Duecento anni fa. Così i dinosauri cambiarono la storia della scienza
Lo studio di Benjamin Waterhouse Hawkins a Sydenham, dove ha realizzato i Dinosauri del Crystal Palace, un un’incisione dell’epoca
Sono trascorsi esattamente due secoli da quando nasceva un fenomeno culturale che non ha mai smesso di incuriosire grandi e piccini: la “dinomania”, ossia l’interesse, a volte oltre ogni regola, verso i dinosauri. Era il febbraio del 1824, quando il teologo e naturalista inglese William Buckland stilò la prima esposizione scientifica di un dinosauro: una enorme mascella e giganteschi arti, rinvenuti nel XVII e XVIII secolo in una cava vicino a Oxford, nel sud dell’Inghilterra, venivano descritti per quel che erano e non più come resti di draghi, di giganti o di altre creature mitologiche. Venivano tratteggiati cioè, come parti di un grande rettile. Nelle pagine della rivista della Geological Society di Londra, quel sacerdote chiamò l’animale che aveva sottoposto ad un’attenta analisi “Megalosaurus” o più semplicemente “grande rettile”. Ci vorranno ancora quasi 20 anni prima che il biologo Richard Owen coniasse per loro il termine “dinosauro”. In un periodo in cui si pensava che l’"estinzione” di una specie vivente non fosse cosa possibile, i dinosauri iniziarono a catturare l’immaginazione della gente e fu un’escalation senza sosta. Nel 1852, Charles Dickens introdusse il Megalosaurus nel primo paragrafo del suo romanzo Bleak House e nel 1854 lo scultore Benjamin Waterhouse Hawkins creò diverse enormi statue di animali preistorici per il Crystal Palace di Londra.
Una passione da parte del pubblico e dei paleontologi che diede vita ad un’industria da milioni di euro, sulla quale infatti, si buttarono registi con film di ogni genere, documentari, ma anche giocattoli, parchi di divertimento e libri. Ma non si deve pensare che oggi, dopo 200 anni da quei primi studi, si conosca tutto dei dinosauri, anzi. Anche se nuovi fossili vengono scoperti in tutto il mondo ad un ritmo sorprendente, le ricerche dicono che le specie conosciute sono solo una piccola parte di quelle che vissero realmente (forse meno del 30 per cento), tant’è che in media ogni mese, alle circa 2.000 specie conosciute se ne aggiunge una nuova. Afferma il paleontologo Steve Brusatte dell’Università di Edimburgo: «La paleontologia è ancora un campo in cui facciamo continuamente nuove scoperte e non puoi mai prevedere cosa troverai».
E il fascino per i dinosauri non finisce mai. Gli scienziati vogliono sapere come vivevano, cosa facevano, come sono nati, di che colore erano, che suoni emettevano, come sono morti, perché sono scomparsi. La gente vuole sapere le stesse cose, ma in modo visivo grazie a documentari o diorami, dove vuole “vedere” e “toccare” com’era un dinosauro e rimanere a bocca aperta. In questi 200 anni dalla prima descrizione di un dinosauro tante sono le scoperte fatte sul loro comportamento, se vivevano cioè solitari o se si muovevano in branchi, fino ad alcune caratteristiche che ci sembrano quasi strane, come il fatto che alcuni avevano parassiti nelle ossa e nell’intestino, che altri soffrirono di tumori, oppure che lottavano tra loro lasciandosi profondi morsi, graffi, fratture e amputazioni. Spiega, ad esempio, Mattia Baiano, ricercatore presso il Museo Civico Ernesto Bachmann di Neuquén, in Argentina, autore di un articolo sull’argomento pubblicato su “BMC Ecology and Evolution”: «Attraverso la tomografia computerizzata, abbiamo confermato che i membri degli abelisauridi, una famiglia di predatori del Sud America, presentavano malattie congenite dello sviluppo e segni di morsi con infezioni. Lo studio di queste malattie è una finestra aperta per saperne di più sulla biologia di questi animali. Ma siamo solo all’inizio».
L’interesse per i dinosauri fu tale che oltre un secolo fa vide, nell’Ovest americano, dure competizioni tra cacciatori di fossili, desiderosi di impossessarsi dell’esemplare di dinosauro più grande e completo. Quando si arrivò a portare alla luce i primi fossili di Tyrannosaurus rex nel Montana (Usa), la scoperta fu celebrata soprattutto come un trionfo commerciale piuttosto che scientifico. Nel suo primo rapporto su questo iconico predatore pubblicato nel 1905, il “New York Times” lo descrisse come «il più formidabile animale da combattimento mai registrato», «il re di tutti i re nel campo della vita animale», «il leader assoluto della terra», un «mangiatore di uomini della giungla», «il signore della guerra assoluto del suo tempo 8.000.000 di anni fa». Questo, da un lato dimostra quali fantasie suscitava l’animale, dall’altro quanto poco si conoscesse all’inizio del XX secolo.
Bisogna attendere il 1964 tuttavia, per avere un quadro più realistico di questi animali e lo si deve a John Ostrom, il quale mise in dubbio la diffusa convinzione che i dinosauri fossero specie lente e pesanti, che trascinavano la coda come i coccodrilli. La scoperta di un piccolo predatore bipede, che chiamò Deinonychus, lo portò a proporre che molti dinosauri fossero agili, intelligenti, capaci di cacciare in gruppo. Poi la grande scoperta: nel 1980 il geologo Walter Álvarez e suo padre, il fisico Luis Álvarez, proposero l’audace ipotesi su come perirono i dinosauri: l’impatto di un asteroide avrebbe causato la morte della maggior parte di quegli animali 66 milioni di anni fa. E lo fecero studiando un piccolo strato di rocce in prossimità di Gubbio che contiene anomale percentuali di iridio, un elemento di cui sono ricchi gli asteroidi. Negli anni ’90 l’ipotesi venne confermata dalla scoperta del cratere sulla costa dello Yucatan, in Messico, lasciato dall’impatto di un asteroide che probabilmente aveva un diametro compreso tra i 10 e i 15 chilometri. È possibile comunque, che la loro scomparsa venne aiutata anche da immani eruzioni attive sulla Terra in quel periodo e anche dal declino di alcune famiglie di dinosauri già in atto.
Dopo anni di controversie, la scoperta del primo dinosauro piumato nella Cina nordorientale nel 1996 (Sinosauropteryx prima) ha permesso di affermare che i dinosauri non si sono “estinti del tutto”, perché gli uccelli moderni sono i loro discendenti diretti. È la fine della storia? No, la storia scientifica, culturale, ma anche economica continua e continuerà almeno finché conosceremo il 90 per cento delle specie vissute, che richiederà, secondo i paleontologi, almeno un altro secolo di scavi e ricerche.