Etologia. Che genio quel corvo. Io l'ho scoperto sul campo
Alfred Hitchcock e un corvo durante la lavorazione del film “Gli uccelli” (1963)
C’è chi soffre di aracnofobia e chi è preso dal panico se vede anche solo una mosca volare nella propria stanza; è c’è l’ornitofobia, su cui Alfred Hitchcock ha basato uno dei suoi film più celebri, Gli uccelli. I piccioni, per esempio, sono oggetto di una delle fobie più diffuse; ultimamente anche i gabbiani, che nutrendosi di carni oltreché di pesce, sono diventati grossi quasi come tacchini e a volte attaccano bambini e adulti. Le cornacchie sono tornate numerose nei centri abitati, e anche il loro parente più illustre, il corvo, si vede ogni tanto.
La celebre poesia di Edgar Allan Poe, The Raven, fa emergere la perversione e quel sentimento autodistruttivo che, nell’escalation di un’epoca d’angoscia, ci ha impresso nella mente una immagine negativa del corvo. E questa visione non è che la drammatizzazione di un altro corvo, quello che Dickens dipinge nel romanzo Barnaby Rudge ossia il morto che attira. Dramma e commedia si alternano in un villaggio della periferia londinese scosso da disordini sociali dovuti alla polemica antipapista, e la comparsa di Grip il Corvo mette a nudo verità inconfessate sui personaggi portando nel romanzo una vena grottesca. Verso la fine della vita Van Gogh dipinse quel Volo di corvi su un campo di grano che è uno dei quadri apocalittici nati dalle allucinazioni della modernità. E per tener vivo nel Novecento l’incubo corvino i nazisti allestirono il campo di concentramento di Ravensbrück – ponte dei corvi – macchina di morte riservata soprattutto alle donne.
Se il cinema ha spesso esaltato il mito corvino, non dimentichiamo che il corvo è prima di tutto un uccello. E per il biologo-etologo tedesco Bernd Heinrich è stato l’amore di una vita: il corvo, per lo studioso, è infatti uno splendido animale, il cui richiamo è «uno dei suoni più belli che conosca», dotato di una intelligenza fuori dal comune. Per dare ragione di questa convinzione il quasi ottantenne biologo emerito all’Università del Vermont ha speso vent’anni fa oltre cinquecento pagine di un libro ora tradotto da Adelphi, La mente del corvo. Ricerche e avventure con gli uccelli-lupo (pagine 556, euro 35). Per la verità, è il secondo libro che Heinrich dedica al corvo imperiale: il primo Corvi d’inverno voleva «risolvere un problema specifico: scoprire se i corvi richiamino conspecifici estranei a una fonte di cibo e la condividano con loro». Può sembrare roba da specialisti, ma è pur sempre una ricerca sulla “socialità” di certe specie, e i corvi non sembrano essere una delle più socievoli, anzi, osserva Heinrich, «erano noti come animali altamente territoriali e aggressivi ».
Tutto cominciò nel 1984, quando il nostro biologo venne attirato dagli schiamazzi di un gruppo di corvi intenti a spolpare una carcassa di alce (tra le loro carni preferite). Trovare cibo è una delle principali occupazioni di tutte le specie animali (uomo compreso, per il quale anzi s’impongono veri disequilibri fra chi ce la fa e chi muore di stenti). Heinrich oggi ci ricorda che i corvi sono così speciali da essere paragonati talvolta all’homo sapiens: «così come gli uomini e a differenza della maggior parte degli altri uccelli, i corvi non sembrano avere istruzioni già pronte per tutti i problemi dell’esistenza; se le avessero non sarebbero considerati creature estremamente intelligenti né sarebbero stati rappresentati nella mitologia come creatori, distruttori, profeti, giullari e truffatori». E questo porta alla seconda costatazione fondamentale: «un corvo è un individuo con una sua personalità. Una formica no».
Il corvo, dunque, come tenta di dimostrare Heinrich descrivendo nei dettagli le sue ricerche, sono dotati di capacità sensoriali e intellettive insospettabili «e talvolta quasi incredibili». Gli studi recenti sulle forme dell’intelligenza animale ci hanno svelato scenari che anche solo mezzo secolo fa sarebbero stati considerati casi di pregiudizio positivo da parte di qualche animalista sentimentale. E si badi che Heinrich per studiare i corvi deroga dalle rigidità di chi vede il regno animale come un mondo totalmente indisponibile all’uomo (vera malattia del pianeta, secondo certi fondamentalisti). Heinrich, per esempio, non si preoccupa di rubare dai nidi i pulli di corvo, di allevarli in un ambiente ampio ma chiuso, per studiare sia la loro crescita sia i loro comportamenti e la capacità di relazionarsi con l’uomo e altre specie sotto una gestione controllata, che finisce per liberarli da adulti dopo averli marchiati con rilevatori di posizione.
