Agorà

Progetto. Computer come cervello, rivolta degli scienziati

Andrea Lavazza martedì 8 luglio 2014
Di fronte alla prospettiva di un finanziamento di 1,2 miliardi di euro, la cosa che ci si poteva aspettare è che gli studiosi si mettessero in fila per partecipare al progetto del decennio. E se per qualche mese è stato così, adesso sta scoppiando un’inedita e piuttosto clamorosa protesta per modificarne obiettivi e modalità di attuazione, con decine di scienziati pronti a rinunciare ai propri fondi. Stiamo parlando dello Human Brain Project, una delle due grandi iniziative scientifiche dell’Unione europea (insieme al progetto grafene), su cui per i prossimi dieci anni dovrebbe concentrarsi lo sforzo di ricerca del Continente. Una lettera, sottoscritta finora da quasi 350 ricercatori (ma continuano ad aggiungersi firme; http://www.neurofuture.eu ), contesta ora la bontà del programma, che sarebbe votato al fallimento rispetto ai suoi ambizioni scopi. L’obiettivo infatti è quello di riprodurre in un supercomputer il funzionamento di almeno una parte del cervello umano partendo dai dati oggi a disposizione e da quelli che nel decennio verranno raccolti. Un’impresa giustificata dal progresso dell’information technology e dalla determinazione del capofila del progetto, Henry Markram, che da anni a Losanna ha avviato la sperimentazione con la collaborazione della Ibm. Nel 2005 fu realizzata la simulazione digitale di un singolo neurone. Successivamente, quella dell'attività neurale di una colonna della corteccia di un ratto (circa 10mila cellule nervose). Recentemente, si è arrivati al modello di un circuito neocorticale (100 colonne, per circa un milione di neuroni). Bisogna però considerare che il cervello umano è composto da circa cento miliardi di neuroni con un numero straordinario di connessioni tra di essi, cosicché l’Human Brain Project dovrà necessariamente operare delle semplificazioni per poter tentare di simulare l’elaborazione in parallelo compiuta dal cervello. I firmatari della lettera inviata alla Commissione europea chiedono perciò che vi sia una revisione del progetto sia rendendolo meno focalizzato sulla simulazione digitale sia riconsiderandolo nella sua struttura amministrativo-scientifica, con maggiore trasparenza e nuovi criteri di assegnazione delle risorse. Tra gli autorevoli studiosi, gli inglesi Frith e Dolan, e gli italiani Giacomo Rizzolatti e Vittorio Gallese (Università di Parma), gli scopritori dei neuroni specchio. Il secondo, attualmente per un periodo in trasferta a Berlino, spiega ad “Avvenire” che “si sta tentando un salto troppo grande in un arco di tempo ridotto. Se le promesse non saranno mantenute, rischiamo un severo contraccolpo sulla credibilità della ricerca neuroscientifica, con tutto quello che ne può conseguire”. Nel merito, Gallese afferma che “lo Human Brain Project piace soprattutto a chi cerca una modellizzazione dell’attività cerebrale, molto meno a chi vuole invece ‘capire chi siamo’, ovvero vi sarà poco coinvolgimento delle neuroscienze cognitive, quelle che studiano le basi delle attività mentali superiori”. Ovviamente, molti sono anche i difensori del progetto in fase di avvio, che ha già l’adesione di oltre 80 istituzioni scientifiche continentali. Lo stesso leader, Markram, ha già replicato, con un messaggio a “Scientific American”, dicendo che la lettera gli pare il frutto di una prospettiva miope, basata su voci e non su fatti, “quando vi è l’occasione di convergere tutti uniti su una grande sfida, che cambia paradigma alla ricerca”, ma ha anche ammesso che “in questo momento sto perdendo la speranza che le neuroscienze possano rispondere alle domande sul funzionamento del cervello e sulle malattie che lo colpiscono”. Anche gli Stati Uniti hanno lanciato un progetto simile (Us Brain Initiative), potenzialmente ancora più ricco, che ha sollevato qualche critica ma non della portata di quelle che stanno montando in Europa. L’esito della vicenda è però tutt’altro che scontato. Difficilmente l’Unione europea farà marcia indietro. Più probabile qualche aggiustamento, se i firmatari continueranno a crescere (per una proporzione si consideri che al Forum della Federazione Europea di Neuroscienze in corso a Milano sono presenti 6mila ricercatori e che gli associati complessivi sono 25mila). E soprattutto se la vicenda arriverà a livello politico, con il rischio di ulteriori spaccature e ricadute negative d’immagine.