Agorà

STORIA. Così i cinesi esportarono la polvere da sparo

Luca Gallesi sabato 5 settembre 2009
Ci fu un momento, dopo il «gran sole di Hiroshima», in cui si pensava che l’epoca delle guerre combattute con armi convenzionali fosse definitivamente tramontata, ma quel momento passò in fretta. Dalla Corea al Vietnam, dall’Afghanistan invaso dai Russi all’Iraq invaso dagli Americani, passando per la miriade di guerre che ha insanguinato il continente africano e quello latino-americano, le armi da fuoco sono tornate a essere i veri protagonisti di guerre che non sono più combattute tra eserciti regolari, e che, spesso, non sono più nemmeno dichiarate. Uno storico dilettante – di professione fa l’avvocato – , Kenneth Chase, ha scritto questo libro dedicato alla storia delle armi da fuoco, appassionante e ricco di dettagli come solo i dilettanti sanno fare. Preceduto da una densa introduzione del generale Fabio Mini, il saggio va a indagare un mistero curioso: come mai le armi da fuoco, inventate dai cinesi, vennero sviluppate in Europa? Innanzitutto, l’autore sfata un paio di luoghi comuni che riguardano la Cina. Generalmente si crede che la polvere da sparo fosse usata dai Cinesi solo a fini pirotecnici, così come si pensa che la Grande Muraglia fosse stata costruita per isolare la Cina dal mondo esterno per quasi duemila anni: non è così; i Cinesi svilupparono per primi tutte le applicazioni militari della polvere pirica e la cosiddetta Grande Muraglia è in realtà una serie di fortificazioni costruite in epoche diverse e lontane tra loro non tanto e non solo per scopi militari, ma anche per agevolare il commercio e lo scambio tra popolazioni diverse. La tesi tanto originale quanto suggestiva proposta nel libro, comunque, è che lo sviluppo delle armi da fuoco fu influenzato dalla minaccia, o meno, dei nomadi ai confini delle terre in questione. Europa occidentale e Giappone (almeno fino al 1615), che non ebbero questo problema, riuscirono a sviluppare le nuove tecnologie che meglio si adattavano alle caratteristiche delle guerre tra eserciti regolari, con relativi assedi e guerre navali. Laddove, invece, le guerre erano condotte con grande mobilità e in steppe sconfinate prive di città da assediare e conquistare, le prime, rudimentali bocche da fuoco erano più un impiccio che un vantaggio. Un cavaliere mongolo, ad esempio, poteva scagliare, senza rallentare il cavallo, sei frecce al minuto in qualsiasi direzione, contro il singolo colpo, impreciso e sparato tra mille difficoltà, del fuciliere suo contemporaneo.Tra le tante informazioni curiose e interessanti non soltanto per l’appassionato di storia militare, troviamo la notizia che dopo la Riforma inglese, le campane razziate alle chiese saccheggiate dagli uomini di Enrico VIII furono acquistate in gran numero dagli Ottomani, che le fondevano per ricavarne bocche da fuoco; veniamo inoltre a sapere che i pregiudizi generalmente diffusi tra gli Occidentali erano comuni anche tra gli Orientali, che ad esempio credevano che i Portoghesi fossero cannibali; e infine, scopriamo che esistevano monete ben più comuni e apprezzate dei metalli preziosi, come ad esempio il pepe, usato nel 1500 come mezzo di scambio in importanti transazioni fra Oriente e Occidente.

Kenneth ChaseArmi da fuoco Una storia globale fino al 1700 Libreria Editrice GorizianaPagine 374. Euro 28.00