Un giorno Heinrich vede i suoi corvi che fanno il bagno nella neve e si chiede se per loro sia una necessità fisica oppure un gioco. Come capirlo? Per tentativi. Lo studioso decide di preparare una mistura liquida a base di miele, che i corvi non amano, e la spruzza sulle loro penne. Pur avendo vicino la neve con cui lavarsi, i corvi non ne fanno alcun uso e puliscono le penne col becco. Allora Heinrich cerca ulteriore conferma e prepara un’altra mistura liquida, questa volta disgustosa, a base di sterco di vacca e torna a sporcare le penne dei corvi. Ancora una volta gli uccelli si puliscono le piume senza rivolgersi alla neve. Ergo: «Per i corvi fare il bagno è una festa».
Il metodo di procurarsi il cibo è vario, e spesso i corvi strappano lembi di carne dalle carcasse e li seppelliscono sotto la neve. Qualcosa del genere, per esempio, fanno anche gli lapponi e gli eschimesi per il lungo inverno polare. Così il metodo dei corvi pare sia ispirato a questa massima: «nascondi il cibo finché ce n’è e mangia solo alla fine». I corvi che cacciano nei nidi di altri uccelli a volte non si limitano a prendere un uovo o un singolo pulcino, ma scelgono di trasportare in volo tutto il nido, usano insomma il nido come cestino da asporto. Nota Heinrich che sono «gli unici passeriformi che trasportano oggetti in volo con le zampe ». E racconta un esperimento che fece per comprendere l’ingegnosità dei corvi: l’impresa consisteva nel recuperare del cibo appeso a un filo. Heinrich esclude che quello dei corvi possa essere un comportamento programmato geneticamente o un frutto del caso, eppure, i suoi beniamini cresciuti in cattività riuscirono nell’impresa con una ingegnosa articolazione di gesti.
I corvi sono dei grandi imitatori, e molto di ciò che apprendono passa dagli occhi (oltre a essere grandi riproduttori di suoni e di voci). Ma per comprendere un corvo – oltre a passare giorni e giorni pazientemente in attesa, sotto la pioggia, il vento, il freddo, rimanendo spesso delusi o dovendo ritardare la conquista della prova sperata –, questo libro espone anzitutto un metodo empirico più che dare risposte definitive. Un metodo per interrogazione: fin dove si deve spingere la mente di un uomo per entrare in quella di un corvo? Studiandone il comportamento, più che per trovare regole generali, sembra di capire, per scoprire eccezioni che attestano il grado d’intelligenza di questi pennuti. Non temono la paura per ciò che non conoscono, i corvi «temono ciò che va contro le loro aspettative (come noi umani)».
È degno di nota che i loro sodali siano i lupi, con cui rivelano di avere strane analogie nei legami sociali. Però «la relazione fra corvi e lupi non è solo giocosa. I corvi vivono grazie alle carcasse degli alci uccisi dai lupi». Se, a quanto pare, già i vichinghi salutavano con gioia la presenza dei corvi nei luoghi che conquistavano, al punto da porre il corvo sui loro vessilli, il fatto che siano state rinvenute tracce di corvidi e di corvi imperiali già tra i fossili del Miocene e del Pleistocene, fa pensare che siano arrivati in certi luoghi, seguendo i lupi, migliaia di anni prima di noi, per cui, per un corvo «l’uomo, questo nuovo predatore, non era che un surrogato del lupo e, come il lupo, spesso cacciava in branco». Come molti di noi, anche i corvi vanno matti per le patatine fritte e, come gli uomini, fanno spesso cose assurde «come rubare tergicristalli o danzare attorno a un osso di vacca» ma questo dispendio di forze per il gioco o altre attività futili è «uno dei prezzi da pagare per un’intelligenza elevata».
Leggendo questo grosso libro di Heinrich la tentazione ogni tanto è quella di vederci un saggio di psicologia sociale, una proiezione antropomorfa. Un sospetto che era stato rivolto anche al padre degli etologi moderni, Konrad Lorenz, cioè quello di «spiegare l’uomo con l’animale», ma Lorenz replicò che certe analogie hanno la funzione di “concettualizzare”: la base di ogni conoscenza. Nel caso di Heinrich si nota un uso parsimonioso della teoria, poche digressioni letterarie o culturali, una fedeltà schiacciante al dato raccolto sul campo. Eppure, scrive, ad alcuni «poteva sembrare che il mio attaccamento ai corvi mi spingesse ad attribuire loro motivazioni umane. Forse era così. Anche se il più delle volte mi stavo chiedendo la cosa opposta: quali meccanismi inconsci spingono un animale a rifiutare una cosa nuova e insolita – un comportamento peculiare dei corvi». Spesso si sono paragonate le società umane all’alveare o al formicaio. Se vogliamo, i corvi hanno invece dell’uomo una certa improvvisazione con lampi d’intelligenza e una indole al sospetto. Forse perché sanno come gira il mondo.