Personaggio. Così i tamburi di Alfio Antico "scuotono" la Terra
Il cantautore siciliano Alfio Antico, con i suoi tamburi. L'ultimo album si intitola "Trema la terra"
«Trema la terra e tuttu lu so statu, tremunu tutti supra sta terra». Non è un terremoto, non è uno tsunami, e non è neanche l’effetto dell’attualità più stringente del Coronavirus a ispirare il mago del tamburo, Alfio Antico, nel suo ultimo album da cantautore, appena uscito, intitolato proprio Trema la terra. «Anche se in qualche modo è legato al tempo strano che stiamo vivendo », confessa il “pastore” della musica popolare, originario di Lentini, in provincia di Siracusa, che ora vive a Ferrara. «L’emergenza sanitaria impone un cambiamento nel nostro stile di vita. Lo impone anche la natura. La terra trema perché non ci prendiamo cura di lei. Io sono cresciuto nell’entroterra siciliano, in mezzo alle montagne, con le pecore, con il legno, con il vento. Dobbiamo accettare di farne parte e rispettarla un po’ di più. La terra trema anche per la mancanza di valori, di rispetto, di dignità. Abbiamo perso la testa, abbiamo dimenticato le nostre origini, l’essenzialità delle cose che contano. I nostri nonni dicevano che “chi ha terra non muore di fame”: ecco, bisogna tornare alla terra, alla natura e osservarla. Gli anziani oggi sono rammaricati, perché tutto questo sta scomparendo». Con il ritmo travolgente dei tamburi che l’artista siciliano si costruisce da sé secondo la tradizione dell’isola, Alfio Antico canta un inno alla Terra, alla vita semplice. «Il tamburo è il suono che anima le antiche danze, il suono della mitologia da Dafne a Orfeo. Un suono che ha perso la sua identità anche in Sicilia, dove non ci sono scuole, non c’è una tradizione che continua. Al massimo si suona il tamburello ». Invece il tamburo è il suono «di mia nonna e di mia zia Marianna. Sono loro con quel suono a scandire la mia infanzia ed è diventato la mia vita dopo aver fatto fino a 18 anni il pastore».
Il giovane Alfio andò poi a cercare fortuna altrove, a Firenze, seguendo il fratello Delfo che faceva il muratore. Ma lui aveva l’arte in testa. E in piazza della Signoria mentre si trovava a suonare e a cantare insieme a tanti emigrati, siciliani, pugliesi e campani, improvvisati artisti di strada, ecco l’incontro con Eugenio Bennato («ma non sapevo fosse lui»). Era la fine del 1977, Alfio tornò a casa a fare il pastore. «Un giorno però al Comune di Lentini arrivò una lettera per me da Napoli, chiusa con la cera rossa. I vigili andarono da mia mamma… “Ta figghiu unné?”. Era la proposta di andare a suonare a Napoli. Il mio sogno di tutte le sere, quando me ne andavo a letto, si avverava. Presi un treno, mi costò 5.500 lire. Partii con due tamburi e due cassette di arance. Da lì è cominciato tutto». Così entra nei Musicanova e incide con loro cinque Lp. Successivamente collabora con la compagnia di Peppe Barra e con Tullio De Piscopo, Edoardo Bennato, Lucio Dalla, Fabrizio De André, Roberto Carnevale, Renzo Arbore e la sua Orchestra Italiana e di nuovo con Eugenio Bennato. Nel 1990 Fabrizio De André lo chiama per registrare il suo tamburo nel brano Don Raffaè, per il disco Le nuvole. Nel 1996 suona ne Il ballo di San Vito di Vinicio Capossela. Nel 2006 inizia la collaborazione con Carmen Consoli che pubblicherà con la sua Narciso Records l’album Guten Morgen, impreziosito da un duetto con Fiorella Mannoia nel brano Cunta li jurnati. Lo stesso anno Alfio Antico compone la colonna sonora del film Malavoglia di Pasquale Scimeca e viene citato nel film francese Tous les soleils di Philippe Claudel (2011), dove Stefano Accorsi canta il suo brano Silenziu D’Amuri. L’8 gennaio 2016 esce in digitale l’album Antico, prodotto da Colapesce e Mario Conte, che riscuote ampio successo di critica. Ora Trema la terra, in un sorprendente mix del tamburo antico con la musica contemporanea, sonorità bucoliche e ancestrali e note di elettronica, memoria e visioni di futuro.
«Trema la terra mi è stato ispirato da una collina distrutta da un trattore 40 anni fa: “Visti ‘n tratturi sballari na muntagna”. Fui colpito da questo evento per me traumatico. Una volta che sono ripassato da lì ho deciso di comporre un brano su questo episodio. Il disco l’ho concepito come un itinerario in musica, un racconto che porterò nei concerti, perché merita non solo di essere ascoltato, ma anche di essere visto. “Rumori” messi in musica». Un album anticipato da un video. Anche questo con rimandi alla tradizione, sin dal titolo: Pani e cipudda. Pane e cipolla. Con un vecchio detto: “Megghiu pani e cipudda a casa to che pesci e carni a casa d’autri”. Un proverbio e un testo che «senza prevederlo sembra interpretare il tempo che stiamo vivendo, a casa». Una lode alla vita semplice, umile e morigerata in contrasto con le storture dell’ostentare e dell’opulenza. «Pani e cipudda – riprende Alfio Antico – è un riferimento alle persone con tante maschere, senza dignità e rispetto, anime ambigue senza vita. Parla delle persone squallide che si approfittano degli umili, degli ultimi. Così sono nate queste strofe. È un brano che serve per non dimenticarmi mai da dove vengo: da quel mondo pastorale, fatto di verità. Mi venne in mente questo proverbio che dicevano i nostri nonni: meglio pane e cipolla a casa tua, che pesce e carne a casa degli altri. Qui nacque il brano: nella satira che ci invita ad amare le cose semplici, senza farci fregare. È la soddisfazione di poter sbeffeggiare i potenti senza che possano reagire, se non cadendo nel ridicolo». Trema la terra. Con il suono di un antico tamburo che può farci svegliare. E cambiare rotta.