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Tecnologia. Confezioni hi-tech, così si allunga la vita da scaffale

Silvia Camisasca giovedì 1 dicembre 2016

La convinzione comunemente diffusa che porta ad associare, alle confezioni per alimenti, banali contenitori vuoti di tecnologia al solo scopo di mantenere e consumare fresco il cibo, anche a giorni dalla produzione, risulta quanto mai fuorviante: piuttosto, in esse è racchiuso un mondo di ricerche, indagini, prove funzionali, analisi di sicurezza e, il tutto, corredato da un bagaglio di studi per portare all’apice l’innovazione in questo curioso settore.

È inevitabile che il concetto di 'film' a contatto con gli alimenti generi timori, quando non psicosi, relativamente alla sicurezza alimentare, sia per eventuali contaminazioni, sia per perdite chimiche direttamente nel cibo. Prendendo spunto dai materiali disponibili sul mercato e tenendo ben presenti le sostanze consentite dalla legislazione italiana e dalle normative europee e americane (Fda, food and drug administration), che dettano le linee guida e le singole classi di sostanze ammesse, sono creati ad hoc gli imballi per ogni singolo prodotto: uno a uno viene, quindi, 'vestito' con un abito cucito su misura che lo conservi al meglio per tutto il suo ciclo di vita (noto come 'vita a scaffale'). Rispetto al passato, le restrizioni si fanno sempre più stringenti grazie allo sviluppo delle tecnologie investigative: la maggiore sensibilità strumentale e la migliore accuratezza del dato consentono di ridurre i limiti di legge, a vantaggio della qualità della sicurezza alimentare. Attualmente è possibile l’identificazione e la quantificazione di tracce di sostanze chimiche presenti perfino a livello di 'ppb' ( part per bilion, parti per miliardo). Per avere un’idea degli ordini di grandezza delle tecniche di analisi a disposizione nei laboratori, si pensi a 6 amici attorno a un tavolo: bene, essi rappresentano un ppb dei 6 miliardi di individui che popolano la Terra.

In origine, con materie prime per applicazioni di confezionamento si intendevano varie forme di carta o veline, usate rispettivamente per sacchetti e a protezione di abiti e cappelli. Il boom economico, che seguì alla seconda guerra mondiale e la conseguente comparsa dei primi supermercati, fece emergere la necessità di conservare i prodotti per lunghi periodi. Carta e materie prime similari vennero sostituite da laminati multistrato plastici e non, in cui mantenimento, trasporto e immagine del prodotto divennero le linee guida per lo sviluppo di confezioni realizzate industrialmente: si perdeva, così, il romanticismo vissuto tra le drogherie di quartiere, a vantaggio, però, di livelli di produttività, sicurezza alimentare e conservabilità mai raggiunti fino ad allora. E così, nel corso degli anni, maturano le conoscenze per la produzione di grandi sacchi sterili (fino a 1000 litri) e poi per la messa a punto di macchine idonee all’impacchettamento in atmosfera modifica- ta, sotto vuoto e con l’ausilio di sistemi di degasazione, funzionanti tramite valvole monodirezionali che, aprendosi, permettono l’uscita dei gas liberati dai prodotti sigillati, quale il caffè. Soprattutto, infatti, nel particolarissimo settore del confezionamento del caffè, il connubio di imballaggi, macchinari d’impacchettamento, accessori, supporto al cliente e feedback tecnologici si combinano in una forza di sistema estremamente felice.

Dai progetti negli ultimi anni finanziati dalla Commissione Europea, si comprende con quanta attenzione e cautela si guardi al delicato settore alimentare: da qualche tempo sono organizzati bandi rivolti alle aziende tesi a verificare l’identità di eventuali sostanze migranti dall’imballo, impiegando i cosiddetti 'simulanti alimentari', ovvero prodotti con caratteristiche chimiche analoghe a quelle del cibo contenuto. Nel caso specifico, ad esempio, dei prodotti alimentari secchi, è stato scelto il simulante alimentare comunemente detto Tenax, e, quindi, identificati i composti migrati ammessi dalla normativa vigente: al fine di mantenere un ferreo controllo su tutto ciò che si introduce nella linea produttiva, lo sviluppo di materiali innovativi o di tecnologie di lavorazione degli alimenti alternative sono state corredate da attività di validazione di processo e prodotto.

Il 'film' plastico, comunemente definito 'pellicola', si presenta nei prodotti presenti sul mercato con notevoli differenze in termini di caratteristiche meccaniche e fisicochimiche e, nonostante appaia come un solo singolo strato di plastica, in realtà è dato dalla sovrapposizione di diversi film in una struttura multistrato, ognuno dei quali introdotto per una specifica finalità e scelto in quanto ideale al confezionamento di quel particolare alimento, anche se, sono ovviamente riscontrabili caratteristiche generali comuni.

Un tipico laminato per imballaggio alimentare, quale un sacchetto per caffè, zuppe o prodotti sterilizzati, ha una struttura pensata per essere stampata con loghi e figure, essenziali al riconoscimento del contenuto, nonché alla visibilità della casa produttrice. I materiali che consentono una stampa nitida sono il Bopet o il Bopp ('poliestere biorientato' e 'polipropilene biorientato'), i quali conferiscono anche buone caratteristiche meccaniche durante il processo di lavorazione in fase di riempimento della confezione. Bopet o Bopp si trovano quindi verso l’esterno del multistrato, cioè, sul lato opposto all’alimento e, procedendo verso l’interno del laminato, si incontra l’alluminio, considerato 'barriera' di eccellenza, per la capacità di ostacolare la penetrazione dei due agenti, ossigeno e umidità, responsabili della perdita delle caratteristiche organolettiche dell’alimento. Questa caratteristica risulta particolarmente importante allo scopo di prolungare la 'vita a scaffale' dell’alimento, soprattutto, in una realtà, come la nostra, di supermercati e prodotti provenienti da ogni angolo del pianeta: l’alluminio è a oggi il film maggiormente impiegato, perché più di altri imballi soddisfa tale richiesta. Infine, il film a contatto con l’alimento, il polietilene, è un materiale saldante a base di poliolefine dall’alto valore aggiunto e con diverse funzioni: prima fra tutte, permette la chiusura dell’imballaggio, ma impedisce anche ogni potenziale contaminazione, garantendo nel tempo lo stato d’igiene dell’alimento.

Le attuali richieste di mercato sono sempre più indirizzate verso prodotti a base di monomateriali di sola plastica escluso il metallo: ciò comporta la realizzazione di laminati in cui la barriera sia raggiunta mediante particolari laccature o depositi di ossidi di alluminio o silicio, in modo da ottenere imballaggi trasparenti con visibilità del contenuto all’interno, cosa impossibile con l’alluminio.

Le nuove frontiere di imballaggio sembrano già tracciate dalle attuali tendenze, riassumibili nella riduzione del peso della confezione, nel miglioramento della sicurezza alimentare mediante i laminati attivi e nell’impiego di fonti rinnovabili. La novità più affascinante, però, coinvolge la domotica attorno alla quale si sta delineando una nuova idea di confezione in grado di comunicare con gli elettrodomestici delle nostre abitazioni.