Se ne è andato lo scrittore che ha saputo imporsi come un simbolo della letteratura latinoamericana, grazie a un libro, pubblicato nel 1967,
Cent’anni di solitudine che è stato un “luogo generazionale” di primissimo piano negli anni della contestazione.Un libro letto, amato e citato che apriva a un realismo magico che raccontava un’epica solitaria e creativa, già nella possibilità di inventare un mondo proprio entro il quale riconoscersi, sognare, pensare di poter porre le istanze per un mondo nuovo.Era nato nel 1928 in un piccolo villaggio della Colombia, ma cresce, con i nonni, in una vicina cittadina caraibica. Dopo la laurea inizia l’attività giornalistica che lo impegna nel decennio degli anni Cinquanta. Lo scrittore non ha mai nascosto il suo pensiero politico, sempre vicino alla sinistra radicale latinoamericana. Si concesse anche una pausa creativa per protestare contro il regime di Pinochet in Cile. Una grande amicizia con Fidel Castro lo lega alla Rivoluzione cubana da anni, da quando dopo la vittoria di Castro visita Cuba e lavora, prima a Bogotá poi a New York, per l’agenzia “Prensa latina”, fondata dallo stesso Castro. Una vicinanza che gli ha portato numerose critiche: significative sono state quelle di Susan Sontag e di Mario Vargas Llosa.Aveva quarant’anni Gabriel García Márquez quando aveva scritto il racconto Monologo di Isabel, dove dà vita a Macondo, quell’incandescente spazio narrativo, tanto immaginario quanto reale, che sarebbe diventato il più celebrato e amato luogo letterario del nostro tempo. Con Macondo, García Márquez aveva inaugurato l’epoca del realismo magico, la commistione tra la realtà drammatica dell’America Latina e la dimensione leggendaria e mitica che lo aveva consacrato come uno dei più importanti autori della letteratura a livello internazionale, tanto che nel 1982 gli era stato assegnato il premio Nobel per la letteratura.Pubblicato alla fine degli anni Sessanta, scritto in diciotto mesi ma meditato per più di quindici anni, Cent’anni di solitudine rimane uno tra i romanzi più amati di sempre. Racconta i cent’anni di solitudine della grande famiglia Buendía, i cui componenti sembrano essere mossi da un proprio ineluttabile destino. Attraverso Macondo, il mitico villaggio sperduto fra le paludi, García Márquez riesce a creare un vero e proprio paradigma dell’esistenza umana, che si muove in un universo di solitudini incrociate.
Un'analisi più approfondita sarà pubblicata sul numero di domani di Avvenire