Docuserie. Giovani e malattia, la tv del coraggio
Un immagine da «I ragazzi del Bambino Gesù».
Ha ragione monsignor Dario Viganò, prefetto della Segreteria per la comunicazione della Santa Sede, quando dice che ‹‹questi ragazzi dobbiamo chiamarli per nome››. Perché è solo sapendo che stiamo seguendo le storie di Roberto, Giulia, Caterina, Sabrina, Ginevra, Letizia, Klizia, Alessia, Flavio, Sara e Anna Chiara, che avremo l’immediata percezione di non essere davanti a una puntata di Braccialetti rossi. Questa non è finzione ma realtà. La realtà di un gruppo di adolescenti e di un bambino di quattro anni che hanno deciso di diventare I ragazzi del Bambino Gesù, i protagonisti di una docuserie ambientata, appunto, nell’ospedale pediatrico più grande d’Europa che, ogni anno, accoglie centomila pazienti. Un prodotto che, per una pura casualità, arriva su Rai 3 (da domani alle 22.50) a pochi giorni dal debutto su Tv2000 di Kemioamiche, programma sulla malattia oncologica declinata al femminile. Segno che, complice forse proprio il successo della fiction Braccialetti rossi, è nato un nuovo genere televisivo. Qui, dicevamo, si parla di ragazzi, secondo un’idea di Simona Ercolani e della sua società di produzione Stand by me: ‹‹Ho conosciuto l’ospedale Bambino Gesù per motivi personali e ne sono rimasta colpita. La loro linea guida, quella per cui si cura una persona e non solo la sua malattia, è diventata una delle nostri chiavi di racconto. L’altra è stata l’ascolto dei ragazzi››.
Che, va detto, non sono stati chiamati ma si sono offerti spontaneamente, chissà se solo per un adolescenziale bisogno di raccontarsi o perché, quando si ha a che fare con certe malattie che fanno paura solo a pronunciarle, anche un’esperienza come questa aiuta a gestire l’ansia. Perché I ragazzi del Bambino di Gesù non hanno, certo, l’influenza: Alessia è ha una cardiopatia congenita ed è in attesa di un trapianto di cuore; Caterina ha subito un trapianto di rene che le è stato donato dalla madre; e Simone, il più piccolo del gruppo, ha una leucemia linfoblastica acuta che lo costringe a periodici cicli di chemioterapia. ‹‹Qui non si nasconde la ferocia della malattia ma il racconto sa arginare la paura – osserva monsignor Viganò –. Qui abbiamo ragazzini in situazioni che segnano ferite nella carne ma che ci ricordano che il male è un nemico che va combattuto e vinto insieme››. Come dicono anche Giulia, per la quale «alla fine anche le cose brutte hanno qualcosa di buono» e Roberto per il quale «vivere è diverso da sopravvivere: vivere significa cadere e rialzarsi, sopravvivere è non provarci nemmeno».
È vero che la malattia, anche quella dei più giovani, è stata usata spesso dal cinema ma ne I ragazzi del Bambino Gesù, sottolinea Viganò, ‹‹si sottrae l’artificio della televisione e si racconta la realtà. Questa è una testimonianza viva. Papa Francesco dice che la vita dell’uomo non è solo una cronaca asettica di avvenimenti ma una storia che chiede di essere raccontata. In questa serie viene fatto attraverso le lenti della speranza››. Insieme ai ragazzi, protagonisti della serie sono le loro famiglie ma anche i medici e tutto il personale sanitario, tutti ripresi nell’arco di un intero anno, stando attenti a non disturbare in alcun modo la quotidianità dell’ospedale. Che dal canto suo, nella persona del presidente Mariella Enoc, ha riflettuto a lungo prima di accettare la proposta della produzione: ‹‹Ho pensato alle critiche che avremmo avuto e, siccome il mio periodo di presidenza dell’ospedale non è stato facile, mi sono chiesta se fosse il caso di prendersi anche quest’altra responsabilità.
Poi, però, abbiamo accettato di partecipare a questo progetto per mostrare la normalità e la dignità della vita anche in situazioni difficili di sofferenza o tristezza. E, accanto a queste, la straordinaria rete di competenze, professionalità, umanità e solidarietà che ruota intorno ai ragazzi e alle loro famiglie: non solo medici e infermieri ma anche volontari, associazioni e case di accoglienza. È il nostro modo di “comunicare speranza e fiducia nel nostro tempo”, come ci chiede papa Francesco nel suo ultimo messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali. “Offrire narrazioni contrassegnate dalla logica della buona notizia”, che non significa ignorare la realtà della sofferenza, ma raccontarla sapendo suscitare “cuori capaci di commuoversi, volti capaci di non abbattersi, mani pronte a costruire”. Speriamo e crediamo di esserci riusciti››. I ragazzi del Bambino Gesù è patrocinato dal Ministero delle Salute e dal Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza.