Letteratura. Maria Corti e quelle ombre d'autore riemerse dai loro manoscritti
Maria Corti
Ha fatto bene Einaudi, nel ventennale della morte di Maria Corti (1915-2002), a ripubblicare Ombre dal fondo (prefazione di Mauro Bersani, pagine 162, euro 18). Perché questo libro, uscito per la prima volta nel 1997, riassume alla perfezione il senso profondo della vita professionale dell’autrice. Linguista e filologa tra i più importanti esperti di queste discipline nel secondo ’900, dopo oltre vent’anni di insegnamento alle medie e nei licei, approda alla cattedra universitaria prima a Lecce e poi a Pavia, dove dal 1962 è stata, per due decenni, docente di Storia della lingua italiana. Sempre agli anni ’60 risalgono gli esordi come scrittrice. Ombre dal fondo è un’opera al confine tra diversi generi: romanzo, memoir, autobiografia. Il luogo in cui è ambientata - e che è anche, in qualche modo, il vero protagonista della storia - è il 'Fondo manoscritti di autori moderni e contemporanei', attivo dal 1968 all’Università di Pavia, forse la creatura più significativa (accanto, naturalmente, alla produzione scientifica e a quella narrativa) di Maria Corti. Si capisce così che cos’è il 'fondo' del titolo, mentre le 'ombre' sono gli autori i cui scritti vengono, anno dopo anno, a depositarsi sugli scaffali e negli armadi di questo posto così ricco di interesse documentario e al tempo stesso così denso di suggestione. Le loro voci, contenute nelle pagine vergate a mano da Giorgio Manganelli o da Alda Merini, da Italo Calvino o da Amelia Rosselli, da Romano Bilenchi o da Eugenio Montale, «desiderano raccontare di sé tutt’altro genere di vicende e di cose, atte a colmare lacune dei biografi e dei critici». Farle risuonare è il compito che spetta ai filologi come Maria Corti e tutti gli altri che hanno frequentato il Fondo e vi hanno lavorato. «Cimitero», «isola», «magazzino della memoria», «teatro mentale», «luogo di fantasia senza limiti spaziali», il Fondo è centro propulsore di resistenza e di persistenza. Le sue «presenze invisibili - scrive Corti - persistono, premono su di noi, attendono di essere riconosciute, se pure da un numero limitatissimo di viventi». Poi, «che certi manoscritti non siano mai letti e altri incontrino lettori sbagliati è nell’ordine naturale delle cose». Ma Ombre dal fondo è anche una sorta di racconto epico: il racconto dell’impresa, all’inizio ritenuta impossibile, di una donna single in un mondo maschile, e in larga misura maschilista, come quello universitario, allora persino più di oggi. Corti si batte per ottenere locali più ampi, man mano che la fama del Fondo si espande e giungono donazioni da parte degli eredi di scrittori scomparsi, o, più spesso, proposte di acquisto. Ecco perché, oltre agli spazi, servono i finanziamenti, che non sempre è facile convincere istitu- zioni, banche, fondazioni a elargire. «La mancanza di sovvenzioni - scrive a un certo punto l’autrice - era diventata il motore primo del nostro pensare». Tanto che l’incubo peggiore è quello del «vuoto di cassa». In diverse pagine traspare la profonda insofferenza verso la burocrazia statale e certi palloni gonfiati che la incarnano. Epica è anche la narrazione di alcuni episodi: come quello di un giorno in cui Maria Corti si trova per caso a Milano, in via Mecenate 89, allora sede della Bompiani, proprio nel momento in cui sta per partire un camion pieno di manoscritti di scrittori di primo piano che stanno andando al macero. Lei ha nella borsetta una banconota da centomila lire, che aveva messo da parte per comprarsi una gonna, e decide di offrirla come mancia all’autista del mezzo affinché si allontani giusto il tempo di pranzare: tempo a lei sufficiente per scaricare le preziose carte (tra le quali i dattiloscritti dei Racconti romanidi Moravia, corretti a penna dall’autore, L’età breve di Corrado Alvaro, testi di Giuseppe Marotta e Tonino Guerra) e ottenere da chi di dovere il permesso di metterle in salvo a Pavia. In tanti anni di lavoro sulle carte degli scrittori, l’autrice afferma di aver imparato che «in genere l’opera è migliore dell’uomo che l’ha fatta, e l’uomo finisce per assomigliarle, ma il rapporto fra i due nel corso della vita è un po’ misterioso, è una lotta che può essere estenuante, come il rapporto in amore che non si saprebbe descrivere con filologica precisione». Un Omaggio a Maria Corti è, infine, come recita il sottotitolo, il bel volume Viaggiatori del cielo curato da Benedetta Centovalli per Mattioli 1881 (pagine 170, euro 11, in libreria dal 19 maggio). Vi sono raccolte le voci di colleghi, allievi, editori, studiosi, scrittori, che testimoniano l’importanza del suo magistero. Da Maria Corti è venuta a molti, scrive Centovalli, una «lezione di integrità e di continuo scambio tra i percorsi di studio, di lavoro e creativi», perché per lei «tutto era interdipendente, tutto veniva passato al setaccio di un’etica del comportamento». Viaggiatori del cielo si intitola anche l’omaggio che verrà tributato a Maria Corti dal Salone del libro di Torino venerdì 20 maggio alle 18.15 nella Sala Indaco (con Mario Andreose, Mauro Bersani, Paolo Di Stefano, Anna Grazia D’Oria, Giuseppe Lupo, Anna Modena, Fabio Pusterla e la stessa Centovalli in veste di moderatrice).