È il paleontologo che, negli anni ’60 del secolo scorso, raccogliendo 50 mila fossili (ossa e denti) sulle rive del fiume Omo, nell’Africa orientale, ha scoperto l’evento- chiave della storia della vita sulla Terra: l’emergere della specie Homo dalla schiera degli ominidi preumani. Yves Coppens, leggendario professore del Collège de France, lo scopritore di Lucy, ha spiegato e dimostrato come si era formato, nel periodo compreso fra tre milioni e mezzo e un milione e mezzo di anni fa, il cervello dell’uomo, come era 'esplosa' la sua feconda intelligenza, come era maturata la sua coscienza. I suoi libri hanno un pubblico entusiasta. Un anno fa è uscito Le origini dell’uomo dalle edizioni Jaca Book che ai primi di aprile pubblicherà anche La storia dell’uomo.
Professore, che cosa ha visto, studiando i fossili e confrontandoli fra loro? «Ho visto e dimostrato un processo durante il quale erano avvenuti tanti piccoli sviluppi quantitativi e anche qualitativi, uno dopo l’altro, ma nel quale poi improvvisamente si era prodotto qualcosa di indescrivibile, il boom delle mutazioni favorevoli. Ecco l’uomo. Nell’Africa tropicale il clima da umido diventa secco, e questo drastico cambiamento costringe tutti, animali e ominidi, a trasformarsi per adattarsi al nuovo ambiente. Diciamo che io ho potuto cogliere proprio il 'momento' in cui gli ominidi pre-umani, gli australopitechi, diventano uomini».
Da quali segni ha scoperto la grande trasformazione? «Cominciamo dal mutamento dei denti e delle ossa. Il regime alimentare cambia radicalmente. Quando il clima si fa secco, ci sono meno vegetali e allora bisogna mangiare carne, per sopravvivere. L’uomo diventa cacciatore, sviluppa denti da onnivoro (mangia ora vegetali e ora carne, dipende da ciò che trova). Vediamo che sono più grossi e forti i denti anteriori (servono ad afferrare le prede) e più piccoli i posteriori. La dentatura forma un’arcata che caratterizza il cranio della specie Homo perché non si ritrova mai nei preumani».
Cambia la forma del cranio e cambia il destino della specie "Homo"? «Il mutamento fisico è ancora più evidente, è quantitativo ma soprattutto qualitativo. La parte anteriore del cranio è più sviluppata, rispetto a quella posteriore, e ciò comporta un maggiore afflusso di sangue, cioè di ossigeno, al cervello. Inoltre, mentre l’ominide degli anni più lontani camminava a quattro zampe, e quello dei climi umidi era sia bipede che arboricolo (si arrampicava sugli alberi), la specie Homo si distingue per la locomozione esclusivamente bipede. Ma, soprattutto, il cervello più sviluppato fa emergere comportamenti nuovi, in particolare la coscienza. Questa trasformazione avviene in maniera molto naturale, e c’è un particolare straordinariamente interessante: bastano piccoli aumenti della massa cerebrale umana a provocare splendidi aumenti delle facoltà mentali. Diceva Teilhard de Chardin: l’animale sa molte cose, ma l’uomo 'sa di sapere'. Il cambiamento morfologico e qualitativo del cranio, per adattarsi al cambiamento climatico, rende possibile la riflessione. È come se l’individuo della specie Homo si guardasse allo specÈ chio, per osservare la propria immagine riflessa. In quattro miliardi di anni, da quando sulla Terra è spuntata la vita, non si era mai visto nulla di simile ».
È il "salto ontologico" di cui parlava Giovanni Paolo II? «Gli anglosassoni dicono: "more sometimes is different", l’aumento quantitativo talvolta provoca un singolare effetto qualitativo. Dopo tanti piccoli gradini, salendo i quali l’uomo, volta per volta, si attesta un po’ più avanti rispetto alle creature preumane, ecco il cambiamento grandioso dal punto di vista intellettuale, culturale e spirituale: l’uomo è tutta un’altra cosa. Allora io sono naturalista ma non materialista. Ho studiato tanto gli animali, ho visto quando l’animale diventa uomo. Che percorso! Prima la materia inanimata che diventa sempre più complessa, poi la materia vivente, e alla fine si arriva alla materia che pensa. Sulle rive del fiume Omo, esplorato nell’800 dall’italiano Vittorio Bottego, ho documentato il passaggio da ominide a specie Homo. E così mi sono divertito a proporre un elementare gioco di parole: la mia scoperta si può definire l’evento dell’(H)Omo».
Le ultime notizie dal fronte della paleontologia? «Si cerca l’incrocio tra scimmie prebonobo e ominidi pre-umani. Per trovare l’antenato comune bisogna risalire a due milioni di anni fa. E si è molto vicini al traguardo».
Dopo 150 anni, la teoria di Darwin va aggiornata? «Forse bisogna adeguarla alle nuove conoscenze scientifiche. Lui già aveva operato una sintesi delle idee affacciate da Jean Baptiste Lamarck, Alfred Wallace e Georges Buffon, sul "trasformismo". Ora siamo riusciti a entrare nel cuore della cellula, disponiamo di una massa imponente di informazioni genetiche. Le mutazioni sono casuali ma, quando avviene un forte cambiamento, per esempio di clima, che provoca stress, le mutazioni si moltiplicano enormemente; la selezione naturale viene facilitata e migliorata dallo stress».
Quali vantaggi scorge lei, da paleontologo, nella collaborazione tra scienza e fede?«L’evoluzione è un processo accertato. Ma l’emergere naturale della specie Homo ha fatto nascere il primo essere vivente dotato di un pensiero spirituale, morale, estetico. Io oso dire che questo evento è il grande 'regalo' che la scienza fa alla teologia e alla filosofia perché se ne occupino. La collaborazione è in atto».