Cosa salverà il mondo? L’innocenza. «Questa nostra epoca mi spaventa. L’oggi diventa sempre più indecente. E l’unico modo per "resettarlo", per mandare all’aria questo nefasto sistema di disvalori che ci domina, è quello di affidarsi all’innocenza, alla purezza, all’ingenuità». Da una parte l’indecorosa avidità di un padre; dall’altra l’ingenuità «più sprovveduta, più disarmante» di un figlio. Contrapponendo Christian De Sica (al suo primo ruolo "serio" dopo molti, forse troppi film "comicaroli") a Nicola Nocella (debuttante del Centro Sperimentale di Cinematografia, segnalato dal suo maestro Giancarlo Giannini), Pupi Avati racconta il confronto fra egoismo e bontà in
Il figlio più piccolo, il film con cui (dal 19 febbraio in 300 cinema) il regista bolognese "prende posizione".«Io non ho mai fatto film di denuncia – riflette –. Ho sempre pensato che, prima di contestare qualcosa, avrei dovuto transitare davanti ad uno specchio e, semmai, contestare me stesso. Ma in questi ultimi tempi la realtà che vedo attorno a me è talmente indecente, e non solo per la politica, ma proprio per la scorretteza, la volgarità, l’indifferenza con cui oggi si commette il peggio del peggio, che perfino un moderato come me deve insorgere. Ecco,
Il figlio più piccolo è il mio modo per dire la mia indignazione e candidare, al posto di tanta cinica durezza, l’ingenuità più sprovveduta, più disarmante».Dopo il padre inadempiente di
La cena per farli conoscere e il padre che ama in modo sbagliato di
Il papà di giovanna, stavolta tocca «al padre più infame dei tre – sintetizza Avati –. Un industriale, aduso a spregiudicate scalate finanziarie, che abbandona moglie (Laura Morante) e figli già grandi il giorno stesso del matrimonio, per lanciarsi con un cinico socio (Luca Zingaretti) nell’ennesimo affare "disinvolto". Finché, dopo pasticci d’ogni tipo, per salvare se stesso dal tracollo finanziario coinvolge il figlio più piccolo (Nocella), talmente candido e innamorato del padre da accettare qualsiasi cosa, pur di averlo ancora accanto». Evidenti gli agganci con le recenti cronache sui "furbetti del quartierino" («Non lo nego, sarebbe nascondersi dietro un dito»); evidente l’intento, come già con Delle Piane, Abatantuono, Albanese e Greggio, di trasformare un "comico" in attore "drammatico". «Ho 59 anni, e questo personaggio così diverso me lo sono meritato – esclama Christian De Sica –. Io ho cominciato con Rossellini e con mio padre, ho lavorato con innumerevoli registi e sono riuscito a fregarli tutti, nel senso che sono riuscito a imporre a tutti il mio mestiere. Tranne che a Pupi. Mi teneva sulla corda: "Parla piano, non esagerare, non eccedere – mi ripeteva –, sennò sei falso". Il suo cinema mi ricorda quello di papà. Entrambi hanno una sensibilità quasi femminea; entrambi sembrano sicuri di sé pur essendo timidissimi. Speriamo che ora anche altri produttori pensino a me in modo un po’ diverso». Allora è vero che potrebbe rinunciare al prossimo "cinepanettone"? «L’ultimo, pur avendo incassato 3 milioni in meno, ne ha pur sempre totalizzati 23. Però è vero che qualcosa andrà cambiato. Ne discuteremo presto con Aurelio De Laurentiis e Neri Parenti. E forse, chissà, quel che dovranno cambiare sarò proprio io».