Memoria. Con Helen Mirren nella stanza di Anne Frank
Oggi avrebbe avuto novant’anni, Anne Frank. Invece il 4 agosto 1944 era stata strappata al suo rifugio segreto, “la casa nel retro”, nello stabile di Prinsengracht 263, ad Amsterdam, e deportata a nel campo di concentramento di Bergen-Belsen, in Germania, dove morì insieme alla sorella Margot nel febbraio del 1945. Se fosse ancora viva oggi inorridirebbe di fronte alla nuova ondata di razzismo e antisemitismo che sta scuotendo l’Europa e che costringerà la senatrice Liliana Segre, sopravvissuta ad Auschwitz, a muoversi sotto scorta a causa degli insulti e delle minacce ricevute. E chissà quanti altri diari avrebbe scritto dopo quello a quadretti rosso e bianco che il padre Otto le regalò per il suo dodicesimo compleanno. Un diario riempito immaginando di parlare all’amica immaginaria Kitty, capace di trasformare una ragazzina cresciuta troppo in fretta nel simbolo degli orrori della Shoah, trovato nell’alloggio segreto da Miep Gies e Bep Voskuijl (che avevano aiutato i Frank a nascondersi), conservato nella speranza di poterlo restituire ad Anne e poi consegnato al padre, unico sopravvissuto della famiglia, che decise di pubblicarlo dopo molti tormenti, solo per esaudire il desiderio di Anne, che aveva scritto «Voglio continuare a vivere anche dopo la mia morte».
Per commemorare questo anniversario, per avvicinare la storia di Anne Frank alle nuove generazioni, dimostrare la contemporaneità del suo messaggio e per ricordare che molti altri bambini e adolescenti andarono incontro alla medesima sorte, è nato il docufilm #Annefrank. Vite parallele, scritto e diretto da Sabina Fedeli e Anna Migotto, prodotto da 3D Produzioni e Nexo Digital con Rai Cinema, in collaborazione con Anne Frank Fonds di Basilea e Il Piccolo Teatro di Milano-Teatro d’Europa e il patrocinio dell’Unione delle comunità ebraiche italiane. Distribuito in oltre trecento sale l’11, 12 e 13 novembre, ma destinato poi a circolare nelle scuole e a essere trasmesso dalla Rai, il film è stato presentato ieri a Milano da Gad Lerner con le registe, Didi Gnocchi, Franco di Sarro, Paola Malanga, Yves Kugelmann, Sergio Escobar, Giorgio Mortara e Arianna Szörenyl, testimone della Shoah e tra le protagoniste del film. Helen Mirren, regina dello schermo e dei palcoscenici britannici, accompagna gli spettatori attraverso le parole del diario di Anne muovendosi nella cameretta del rifugio di Amsterdam che, minuziosamente ricostruito dagli scenografi del Piccolo, ci riporta al 1942, tra gli oggetti della giovane reclusa, le fotografie con cui aveva tappezzato le pareti per non smettere di sognare, i quaderni su cui scriveva riflettendo con estrema lucidità su quello che stava accadendo.
L’attrice Martina Gatti ci guida invece in giro per l’Europa, attraverso i luoghi di Anne, gli stessi delle superstiti della Shoah intervistate nel film, alla scoperta delle tappe di una vita tanto breve quanto significativa, che diventa oggetto di un diario digitale rivolto al pubblico dei giovani e con la quale ci si sente sempre più in sintonia. La Shoah, calata nella realtà di oggi, è più che mai capace di dialogare con le nuove generazioni, mettendole in allerta: come diceva Primo Levi, la peste è sconfitta ma l’infezione ancora serpeggia. Che vita avrebbe avuto Anne? Aveva paura? Riusciva ancora a sperare? Cosa sognava? E noi al posto suo avremmo avuto lo stesso coraggio? Viaggiando tra Bergen-Belsen, Auschwitz, Theresienstadt, i Memoriali della Shoah di Parigi, Milano, Drancy, Skopje, musei e sinagoghe, il film ci avvicina alla vita delle sopravvissute, da Helga Weiss, autrice anche lei di un diario fatto per lo più di disegni dove descriveva ciò che vedeva a Theresienstadt, a Sara Montard e Fanny Hochbaum, anche loro bambine nascoste, e Doris Gozdanovicová. Fino ad Arianna Szörenyl, che incontrò Anne Frank, alle sorelle Tatiana e Andra Bucci che, scambiate per gemelle, sfuggirono agli esperimenti di Mengele, il “dottor morte”. Si parla, anche con l’aiuto di storici, giornalisti e docenti, delle loro drammatiche esperienze, delle ferite che si trasmettono di generazione in generazione, ma anche della loro rinascita, di come i bambini sopravvivevano nei campi di sterminio giocando con i propri pidocchi, di come la vita ha trionfato sull’orrore. «I miei figli e i miei nipoti sono la grande vendetta contro i nazisti», dice la Hochbaum. «Il senso del film – ha detto Lerner – è ben sintetizzato dal suo manifesto in cui il volto di Anne, divenuto un’icona, talvolta oggetto purtroppo di banalizzazioni e volgari teorie negazioniste, trova il suo posto tra altre ragazze come lei, più fortunate però, perché sopravvissute. E non bisogna dimenticare che prima di essere deportata, Anne Frank è stata una profuga, non lontana da chi oggi fugge guerre e violenze». «Una storia del passato – aggiunge Sabina Fedeli – per parlare del mondo di oggi, un mondo dove sui social si leggono frasi come “Hitler non ha fatto fino in fondo il suo lavoro”, una vergogna». «Speriamo di aver messo un piccolo sasso nella gigantesca macchina dell’odio», conclude Anna Migotto, mentre Montana e Malanga insistono sulla necessità di lavorare per l’informazione e la formazione dei più giovani. In occasione dell’uscita del docufilm nasce anche il profilo Instagram @CaraAnneFrank, grazie al quale è possibile “confrontarsi” con Anne e altre testimoni sul tema della memoria.