Parma. Con i Farnese venne la prima globalizzazione
Una vista del teatro farnese
Per concludere le celebrazioni come Capitale della Cultura, Parma scava nelle proprie origini moderne con una mostra, come usa dire oggi, a chilometro zero, nel senso che la maggioranza delle opere esposte provengono da collezioni museali o private del territorio e dintorni, con un cospicuo apporto partenopeo da Capodimonte. Ci si potrebbe attendere una mostra d’arte e storia, magari con le solite star, Carracci Correggio e Parmigianino, che peraltro ci sono, mentre quello che è stato orchestrato dal Direttore della Pilotta, Simone Verde, è l’affresco di un orizzonte geopolitico legato alla rinnovata strategia del cattolicesimo romano a partire dal pontificato di Paolo III, alias Alessandro Farnese.
Tiziano, "Ritratto di Paolo III" (Napoli, Museo di Capodimonte) - .
Ho scritto “origini moderne”, com’è giusto, ma in realtà – complice la categoria “Manierismo” e i retropensieri che si sommano a ricordare gli anni 80 e 90 del secolo scorso, e il recupero di stili e culture differenti – mi verrebbe da dire che se per circa due secoli Parma fu il baluardo alla restauratio Romae, i Farnese, raccogliendo la sfida di allargamento planetario promossa da Carlo V d’Asburgo, rappresentano la prima dinastia postmoderna d’Occidente. Essa subentra con una nuova visione storica all’umanesimo classico mediceo, che si restringe in Italia e a Roma anche con la sconfitta francese nella più che ventennale guerra con l’imperatore asburgico. E questo, in certo modo, determina anche una diversa idea di Rinascimento: la prima fondata sul recupero dell’autorità degli antichi, la seconda sull’apertura di spazi inediti, con la scoperta delle Indie occidentali e lo sviluppo delle imprese colonizzatrici delle Americhe: passato e futuro si scambiano il testimone senza una soluzione di continuità, in un presente che continua a richiamare l’eredità degli antichi ma la integra, per la prima volta, grazie anche all’ampiezza di vedute di Carlo V e Paolo III con le culture altre. Siamo già nell’orizzonte di una geopolitica come la pensiamo oggi, ma ancora salda nella coscienza di essere il centro del mondo.
Si tratta, evidentemente, di una semplificazione, ma questa mostra offre suggestioni decisamente attuali. Il tema è irto di trappole e l’affermazione un tanto azzardata, ma, come scrive Simone Verde nell’introduzione al catalogo della mostra (Electa), con Paolo III e i successivi passaggi dinastici, i Farnese incarnano un potere che riafferma una teologia della storia fondata sul «ruolo provvidenziale di Roma e della Chiesa», mentre Carlo V estende il suo Impero dalle Fiandre alla Spagna all’Italia, Milano, Napoli e le isole. Paolo III è il restauratore, il Papa che, come ricorda il direttore della Pilotta, eletto nel 1534 prese in mano la situazione del mondo e della Chiesa in un periodo assai convulso – la diffusione del protestantesimo dopo le tesi di Lutero; il nemico islamico e le diverse opzioni nello stesso fronte cattolico; i conflitti che insanguinano il Mediterraneo e il Balcani; il Sacco di Roma; lo scisma anglicano; la nuova centralità dell’Atlantico, con i commerci di materie prime dalle Americhe. Prendere in mano le redini della Chiesa costituiva un compito che avrebbe fatto tremare le vene ai polsi al più spregiudicato fra i potenti. Ma il ritratto di Tiziano ci fa capire quanta determinazione, astuzia e psicologia umana si concentravano in Paolo III. La situazione con cui dovette misurarsi, pur nelle assolutamente diverse circostanze storiche, fa pensare alle analogie con il nostro tempo e alla confusione che regna in Europa rispetto al ruolo che potrebbe e dovrebbe avere questa cultura millenaria nei destini del mondo di oggi.
Era in gioco anche una sorta di guerra culturale: Bembo e Giovio, ma anche Reginald Pole (convinto della necessità di una riforma cattolica), erano le punte di diamante di un confronto coi pensatori protestanti, ma occorreva una stretta sul piano religioso, che portò alla nascita dell’Inquisizione e a un rinnovato impegno teologico della Chiesa con l’apertura nel 1545 del concilio di Trento (Paolo III lo meditava già da un decennio). Volendo continuare nell’analogia postmoderna della politica Farnese, essa si rivela anche come forma di globalizzazione ante litteram. Dopo la scoperta dell’America, molti si chiedevano perché Dio avesse fino ad allora tenuto nascosta l’esistenza di un nuovo continente. Oggi non ci sono continenti nuovi da scoprire, ma se domani dovessimo apprendere che esiste una forma di vita nel cosmo, lo sconvolgimento non sarebbe minore. Che ruolo gioca dunque la scoperta delle Indie Occidentali nella visione provvidenziale della Chiesa? Ariosto pensava che se quel continente rimase sconosciuto fino a quel momento, fu per volontà di Dio.
