Documenti. Con le carte di Montini dentro le stanze di Pio XII
Giovanni Battista Montini arcivescovo di Milano in visita da Pio XII a Roma nel 1956
Prima di lasciare Roma per l’arcidiocesi di Milano, monsignor Montini staccò dal suo bloc-notes parecchi fogli e li raccolse in varie buste, ordinate per anno: dal 1945 al 1954. Un tesoro prezioso. Riguardava il rapporto con Pio XII: l’annotazione dei temi sottoposti da Montini a papa Pacelli e delle questioni che il pontefice gli proponeva. È la testimonianza di un’intensa collaborazione, fatta di grande stima reciproca. Questi fogli sono decisivi, perché il rapporto tra il Sostituto della Segreteria di Stato e il Papa è un canale privilegiato attraverso cui passano molti dei problemi della Santa Sede.
Gli appunti sono scarni, talvolta solo nomi. Non ci si aspetti un diario di bordo del governo vaticano. Eppure l’intelligente pazienza di monsignor Sergio Pagano ha penetrato questi testi, con un corredo di note che illustrano i personaggi di cui si tratta (talvolta sconosciuti), ma anche le questioni sottostanti agli appunti. Pagano ha compiuto una difficile ricerca che rende “eloquenti” i fogli di udienza. I due volumi, da lui curati, aperti da una ricca introduzione (un “piccolo libro” che colloca i documenti nella storia), contano più di 1.200 pagine. Restano un contributo fondamentale per chi affronterà lo studio delle vicende della Chiesa nel decennio centrale del pontificato di Pio XII.
Si vede scorrere tanta vita della Chiesa negli appunti, che Montini prendeva durante le udienze o che teneva sotto gli occhi mentre parlava con papa Pacelli. Personaggi oggi ignoti, riacquistano attualità. Chi era Giabbani di cui si discute nel gennaio 1952? Pio XII parla di lui e Montini annota la “mente” del Papa: «informi meglio». Anselmo Giabbani, priore generale dei camaldolesi era amico intimo del Sostituto, che aveva scelto Camaldoli per i convegni della Fuci e sosteneva il religioso nel suo progetto di riforma monastica. Sarà stata gradita la risposta del papa a Montini, trattandosi di un suo amico? Tra le tante questioni, c’erano vicende minori, che pure toccavano il Sostituto. Si tratta, ad esempio, di monsignor Ronca, prelato di Pompei, che ebbe con Montini un grave scontro sulla Fuci, tanto da determinare un’accusa di modernismo verso il futuro Papa, respinta da Pio XI e dal cardinal Pacelli. Montini dovette abbandonare, per l’incidente, l’attività con gli studenti, cui teneva tanto. Nel dopoguerra, c’era una forte divergenza tra il degasperiano Montini e l’anima del “partito romano”, Ronca. Questi, prelato di Pompei dal 1948, fu severamente rimosso. I sostenitori di Ronca vi videro una rivalsa degli amici di Montini, dopo il trasferimento di questi a Milano. In realtà, dai fogli di udienza si vede come la gestione del prelato di Pompei fosse da tempo problematica. Il 24 maggio 1954, sembra già decisa la misura contro di lui. Nel 1955, dopo la rimozione di Ronca, Montini, «tardi e male informato», gli scrive la partecipazione al suo dolore.
Nella “quotidiana conversazione” tra il Papa e Montini (due o tre volte a settimana per circa un’ora) passano questioni rilevanti, come la vicenda dei preti operai in Francia, i problemi dell’Ordine di Malta, l’attentato a Togliatti o le travagliate elezioni al Comune di Roma per fare qualche esempio. Lo storico, che saprà interrogare questi fogli, vi troverà piste di grande interesse. C’è, almeno in buona parte, il cuore delle preoccupazioni di Pio XII. Si vede il ruolo del Sostituto che gestiva anche la commissione soccorsi e l’ufficio informazioni per i prigionieri di guerra, che avevano fatto un enorme lavoro durante la guerra mondiale.
Si è a lungo vociferato della non perfetta identità di vedute tra la prima sezione, guidata da Tardini e quella di Montini. Questi disse con garbo all’amico Guitton: « Non crederà che a Roma non siamo mai divisi». E Tardini da parte sua: «Uno più uno non fa due, quando si tratta di esseri umani, ma fa esattamente uno e uno». Tuttavia Pagano acutamente osserva come la sezione di Montini «acquistò sempre maggior peso e risalto», perché Pio XII affidava a lui un numero crescente di affari che prima erano trattati dalla prima sezione. Lo si vede dai fogli di udienza. Il Papa rafforzò la sezione degli affari ordinari di Montini, per fiducia nel prelato, ma anche per una sua filosofia di governo.
Montini, divenuto Paolo VI, nella riforma della Curia fece della Segreteria di Stato il fulcro del governo vaticano e promosse la sezione degli affari ordinari a prima sezione, mentre l’altra (un tempo guidata da Tardini) divenne la seconda dedicata agli affari internazionali. Pio XII evidentemente non sapeva di trattare con il suo secondo successore, ma è chiara la sua alta considerazione per il prelato bresciano. Era un grande lavoratore. Mi disse il cardinal Ottaviani con ironia: «Era una macchina da lavoro; ci fregava tutti».
Montini mantenne sempre la sua stima per Pio XII, difendendolo dall’accusa dei silenzi sulla Shoah. Non amava però il suo entourage: madre Pascalina, Gedda o altri, soprattutto il cosiddetto “partito romano”. Ma non considerava Pacelli espressione di questo ambiente. Per lui Pio XII – lo dice nel 1956 – è tra i papi che hanno più accostato la Chiesa al mondo contemporaneo. Leggendo i documenti pubblicati da Pagano, un vero indice dell’attività del Papa, si vedono scorrere udienze che sono state una scuola per Paolo VI. L’ultima è del 28 novembre 1954 e poi si interrompe la documentazione, perché Montini andò arcivescovo a Milano.
Di fronte a tanta collaborazione tra il papa e Montini, viene da chiedersi perché questi lo abbia allontanato. Padre Giabbani, che lo visitò dopo la nomina, lo trovò abbattuto. Era per lui un allontanamento. Resta l’interrogativo sul giudizio del pontefice verso Montini. L’autore non sfugge la domanda e smentisce, con i documenti, che il “caso Rossi” sia all’origine della decisione papale (si è detto che Montini avrebbe trattenuto la lettera di dimissioni di Rossi da presidente dei giovani cattolici). Si è identificato il motivo della “promozione” nelle divergenze politiche con Gedda o in iniziative non autorizzate di Montini verso l’Est. La realtà è più semplice. Da tempo il “partito romano” vedeva in Montini un pericolo per il futuro della Chiesa (considerandolo «non sicuro»).
Dopo la morte del cardinal Schuster, il cardinal Pizzardo fu mandato da questo gruppo a suggerire il nome di Montini. Questo mi raccontò Loris Capovilla, segretario di Giovanni XXIII e amico di Dell’Acqua. Si legge nel diario di Lombardi, famoso predicatore gesuita, un giudizio di madre Pascalina sul prelato: «sebbene il Papa lo difenda sempre: sembra non fedele interprete di lui». Le pressioni anti-montiniane furono forti e, alla fine, Pio XII si privò del suo collaboratore, forse per preservarlo e affidarlo al futuro. La Provvidenza – secondo il Papa – avrebbe deciso del suo ruolo nella Chiesa. Montini sentì il dolore del distacco. Chi comprese tutto fu Giorgio La Pira, opportunamente citato da Pagano: «Chissà che il Signore non abbia preparato, con questo fatto, il suo Vicario di domani?».