Idee. L'incontro tra arte e carcere: corriamo il rischio di riaprire lo sguardo
Papa Francesco in visita alla Casa di reclusione femminile della Giudecca, il 28 aprile 2024. L'immagine è parte di un servizio fotografico esclusivo pubblicato nel catalogo del Padiglione della Santa Sede alla Biennale
Pubblichiamo in anteprima il testo introduttivo del cardinale José Tolentino de Mendonça a Con i miei occhi, il catalogo dell'omonimo Padiglione della Santa Sede alla Biennale di Venezia, edito da Marsilio Arte. Il volume, curato da Chiara Parisi e Bruno Racine e realizzato sotto la direzione artistica di Irma Boom, contiene anche una prefazione di papa Francesco, i testi degli artisti e delle detenute, e un reportage del fotografo Juergen Teller sulla storica visita del pontefice alla Casa di reclusione femminile della Giudecca, sede del Padiglione, il 28 aprile scorso. Il catalogo verrà presentato oggi alle 18 nelle Gallerie d'Italia di Intesa Sanpaolo a Milano.
Non è forse una coincidenza che la Santa Sede abbia scelto di presentare il proprio Padiglione alla Biennale di Venezia in un luogo apparentemente così inaspettato come il carcere di reclusione femminile dell’isola della Giudecca. E non è certo a caso che il titolo del Padiglione, “Con i miei occhi”, voglia farci concentrare sull’importanza dello sguardo e riproporlo come indispensabile dispositivo di costruzione culturale e spirituale, opera di cui siamo responsabili tutti. Viviamo in un’epoca in cui, con l’esplosione del digitale e il trionfo delle tecnologie di comunicazione a distanza, lo sguardo umano è sempre più filtrato, differito e indiretto, con il conseguente rischio di rimanere come staccato dalla realtà stessa. La contemporaneità moltiplica indefinitamente l’esercizio mediato dello sguardo, determinandone la spettacolarizzazione, come ha acutamente denunciato Guy Debord, e al tempo stesso disattivando o precludendo quella che possiamo considerare essere la sua nuda pratica. Vedere con i propri occhi, però, conferisce al vedere uno statuto politico unico, poiché ci coinvolge direttamente nella realtà e ci costituisce non come semplici spettatori, ma come testimoni. Una lettura possibile del tema generale della Biennale, “Stranieri ovunque”, è anche la problematizzazione di questo straniamento dello sguardo. I nostri occhi trasformati in “stranieri ovunque” sono capaci, sì, di registrare e annotare, ma non più di vedere.
C’è dunque, nel campo dello sguardo, una sorta di cittadinanza da riconquistare. Nell’anno in cui la Biennale d’arte celebra la sua sessantesima edizione, cadono i sessant’anni della prima proiezione, a Venezia, del film Il Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini. Il regista spiegava all’epoca che il suo fascino per lo sguardo di Gesù risiedeva nel fatto che questi si pone «ai limiti della metaforicità, fino ad essere una realtà». Basta ricordare quanto ci viene detto nel celebre capitolo 25 del Vangelo di Matteo: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi». E tutti concludono con la domanda: «Signore, quando ti abbiamo visto?». È, questo, uno dei testi biblici più commentati da papa Francesco, il primo pontefice a visitare la Biennale. Afferma Francesco: «A noi è richiesto di rimanere vigili come sentinelle, perché non accada che […] lo sguardo si indebolisca e diventi incapace di mirare all’essenziale».
Riacquisire la capacità di guardare alla realtà, come punto di partenza per ridisegnarla, coreografando possibilità sociali nuove nella linea del dialogo, della cura di tutto il creato e della cultura dell’incontro – è anche questo ciò che papa Francesco ha ricordato agli artisti nello storico incontro di giugno 2023 alla Cappella Sistina. «Voi artisti – disse allora il Santo Padre – avete la capacità di sognare nuove versioni del mondo. La capacità d’introdurre novità nella storia. Per questo […] assomigliate anche ai veggenti. […] Sapete guardare le cose sia in profondità sia in lontananza, come sentinelle che stringono gli occhi per scrutare l’orizzonte». Proprio questo Rimbaud aveva indicato come programma capace di rifondare la poetica della modernità: «Bisogna essere veggenti, farsi veggenti».
Farci carico della responsabilità che comporta il vedere con i propri occhi non ci consente di restare a osservare la storia blindati in un centro o inscritti in una zona di asserita neutralità che altro non è che la salvaguardia di una comfort zone. Guardare ci espone al rischio (che raramente è confortevole), ci propone contesti di itineranza e di interazione (che ci obbligano a decostruire tanti automatismi), ci avvicina, sempre per citare Rimbaud, a «cose inaudite e innominabili» (che sono parti costitutive del reale, ma che preferiamo rimuovere). Nella filologia della parola “sentinella” pulsa questo richiamo a farci custodi della sentina, che è lo spazio, nella parte più bassa della nave, dove si deposita l’acqua proveniente dalla pioggia o dal mare agitato. La sentina ci dà una visione anti-eroica della nave, priva di glamour, ma profondamente attenta al reale e alle sue infiltrazioni, che dobbiamo abbracciare. Diventare sentinelle informa i nostri occhi che non stiamo guardando la realtà solo dal di fuori, ma che, come scrisse Blaise Pascal, «siamo imbarcati» e siamo posti davanti alla necessità delle scelte e della scommessa.
Una parola di gratitudine a Sua Santità papa Francesco che, quando gli ho presentato il progetto di questo padiglione, lo ha approvato e mi ha detto che avrebbe anche voluto vederlo con i suoi occhi. A Bruno Racine e Chiara Parisi, che formano un team curatoriale straordinario. Agli artisti Bintou Dembélé, Claire Fontaine, Claire Tabouret, Corita Kent, Maurizio Cattelan, Marco Perego e Zoe Saldana, Simone Fattal e Sonia Gomes, che hanno accettato questa sfida e che ci offrono visioni e domande che non dimenticheremo. A quanti hanno dato il meglio di sé nella produzione del padiglione: al collettivo di COR arquitectos, e in particolare all’impegno degli architetti Roberto Cremascoli e Flavia Chiavaroli. Alle autorità che rappresentano il ministero della Giustizia italiano, tanto a livello nazionale come nel Carcere di Reclusione Femminile dell’isola della Giudecca, insuperabili nell’apertura che ha reso possibile questa collaborazione con la Santa Sede. Al partner principale nella sponsorizzazione di questo progetto, Intesa Sanpaolo. Al Patriarcato di Venezia, nella persona del suo Patriarca, monsignor Francesco Moraglia. Alle fondazioni “Casa dello Spirito e delle arti” e “Gravissimum educationis”, come pure ai membri del comitato promotore. Al dono rappresentato dall’amicizia di Arnoldo Mosca Mondadori. E un sentito “grazie” a ogni singola donna residente nel carcere, i cui occhi interpellano e allargano lo sguardo del nostro mondo.
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