Anonimo messicano, "Messa di San Gregorio" (Auch, Museo delle Americhe) - .
L’allargamento dell’orizzonte e la centralità di Roma: due visioni da conciliare, anche nella sottintesa relazione con Gerusalemme rispetto ai conflitti che insanguinavano il Mediterraneo e per l’avanzata ottomana. Si stava imponendo una nuova ampiezza di vedute. Così il resoconto di un tal Francesco De Marchi del matrimonio nel 1565 del rampollo Farnese con Maria d’Aviz, nipote del re del Portogallo, ci parla del banchetto con «vivande di molti e diversi paesi, quivi per gran miracolo recate, cioè delle Indie Orientali e Occidentali», cioè di un mondo “globalizzato”, così che in tavola fra le altre «rare cose» si potevano trovare le «acque del fiume Gange, del fiume Indo, del fiume sale e di un altro gran fiume che dicono nascere dalle altissime montagne delle isole Molucche». Non è forse questa proprio una delle caratteristiche del mondo globalizzato di oggi: la varietà gastronomica che si afferma anche con l’apertura di ristoranti 'etnici' in tutto il mondo sviluppato?
Giustamente Simone Verde nota che la cultura gastronomica ha anche sottintesi teologici: questi quattro fiumi, infatti, «sembrano soppiantare nella realtà geografica del pianeta quelli che nel racconto biblico si dipartono dal Giardino dell’Eden e da lì ripartiscono le terre emerse del globo: il Fison, il Gehon, il Tigri e l’Eufrate». Non passerà nemmeno un secolo che l’Ecclesia triumphans potrà saprà rinunciare al Tevere, la cui acqua è «la più perfetta ed eccellente» al mondo, e nella fontana dei Quattro fiumi di Piazza Navona Bernini chiamerà a testimoni di una nuova geopolitica teologica il Danubio, il Gange, il Nilo e il Rio de la Plata. Oltre lo sfarzo sfarzo barocco (di cui testimoniano i due busti marmorei di Ranuccio II Farnese quarantenne e cinquantenne scolpiti dal Bernini e bottega) il compimento della globalizzazione cattolica si avvale della forza missionaria espressa dai gesuiti, milizia della fede capace di dialogare con le culture altre senza negare l’essenza del cristianesimo. Come scrisse il gesuita Hugo Rahner in uno dei suoi saggi più famosi, Miti greci nella interpretazione cristiana, è la logica di “adattamento” che fu già di Paolo nell’Aeropago: i gesuiti nelle loro missioni evangelizzano i nuovi pagani adattandosi al loro vocabolario e favorendo una espressione delle verità cristiane secondo le loro tradizioni. Ne testimonia una collezione d’arte di cui la mostra offre una succinta ma puntuale wunderkammer nella quale si specchia anche la geopolitica di una nuova cristianità.
G.L. Bernini e bottega, "Ranuccio II Farnese" (Parma, Pilotta) - .
Oltre ai grandi progetti architettonici a Roma e nei vari ducati creati da Paolo III, che coinvolgono architetti come Antonio da Sangallo jr, Jacopo Barozzi (il prisma pentagonale a Caprarola), Giacinto Barozzi (Palazzo di Piacenza), Simone Mosca, G. B. Aleotti ( Teatro Farnese), Francesco Paciotti (Pilotta), nella logica del rapporto fra arte e potere non meno importanza hanno opere apparentemente marginali come l’orologio astronomico di Chlauser, le testimonianze amerinde (la splendida noce di cocco intagliata), o il “mosaico di piume pigmenti e oro” dell’indigeno messicano che rappresenta la Messa di San Gregorio. A cui si accostano opere in pietre dure, d’oreficeria, in cristallo di rocca che dicono tutta la raffinatezza di questa dinastia di mecenati attenta alla musica, alla scienza e alla scrittura, alla geografia e alla teologia. Il catalogo della mostra è assai ben fatto e documenta con saggi brevi le varie sfaccettature culturali, politiche e storiche della magnificenza Farnese.