Agorà

Intervista al filosofo Umberto Regina. Contro la dittatura del pensiero debole

Lorenzo Fazzini martedì 8 gennaio 2008
Un rimprovero alla filosofia di casa nostra perché troppo schiacciata sul « pensiero debole » di Vattimo e incapace di essere « spregiudicata » nell’indagine sulla verità. E una sottolineatura sulle potenzialità interpretative del cristianesimo, che – con la concretizzazione di valori come la « cura » e l’ « amore » – apre scenari significativi per l’antropologia contemporanea. Così argomenta Umberto Regina, studioso che ha all’attivo numerose pubblicazioni a metà tra filosofia e teologia, tra cui La soglia della fede (Studium) e Kierkegaard. L’arte dell’esistere (Morcelliana). Esperto di Heidegger, Nietzsche e Kierkegaard, docente di filosofia all’università di Verona, in occasione dei suoi 70 anni Regina – che quest’anno uscirà di ruolo dall’insegnamento universitario nell’ateneo veronese – è stato celebrato con il recente volume Soren Kierkegaard. L’essere umano come rapporto ( Morcelliana, pp. 203, euro 16), che presenta saggi di Piero Coda, Virgilio Melchiorre, Vincenzo Vitiello. A suo giudizio, la filosofia in Italia è ancora interessata alla questione della verità o si concentra su aspetti più minimalisti?«Negli ampi settori della filosofia laica italiana il problema della ricerca della verità viene sfuggito perché vi è il sospetto che sotto sotto vi sia la tanto vituperata metafisica, accusata di imporre una verità precostituita. L’accusa resta quella di Vattimo, ovvero che al fondo dell’affermazione di un vero assoluto vi sia la volontà di potenza. Ma bisogna notare che il pensiero debole si è imposto con estrema forza: oggi manca una filosofia spregiudicata nell’indagine della verità. Forse bisognerebbe tornare a Kierkegaard…». Perché?«Il filosofo danese, a 23 anni, scriveva: la verità è per me. Non è espressione di soggettivismo, questa, ma di una verità che si prende a cuore l’individuo; in questo caso il soggetto si mette a disposizione della verità. Kierkegaard semantizza l’essere in modo nuovo come inter- esse, cioè una verità in cui l’io sia importante. E questo avviene con il cristianesimo, perché Cristo si prende a cuore la mia persona e suscita un rapporto di amore con l’uomo. Qui c’è la differenza tra Socrate e Cristo: il filosofo greco metteva sì in crisi i suoi interlocutori sofisti, ma Cristo va a cercare le persone. Anche la filosofia italiana deve tornare a fare i conti con la verità come relazione: Joseph Ratzinger, in Introduzione al cristianesimo, afferma che bisogna farla finita con la supremazia della sostanza e rivalutare invece la relazione. Anche perché la cosa- uomo viene spesso travolta dal relativismo: basta vedere il successo del libro di Vito Mancuso, L’anima e il suo destino, dove l’uomo viene sciolto nella sostanza cosmica, perde la sua identità e si arriva a sostenere, in pratica, che non c’è il bisogno di un accadimento­Cristo. Si tratta di una concezione ancora immanentistica: Mancuso semplifica il cristianesimo come evoluzione spirituale». Questo «sospetto» anti­metafisico della filosofia laica è un sentimento superato?«No, è ancora presente. Il filosofo di Napoli Roberto Esposito, in un suo recente libro ( Terza persona. Politica della vita e filosofia dell’impersonale, Einaudi), ha sferrato un nuovo attacco contro la metafisica della persona perché vede in quest’ultima ( addirittura!) il nemico numero uno dei diritti umani. A suo giudizio, la persona come valore ha portato a trascurare l’importanza del corpo, per cui sarebbero stati tralasciati problemi come la fame, la salute, l’istruzione, l’ambiente… Esposito fa risalire questa alienazione al diritto romano e poi alla Chiesa, che ne ha assunto l’impianto. Già Ernesto Galli della Loggia ha replicato a Esposito, ma io vorrei evidenziare che il corpo va riscoperto non come appendice della persona ma come la sua ' solidità'. Il corpo è persona, va trattato con la cura e l’amore, più che in termini di diritti e doveri: ' Non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te'. C’è bisogno di un salto di qualità anche sui temi della bioetica: non più principi astratti ma pensieri a partire dall’amore del corpo dell’altro. Il cristianesimo può portare una luce in questo buio; lo dice Kierkegaard in Atti dell’amore quando sostiene – fedele ai testi evangelici – che l’amore ci fa esplorare mondi ignoti, di cui tutti gli uomini sono capaci. Nelle sue encicliche il Papa ci ha ricordato che la verità purifica le leggi dalle ideologie. Il pensatore cristiano, con la sua capacità critica e autocritica, può far vedere i limiti del pensiero debole: giustamente oggi si punta sulla ' questione antropologica' e non più su quella metafisica, perché è la comprensione dell’uomo la chiave di volta».Lei ha insegnato filosofia della religione: quale peso assegna ai best seller «anti- religiosi» come quelli di Odifreddi, Dawkins & Co.? «Sostanzialmente c’è indifferenza, sia nei docenti che negli studenti. I dibattiti, in ambito accademico, sono molto più eruditi e quelli che li portano avanti sono persone specializzate: l’università non è il luogo dei pamphlet anticlericali. Nelle facoltà c’è molta attenzione al tema del credere: ho trovato un interesse straordinario per Kierkegaard, molti studenti sono venuti a chiedermi la tesi su di lui. Questi pensatori anticlericali fanno clamore ma non hanno incidenza. Certo, pongono temi e questioni che vanno affrontati: Benedetto XVI ne ha dato un esempio con il suo libro su Gesù».