Agorà

INTERVISTA. Con la vita appesa a un filo

Angelo Fiombo giovedì 2 giugno 2011
Andrea Loreni non ha nulla della dolcezza efebica e ste­reotipata del funambolo. Non sembra uscito da un film di Charlie Chaplin, né da un dipinto di Marc Chagall. Sembra piuttosto Max Von Sydow nei panni del mal­vagio Ming nel film Flash Gordon: sguardo istrionico, pizzetto alla Gengis Khan, testa pelata. Ma, si sa, l’abito non fa il monaco e, quindi, nemmeno il funambolo. Poi, quan­do lo si sente parlare, la voce è quel­la di un bambino con un leggero accento piemontese (a Torino An­drea è nato 36 anni fa). Una voce ri­masta innocente, pura, tonificata dall’aria limpida delle altezze che è abituato a sfidare. E la sfida di sabato prossimo a Pen­nabilli è di quelle che resteranno nella storia del funambolismo. Per­ché proprio nel pittoresco paesino del Montefeltro Andrea ha deciso di provare una traversata memorabi-­le: l’impresa di percorrere su una fune sospesa a 90 metri d’altezza i 250 metri (record italiano) che se­parano i colli di Penna e di Billi. U­na traversata al cardiopalma. Esi­bitosi già in Piazza Maggiore a Bo­logna, in Piazza della Signoria a Fi­renze, sulla Mole Antonelliana di Torino, a Mestre per il Carnevale e ancora a Torino per festeggiare l’U­nità d’Italia, Loreni sarà a Penna­billi per tentare un nuovo record. Una passione, quella del funam­bolismo, sviluppatasi in «tarda» età, dopo la laurea in filosofia, quando Andrea si dedica al teatro di strada e inizia ad allenarsi sul filo teso, un attrezzo che lo porterà a scoprire il fascino dell’equilibrio come ricer­ca. Questo stile di vita insolito lo spinge fino a costruirsi una casa su un albero: suo rifugio e dimora du­rante i periodi di allenamento. «Il padre della mia fidanzata ai tem­pi dell’università mi disse: 'Nella vita non si può fare sempre quello che si vuole'. Ecco, questa è stata la mia prima sfida: fare veramente quello che volevo. Dimostrare agli altri e a me stesso che potevo vive­re camminando sulla corda. Un mestiere affascinante». Perché ha scelto questo strano me­stiere?«Non lo so. Camminare lassù mi fa paura, perché lo faccio? Non ho tro­vato risposte e spesso bastano le domande. Comunque ho trovato molti significati, simboli, richiami in questo camminare sottile, quel­lo che ora prediligo. Metto in rela­zione la paura di camminare con quella di vivere. Camminare lassù da solo mi fa paura, anche vivere mi fa paura, eppure continuo a fa­re entrambe le cose». Si ispira a qualche funambolo in particolare, come il celebre Phi­lippe Petit?«Sicuramente Petit è un grande. Il suo libro Trattato di funambolismo è stato importante per me, soprat­tutto per gli aspetti tecnici del me­stiere. Ma io non mi ispiro a nes­suno in particolare. Mi affascina in­vece il funambolo come figura ar­chetipica e mitica, un essere frutto dell’immaginazione». Cosa significa per lei stare sospe­so a decine di metri in aria e vin­cere la forza di gravità? «Innanzitutto solitudine e terrore. Massima concentrazione. Si crea un vuoto intorno a me. Non vedo il pubblico, non sento nulla. L’e­mozione, la gioia sbocciano solo al­la fine, quando sei arrivato dall’al­tra parte. Quando la 'traversata' è finita. Direi però che il mestiere del funambolo è fatto soprattutto di solitudine. È la solitudine il senti­mento che mi avvolge quando so- no lassù nel cielo». In questo stare lassù e «toccare il cielo con un dito», sente qualcosa di trascendente?«Sì, sicuramente c’è un aspetto tra­scendente, spirituale. Quando sei sospeso sul filo non sei sulla terra e questo può sembrare ovvio, ma nel senso che sei 'da un’altra par­te', in un’altra dimensione: intima e spirituale. Quello che invece non condivido dell’essere funambolo è il fascino dell’estremo, di voler su­perare a tutti i costi il limite. Que­sto gusto un po’ compulsivo per il record. Il funambolismo non è uno sport estremo. Non è fatto per te­ste matte. Bisogna al contrario a­vere un grande senso del limite e soprattutto – come dicevo – paura. Quando non si ha più paura è pro­prio il momento in cui si sbaglia. E l’errore può essere fatale».Perché vuol tentare il record italiano di traversata su fune proprio a Penna­billi?«Due anni fa Enri­co Partisani, il di­rettore artistico del Festival 'Artisti in Piazza' a Penna­billi, mi parlò di u­na sua idea: unire i colli di Penna e di Billi, tra i quali sorge l’omonimo paese, con una traversata. È una sfida nuova per me, e pur presen­tando diverse incognite e diffi­coltà, l’ho accolta con entusiasmo. Dopo anni di pratica sono au­mentati i metri che mi dividono dal suolo e il vuoto sotto di me è di­ventato familiare; ma, nonostante la dimestichezza, la concentrazio­ne dev’essere costante. L’impresa (prevista per le 17 di sabato; in ca­so di condizioni atmosferiche sfa­vorevoli verrà posticipata al giorno seguente alle 14) inoltre presenta non poche difficoltà anche in fase di preparazione. L’allestimento è stato lungo e complesso. Una ditta specializzata mi ha fornito uno spe­ciale cavo di acciaio del diametro di 14 millimetri che dev’essere teso tra due paranchi per oltre 250 metri. Al­tri tensori servono per bilanciare le o­scillazioni del cavo principale sul qua­le camminerò. Se si pensa che uno spo­stamento iniziale di 1 centimetro può provocare un ab­bassamento di oltre 1 metro al cen­tro del cavo, i rischi ci sono…». È dura vivere in Italia facendo il fu­nambolo?«Sì, certo. A me è andata bene. Di­ciamo che ero al posto giusto al momento giusto ed ora, grazie an­che alla notorietà conseguita, ho parecchie offerte di lavoro. Ma og­gi è aumentata anche la concor­renza».