Famiglia Cristiana» ha ottant’anni e – come in ogni vera famiglia – festeggia. Tutto iniziò in sordina. Voluto dal fondatore della Società San Paolo, quel don Giacomo Alberione pienamente consapevole dell’opportunità di nuovi «pulpiti di carta», il celebre settimanale fu stampato per la prima volta ad Alba la notte di Natale del 1931. Mille copie che in un anno soltanto divennero ventimila. Venti centesimi per 12 pagine in bianco e nero. «Bisogna cominciare dalla paglia di Betlemme»: così l’apostolo della stampa, beatificato da Giovanni Paolo II nel 2003, già allora convinto della necessità di un periodico d’informazione capace di «parlare di tutto cristianamente» e di entrare nel maggior numero di case (come più tardi avrebbe desiderato anche per la Bibbia). La formula funzionò. E soprattutto la distribuzione: il periodico veniva consegnato porta a porta dalle suore paoline, poi da zelanti propagandisti. Aumentò costantemente la tiratura. Nella seconda guerra mondiale si attesta sulle centomila copie che arrivano a 150.000 nel 1951, 200.000 nel 1953, 300.000 nel 1954, 750.000 nel 1959, più che raddoppiate nel 1965, in un crescendo inarrestabile che, con i suoi numeri benedetti anche grazie alla guida di don Giuseppe Zilli, tiene testa ai rotocalchi. Il «miracolo» è quello di un continuo rinnovamento in sintonia con i cambiamenti generazionali e dei mutamenti della società. Senza tradire le indicazioni di Alberione, tutte dentro il Vangelo. Nel 1980, scomparso prematuramente Zilli, la direzione passa al suo vice don Leonardo Zega, che ne segue le orme e rinnova la distribuzione: passando dai circuiti parrocchiali e per abbonamento (sperimentati per mezzo secolo) anche all’edicola. La sfida diventa alta, esige confronti serrati, non consente modelli autoreferenziali, ma apre nuovi spiragli di evangelizzazione. Il resto non è più storia, ma cronaca di ieri. Compreso il «commissariamento» deciso dalla Santa Sede alla fine degli anni 90 che ha obbligato i paolini di
Famiglia Cristiana a superare alcune divergenze al loro interno. E ha avuto anche l’effetto di dare nuovo smalto a una patente di libertà spesso vivacemente esibita, non senza farsi carico di responsabilità. Quella assunta per aiutare i lettori a guardare a una Chiesa madre oltre che maestra. Quella scelta nel segno di un’informazione onesta e riconoscibile. Merce rara in tempi di crisi economica e di deficit deontologico e che ha portato il settimanale cattolico a criticare i governi di turno quando ha reputato giusto farlo (anche a costo di perdere copie se «la verità rende liberi veramente») e, soprattutto, alla luce della dottrina sociale, dei veri modelli educativi, dell’interesse della famiglia: l’insostituibile «luogo dell’umano», risorsa vera di questo Paese alla quale la testata rimanda sin dal suo nome. Nel suo servizio alla società e alla Chiesa. Famiglia – appunto – cristiana. Non un’istituzione astratta, ma concreta. Un impegno riconosciuto anche dal presidente Napolitano, che l’ha sottolineato tenendo ben presente la carta costituzionale e i valori della vera laicità. Un impegno apprezzato, anche se non da tutti, fuori e dentro la Chiesa. Quale sia poi il volto di questa Chiesa che piace ai giornalisti di Fc e al loro direttore don Antonio Sciortino, oggi che la testata sfiora il mezzo milione di copie a settimana (e la sfida si è portata anche sul sito internet e sui contenuti digitali), è quello di una comunità che non si arrocca nella cura di propri orticelli. Ma dialoga con tutti. Premurosa verso gli ultimi della società, per «dare voce a chi non ha voce...»