Lo storico De Giorgi. «Comunismo, una fede tragica»
Militari e lavoratori in piazza a San Pietroburgo nel febbraio 1917.
Lo storico Fulvio De Giorgi è docente all’Università di Modena e Reggio Emilia. A un secolo dalla rivoluzione russa del 1917, gli abbiamo chiesto di tracciare un bilancio della lettura del comunismo in una prospettiva cristiana.
Professor De Giorgi, il comunismo, sia pure fallimentare sul piano storico, e foriero di spaventose tragedie, è stato un messianesimo umanitario, immanentista, materialista, che ha comunque rappresentato una speranza attrattiva per milioni e milioni di esseri umani. Maritain parlava, non a caso, di «ultima eresia cristiana».
«C’è stato indubbiamente, al cuore dell’attrazione di massa, che il comunismo ha esercitato nel mondo, un fenomeno mistico-religioso, cioè una fede collettiva, una religione politica popolare. Certo, si trattava di una religione secolare, senza trascendenza, anzi senza Dio: una tragica religione atea. Questa lettura del comunismo non è l’unica, ma è stata da tempo avanzata e ha una sua forte plausibilità: la forza storica, che il comunismo ha indubbiamente ottenuto, non si spiegherebbe altrimenti. In sintesi potremmo dire che il comunismo ha avuto una “fede religiosa” (rovesciata), politica e intra- umana, con un’escatologia profana: un millenarismo storico. Potremmo ricordare De Lubac con le sue analisi sul dramma dell’umanesimo ateo e, ancor più, sulla progenie di Gioacchino da Fiore. Quale che sia la solidità “filologica” di questa tesi, è vero che il comunismo immaginava se stesso al culmine storico di un cammino in tre epoche e come una sorta di possibile paradiso in terra: da ciascuno secondo le sue possibilità a ciascuno secondo i suoi bisogni. Questo credo rivoluzionario incendiava le menti e riscaldava i cuori. Ed è vero che, nella storia del comunismo, ci son stati tanti militanti che sono morti con eroismo, credendo fermamente che valeva la pena dare la vita per la giustizia universale. Purtroppo questa fede nella possibile perfezione terrena (questo “perfettismo”, per dirla con Rosmini) era in realtà disumana e, mancando della vera speranza escatologica trascendente, doveva vedere come nemici e odiare tutti coloro che non si adeguavano ai suoi schemi para-teologici. Così, come sappiamo, quello che - nel sogno ideologicoreligioso - doveva essere il paradiso in terra fu, nella realtà, un inferno orribile, una dittatura fatta di gulag, deportazioni, soppressioni di massa, inquadramento da caserma. L’età dello Spirito del gioachimismo fu realizzata dal comunismo nella forma del totalitarismo: cioè come il nazismo (anche se in forme storico-ideologiche molto diverse). Ma, come osservano tanti studiosi dei totalitarismi contemporanei, il totalitarismo è intrinsecamente una religione politica. E, dunque, ritorniamo allo stesso motivo di fondo».
Il problema del comunismo, da alcuni tra i più illuminati tra i cattolici italiani, come Giorgio La Pira, è stato affrontato mediante il tentativo di introdurre la dimensione della grazia, e cioè di una prospettiva escatologica e di apertura al soprannaturale, laddove l’ideologia pretendeva invece di realizzare obiettivi di progresso e di perfezionamento umano e sociale esclusivamente entro l’orizzonte della natura e della storia. Quanto è stata vincente questa “strategia” lapiriana?
«Faccio una premessa: la storia del comunismo è certo, come ho detto, riportabile alla storia del totalitarismo contemporaneo, ma non solo. C’è pure la più vasta storia del socialismo, variegatissima e che ha visto e vede anche forme di socialismo cristiano accanto alle forme del comunismo sovietico ateo. E poi c’è pure la vicenda del marxismo come filosofia politica materialista, anche questa più vasta del comunismo, ancorché tutti i comunismi realizzati siano stati e siano ancora marxisti. La Pira rifiutava il comunismo come totalitarismo e credeva che per superarlo si dovesse far abbandonare il materialismo marxista. Diceva ai sovietici: tagliate dal grande albero del socialismo il ramo secco dell’ateismo (marxista). Non fu ascoltato e parve un ingenuo utopista. Ma poi il comunismo sovietico è crollato, con infamia. Mentre di La Pira si parla ancora, con rispetto e positivo interesse».
Anche in Italia, vaste masse si sono riconosciute in forze politiche che hanno rappresentato, per così dire, grandi organizzazioni per la costruzione della felicità collettiva. Giovanni XXIII, nel tentativo di dialogare anche con chi fosse attratto dai miraggi di ideologie fallaci, introdusse la famosa distinzione tra errore e errante: ossia, le idee sbagliate sono da condannare, ma le persone meritano in ogni caso assidue attenzioni pastorali.
«La distinzione tra errore (da respingere) ed errante (da amare) era già in Rosmini e credo che Roncalli l’abbia appresa da lui. Oggi, dopo il Concilio Vaticano II, ci sembra quasi ovvia e non è il caso di insistere. Richiamerei invece l’attenzione sulla Octogesima Adveniens del grande Paolo VI che rifiutava totalmente il marxismo, ma poi diceva che “Tra i vari livelli a cui il socialismo si esprime - aspirazione generosa e ricerca di una società più giusta, movimenti storici con organizzazione e scopo politici, ideologia con pretesa di offrire una visione totale e autonoma dell’uomo -, bisogna stabilire delle distinzioni, le quali guideranno le scelte concrete. Tuttavia queste distinzioni non devono tendere a considerare i menzionati livelli come completamente separati e indipendenti” (n. 31). Era un’articolazione analitica molto più complessa, ma anche più ricca e feconda e, aggiungerei, ancora attuale. In due sensi. Da una parte, come canone di interpretazione storica. Per fare una storia profonda - e non superficiale o caricaturale - del comunismo, bisogna considerare nei loro intrecci vari livelli. Anche comunismo e cristianesimo non sono come due rette parallele e reciprocamente estranee. Vi è una bella immagine di Mounier: nel XX secolo comunismo e cristianesimo sono abbracciati insieme nella lotta, come Giacobbe e l’Angelo. Non si può fare la storia contemporanea dell’uno senza considerare l’altro. D’altra parte, dicendo che bisogna fare delle distinzioni che guideranno le scelte concrete, Paolo VI ammetteva la possibilità di un socialismo cristiano (come si è avuto in Africa con Nyerere o in altre parti del mondo e anche in Europa). E oggi, a fronte del gigantesco problema dato dalla globalizzazione neoliberale e al parallelo franare delle sinistre socialiste “laiche”, non avremmo forse bisogno di un “socialismo spirituale” (per usare un’espressione di Giuseppe Dossetti)?».