Percorsi. Con Manguel in viaggio nell'universo di Dante
Dante Alighieri in un’opera di Domenico Peterlini (1822-1891)
«In Dante ci sono immagini che si allontanano e si accomiatano. È difficile scendere le valli del suo verso dai mille addii»: la formula di Osip Mandel’štam ( Conversazione su Dante, 1933) s’associa, nell’itinerario proposto da Alberto Manguel a quella di sant’Ambrogio: «Né ci conviene fuggire per nave, cocchio, o su cavalli che inciampano e cadono, ma fuggiamo piuttosto con le nostre menti»; la Commedia che qui ci viene proposta si apre dalla tomba di Dante, da cui inizia -con il sensibile sguardo di Nicola Smerilli – un itinerario oltre gli orizzonti del visibile e del presente: «La sua [di Dante] contemporaneità è inesauribile, incalcolabile e inestinguibile » (ancora Mandel’štam). Il viaggio della Commedia ha preso avvio là dove s’era chiuso il destino terreno del suo autore. Il volume Dante. Orizzonti dell’esilio / Landscapes of Exile, illustrato con 89 fotografie a colori, Olschki, pagine 152, euro 60,00), meditato insieme da Alberto Manguel e da Nicola Smerilli, mette in viaggio verso l’infinito e verso l’essenziale; unirli è tensione che deve farci convergere verso un corale contemplare «il respiro dell’universo nel respiro della parola». Non è dunque sorprendente che il viaggio tra i mondi eterni della Commedia, dal centro della Terra al sommo dell’Empireo, si concluda – in questo libro - con i quattro elementi primigeni, che la Commedia continuamente fonde: terra, fuoco, turbine e ghiaccia nell’Inferno; oceano, roccia, fuoco e ruscelli e immoto aere nel Purgatorio e nel Paradiso terrestre; luminose epifanie nel Paradiso, entro le quali pur si dispiega il ricordo dell’«aiuola» terrena, con le sue parvenze elementali. Si tratta del resto di una prospettiva che le riscritture dantesche nei secoli hanno assunto e animato, sin dallo straordinario poema L’anima peregrina di Tommaso Sardi, domenicano (1460-1517), che ispirandosi alla Commedia – come ha mostrato Alessandro Ferri - e sotto la guida di Mosè (e non di Virgilio) conduce il viator, prima di tutto, ad addentrarsi attraverso i quattro elementi, associati ciascuno a un vizio capitale: la terra alla superbia, l’acqua alla lussuria, l’aria all’invidia e all’ira e il fuoco all’avarizia. Perché ciò che conta – per ogni peregrino – è entrare nell’ordine eterno del cosmo: « Et non di meno anchora havere obbedito [“i cieli e li elementi”] ad la naturante natura quando è paruto ad quella così essere expediente a dimostrare sua infinitissima potentia quando volle el mare s’aprissi, la pietra dessi l’acqua, el Sole fermarsi, e fiumi indietro tornassino, el fuocho di cielo cascassi et moltissime altre cose che per brevità le tacio, salvo che da noi sia contemplato quello alto splendore della lucentissima stella del Sole, el suo ordinatissimo et uniforme et continuo movimento mai ad natura essere stato rebello» (T. Sardi, L’anima peregrina, Proemio I, ed. A. Ferri). Questo libro ci avvia alla soglia incipitaria del creato: poiché prima di ogni viaggio di salvezza, di ogni visione apocalittica, occorre detergere lo sguardo: «[Questi esempi naturali] m’ànno renduto certissimo quanto sia in noi nodato et strecto obligho di epsa natura ad quella fidelissimamente observato, quello da noi essere debba, quanto per li sua amplissimi doni ci obligha a quanto lei naturalmente c’inclina con sollicito studio amare et con effecto quelli exequire» (ibidem). La notte lava la mente, aveva Mario Luzi intitolato la sua riscrittura drammaturgica del Purgatorio, e Dante - non meno – non può accedere alla visione senza aver deterso nelle acque di Leté la memoria della colpa e in quelle di Eunoé aver volto lo sguardo al ben pensare, nella grazia e nella gloria. L’itinerario di Alberto Manguel e le fotografie di Nicola Smerilli sono un esercizio preparatorio alla visione della Commedia: quello di abituarci ad essere assorbiti nello sguardo di Colui che ci contempla, come nelle icone musive ravennati; e ancora quello di lasciarci fluire nel reciproco, armonico, congiungersi degli elementi: acque e nuvole che ascendono ariose, fuochi che si consumano in luce, voli di ali che sono arabeschi dipinti, nel «fiore / di tanta plenitudine volante» ( Paradiso, XXXI, 19-20). E soprattutto ci vien fornita un’idea nuova della Commedia: essa non è soltanto «paesaggio dell’eternità», come giustamente la definì Romano Guardini; ma il poema delinea anche una cosmogonia (non meno ambiziosa che Esiodo e Lucrezio) ove gli elementi primordiali si trasfondono l’un nell’altro e anche con la parvenza umana: lingue di fuoco che parlano, visiere di ghiaccio – che paion cristallo - che mascherano i volti e pietrificano le lacrime; tutto nella Commedia, così come nelle fotografie di Smerilli, è nella tensione, nel rivolgimento, di una metamorfosi di forme, verso un più alto destino o una più crudele sorte. Solo per la Commedia può valere quello che sant’Agostino e prima ancora la tradizione ebraica osservavano a proposito del divin vasaio, come ci richiama Alberto Manguel, citando il Talmud babilonese: «“Nella nostra città ci sono due vasai: uno modella vasi dall’acqua, l’altro modella vasi dall’argilla. Quale dei due è più lodevole?”. “Colui che modella vasi dall’acqua”, fu la risposta, “perché chi sa modellarli dall’acqua, saprà sicuramente modellarli dall’argilla”» ( Sanhédrin , 91a).