalla civiltà egizia (si pensi alla grande diffusione del culto di Iside), anche se non di rado gli elementi erano ripresi ed elaborati in modo autonomo e del tutto svincolato dai significati originari, come è possibile osservare anche dal raffronto con reperti egizi concessi dal Museo Archeologico di Firenze.
Gli affreschi più importanti arrivano però dalla Domus del Ninfeo, così chiamata per la presenza di una fontana monumentale mosaicata. Tra le varie testimonianze spiccano qui le decorazioni di quello che era probabilmente di un grande cubicolo, secondo le curatrici di ambito femminile, di 25 metri quadrati. Sito al secondo piano e coperto con una volta a botte ribassata e decorato a stucco, presentava alle pareti fregi e le storie di Arianna. La stanza precipitò al piano sottostante in seguito all'incendio del 69 e venne devastata dal saccheggio, a cui poi si aggiunsero le nuove costruzioni medievali. Resistono però gli affreschi di almeno metà delle pareti. Le decorazioni sono direttamente accostabili a quelle dello studiolo di Augusto, con rimandi così precisi che non possono essere considerati casuali, al punto che si ipotizza tanto l'esecuzione da parte di maestranze romane quanto il legame dei proprietari con la famiglia imperiale. Vere curiosità sono la presenza nel fregio decorativo dell'ananas, frutto conosciuto dai romani (era infatti coltivato sulle isole Canarie) ma estremamente raro e costoso, e il tema tipico del grifo, simbolo di Apollo, declinato però con uno strano becco piatto, in cui gli ornitologi hanno riconosciuto quello della spatola bianca, uccello oggi molto raro ma che un tempo nidificava sul Po.
I frammenti superstiti rivelano poi la presenza di tre grandi quadri, con figure pressoché a grandezza naturale, di qualità davvero straordinaria a partire dal volto di Arianna abbandonata sulla spiaggia di Nasso. Notevoli anche i frammenti dell'apparizione di Dioniso, che si innamora della principessa cretese e ne fa la sua sposa. Si tratta, spiegano le curatrici, dell'esemplare dell'episodio non solo più grande ma anche più antico tra quelli conosciuti e quindi quello più prossimo temporalmente al modello perduto. L'episodio era molto diffusa nell'antichità e presentava due varianti, con Arianna dormiente mostrata di schiena, come nel caso di Cremona, o frontalmente. La fortuna (testimoniata anche a livello poetico, da Catullo a Ovidio) del soggetto è spunto per un approfondimento ed è documentata da affreschi di area vesuviana, da un coperchio di sarcofago proveniente dalla Villa d’Este di Tivoli e da una testa rinascimentale di Arianna dormiente, da Firenze.
La mostra racconta inoltre il lavoro di studio e ricostruzione, oltre ai restauri realizzati Centro per la Conservazione e Restauro de “La Venaria Reale” e dal Laboratorio Arvedi dell’Università di Pavia. Complementare è la visita al Museo archeologico (accessibile gratuitamente ai possessori del biglietto della mostra) allestito nella chiesa di San Lorenzo, dove si trovano i pavimenti musivi delle domus e una ricostruzione con gli elementi decorativi della fontana della Domus del Ninfeo.