Anniversari. Così a Vienna l’Europa divenne contemporanea
Numero storicamente parlando davvero fatidico, il Quindici. L’anniversario dell’ingresso dell’Italia nella Grande Guerra s’incrocia con il bicentenario della conclusione di un evento a modo suo fondante per l’Europa e per l’età contemporanea: anzi, a detta di molti, l’evento che davvero aprì la Contemporaneità. Si tratta di quel Congresso di Vienna che, apertosi non senza incertezze e resistenze nel 1814, si concluse nel giugno dell’anno successivo con una serie di “Deliberati” che avrebbero dovuto segnare il decollo di una nuova età nella vita politica europea e mondiale. Vienna non aveva mai cessato di essere una grande capitale europea: in fondo, lo stesso Napoleone aveva sposato in seconde nozze una principessa di casa Asburgo. E tra i protagonisti del Congresso ci furono due statisti che si erano mostrati alquanto inclini a collaborare con quello che adesso veniva denominato il “Mostro” e l’“Anticristo”", vale a dire il principe Klemens von Metternich, demiurgo della politica austriaca, e lo zar di tutte le Russie Alessandro I. Napoleone era caduto, ma l’Ancien régime era in cambio davvero finito. I Borboni erano tornati sul restaurato trono di Francia, e quella fu davvero una “Restaurazione” alla quale guardarono con gioia gli spiriti più reazionari e misoneisti del continente. Ma nella stessa Francia neoborbonica, l’inaffondabile ministro Talleyrand – ex prelato, ex costituente, ex termidoriano, ex bonapartista – fu l’artefice di un abile gioco di prestigio che riuscì a far sedere la pur sconfitta Francia al tavolo dei vincitori e l’alfiere di uno dei tre princìpi su cui il Congresso si fondò: la “legittimità” dei poteri. Gli altri due princìpi furono appunto la “restaurazione” dello status quo politico precedente il 1792 e la “solidarietà” dei sovrani che avrebbero dovuto, al tempo stesso, prendere atto della nuova situazione – il liberalismo napoleonico aveva scardinato la vecchia Europa ancor aristocratica e corporativa – e impedire l’evoluzione del nuovo equilibrio sociale verso forme e istanze “democratiche” (vale a dire tendenzialmente egalitarie) che si stavano già manifestando. In altri termini, si trattava di concedere in qualche modo spazio alle borghesie che con la Rivoluzione si erano già affermate alla ribalta della storia. D’altronde, l’imperatore Francesco d’Asburgo ebbe il buon senso di non provare dal canto suo a esigere la restaurazione di quel Sacro Romano Impero che già alla fine del Settecento si era mostrato una larva vuota di contenuti politici e al cui posto, in quel medesimo 1815, venne fondata la Confederazione Germanica (uno dei 39 membri della quale era anche il re d’Inghilterra in quanto sovrano dello Hannover). L’impero federale d’Austria fu ovviamente posto alla presidenza della Dieta federale di Francoforte, che configurava la nuova Germania: ma la potenza egemonica, al suo interno, era tuttavia ormai rappresentata piuttosto dal giovane e dinamico regno di Prussia. D’altronde l’Austria, al cui interno c’erano anche popolazioni slave, magiare e italiche, non poteva in ogni modo schiettamente dirsi una potenza “tedesca”: e ciò, in un momento di affermazione delle passioni nazionali, era importante. D’altro canto la Prussia, alleata fedele sia dell’Inghilterra sia della Russia (che aveva inglobato Polonia, Finlandia e Bessarabia), si presentava come “guardia al Reno” contro qualunque velleità di riscossa francese, alla quale si opponeva anche la corona di Stati minori usciti dalla frammentazione dell’impero napoleonico: la Svezia-Norvegia, l’Olanda-Paesi Bassi, il Piemonte-Sardegna. Di fronte a un continente europeo spartito tra quattro potenze che già cominciavano a guardarsi con reciproco sospetto, l’autentica vincitrice della crociata antinapoleonica si rivelò l’Inghilterra: solidamente impiantata nel cuore d’Europa grazie alla corona dell’Hannover, era al tempo stesso dominatrice del Mediterraneo, grazie alla detenzione di Gibilterra e di Malta, e degli oceani, in quanto sovrana di Helgoland nel Mare del Nord, della Colonia del Capo fra Atlantico e Oceano Indiano e di Ceylon; il subcontinente indiano inoltre era soggetto all’amministrazione e allo sfruttamento della Compagnia delle Indie Orientali.
Pertanto non sarebbe corretto sostenere che la Restaurazione fu, sic et simpliciter, un ritorno all’equilibrio prerivoluzionario: nuovi Stati erano nati, il nuovo concetto di Stato-nazione aveva fatto breccia in varie parti dell’Europa, l’economia si era andata liberando dai vari ostacoli etico-religiosi e corporativi che ostavano allo sviluppo di un’economia liberal-capitalistica. Dinanzi a queste novità, furono Gran Bretagna e Francia a mostrarsi meno esitanti. Le case regnanti di Austria, Prussia e Russia apparvero invece più preoccupate di arginare le istanze di tipo laico che si stavano affermando e nel settembre del 1815 fondarono la Santa Alleanza, con lo scopo di tutelare i princìpi della monarchia di diritto divino – quindi non soggetta alla volontà dei popoli – e di un governo cristiano e patriarcale, che poteva anche prevedere la concessione di Costituzioni (come programmato dalla Dieta federale tedesca) ma che doveva comunque affermarsi contro qualsiasi rivendicazione nazionale e liberale. A impedire l’insorgere di rischi del genere fu stabilito il “principio dell’intervento”, fondato sull’alleanza fra trono e altare, in forza del quale tutti i contraenti avrebbero dovuto impegnarsi al soccorso reciproco in caso d’insorgenze rivoluzionarie. Il governo britannico, però, si oppose temendo di veder compromessa la propria libertà di decisione: da allora, il Regno Unito fu guardato come la patria ideale di tutti i liberali. Quando nel 1830 la Francia rovesciò il governo borbonico di Carlo X e inaugurò la Monarchia di luglio dell’orléanese Luigi Filippo, si andò delineando un fronte liberale-moderato anglo-francese contro un fronte assolutistico austro-prussiano-russo.Si andava in tal modo configurando il nuovo equilibrio europeo che, complicato dai movimenti risorgimentali in Europa (Germania, Italia, Spagna, Ungheria, Polonia) e dai divergenti interessi coloniali, sarebbe giunto sostanzialmente fino allo scoppio, nel 1914, della Prima guerra mondiale.