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La curiosità. Quei cartoons ispirati al Duce

Roberto Festorazzi martedì 17 novembre 2015
ROMA CENSURA HOLLYWOOD. La censura Usa, in non poche occasioni, intervenne in accordo con l’Italia per ammorbidire film che avrebbero potuto offendere i fascisti. È il caso di una pièce di Robert Sherwood, Idiot’s delight, la cui trasposizione cinematografica conteneva una forte denuncia del militarismo mussoliniano. La vicenda era ambientata in un alberghetto italiano vicino alla Svizzera, dove un gruppo di turisti veniva sorpreso da un raid aereo fascista. Appena ricevuta la sceneggiatura, Joseph Breen dell’Ufficio censura statunitense si mise in moto per disinnescare la mina; la Metro Goldwyn Mayer accettò i suggerimenti, ma non la richiesta di mutare il titolo. Sherwood venne convocato per riscrivere il testo e Breen si recò in Italia per far approvare il copione rimaneggiato. A Roma s’incontrò con Luigi Freddi, capo della Direzione generale di cinematografia. e alla fine la pellicola ricevette il gradimento italiano: eliminato ogni riferimento all’Italia guerrafondaia, rimaneva, sullo sfondo della storia d’amore tra Clark Gable e Norma Shearer, un vago afflato pacifista. Comunque il film, distribuito in America nel 1939, uscì nella Penisola solo 10 anni più tardi, con il titolo Spregiudicati.Il mondo del cinema a stelle e strisce celebrò, con grande enfasi, il carisma di Mussolini, l’uomo che aveva combattuto l’anarchia comunista e riportato un’apparente concordia in Italia. Se ne hanno moltissime prove, alcune delle quali rasentano il grottesco. È il caso di un cortometraggio di animazione della Warner, della celebre serie Merrie Melodies, intitolato «I like mountain music»: vi appare una caricatura del capo del fascismo che, affacciato a un balcone, comanda ai suoi squadristi di intervenire per sventare il colpo di un gruppo di banditi. Per la verità, la raffigurazione dei fascisti è alquanto approssimativa: accorrono armati di baionette, le divise brune anziché nere, ma l’allusione funziona soprattutto per la posa del Duce, che saluta romanamente, con la mascella quadrata.  Il cartoon è del 1933 e documenta come, ancora intorno alla metà degli anni Trenta, prevalesse nella considerazione generale un’immagine positiva del dittatore, quale tutore della legge e dell’ordine. In un altro disegno animato, dello stesso anno, firmato sempre Merrie Melodies e dal titolo «I’ve got to sing a torch song», un Mussolini scimmione monta un cavallo giocattolo, salutando con il braccio levato. Sono gli anni in cui la figura di colui che vie- ne celebrato come il nuovo Cesare gode di grande popolarità presso il pubblico americano. Così come Italo Balbo, che varca l’Oceano con la sua «centuria alata» di trasvolatori, viene portato in trionfo dalle folle delle grandi metropoli della costa atlantica. Nell’autunno del 1937 Vittorio Mussolini, secondogenito del Duce, compì un viaggio a Hollywood con il proposito di suggellare un matrimonio tra il cinema americano e quello italiano. Il rampollo del dittatore, sceneggiatore e produttore, fin da quegli anni aveva cominciato a esercitare una forte influenza sulla cinematografia di regime, stendendo la sua ala protettrice sopra l’ambiente di Cinecittà, il quartiere dei teatri di posa inaugurato dal padre il 28 aprile di quello stesso 1937, a Roma.   Il Duce medesimo aveva intuito le grandi potenzialità del cinema, da lui definito l’arma propagandistica più forte e destinata a celebrare i fasti imperiali del-l’Italia littoria. Il capo del fascismo, dopo cena, si faceva proiettare le novità del grande schermo nella sua saletta privata, a Villa Torlonia. Il giovane Mussolini giunse nella capitale mondiale del cinema per fondare una partnership con Hal Roach, il produttore indipendente dei film di Stanlio e Ollio, a quel tempo legato alla Metro Goldwyn Mayer per la distribuzione nelle sale di proiezione. La società italo-americana avrebbe dovuto chiamarsi «Roach and Mussolini» e adottare un ariete come marchio. La prima pellicola in programma, dal titolo verdiano di Rigoletto, doveva avere per protagonisti, ovviamente, Stan Laurel e Oliver Hardy, noti allora in Italia con i nomi di Cric e Croc. La coppia comica suscitava scoppi di ilarità nello stesso Duce, che giudicava irresistibili le loro gag. L’accordo commerciale, tuttavia, non passò alla fase esecutiva, ma ugualmente Roach liquidò Vittorio Mussolini versandogli mezzo milione di lire a saldo degli obblighi contrattuali. La visita del figliolo del Duce a Hollywood è densa di retroscena curiosi. L’ospite italiano si fece fotografare ad esempio con i ragazzini della serie di cortometraggi cinematografici «Our gang» («Simpatiche canaglie»), produzione che sarebbe stata poi importata nella Penisola, nel dopoguerra, e trasformata in telefilm. A Vittorio Mussolini, che il 27 settembre di quel 1937 compì 21 anni, venne anche offerta una serata di gala alla quale presero parte, tra gli altri, oltre a Roach e alla sua famiglia, Cary Grant, Bette Davis, Spencer Tracy e Fred Astaire. Non meno calorose le accoglienze che gli Usa riservarono alla cineasta tedesca Leni Riefenstahl, la quale, con Il trionfo della volontà, aveva realizzato uno dei capolavori di propaganda politica del Novecento. La regista giunse a New York nel novembre 1938, per promuovere in America il suo film Olympia (dedicato alle Olimpiadi di Berlino del 1936), mentre non si era ancora spenta nel mondo la eco della «Notte dei Cristalli». Visitò Chicago e poi Detroit, dove venne accolta da Henry Ford, il re dell’industria automobilistica americana, acceso antisemita e fervente ammiratore della Germania nazista. La Riefenstahl, prima di lasciare gli Stati Uniti, fu ricevuta anche da Walt Disney che le mostrò i disegni preparatori di Fantasia. Mentre già si addensavano all’orizzonte le nubi minacciose di un nuovo conflitto, le relazioni tra il governo italiano e le grandi società cinematografiche americane cominciarono a peggiorare. Il 4 settembre 1938 un regio decreto istituì il monopolio dell’Ente nazionale industrie cinematografiche (Enic) per l’acquisto, l’importazione e la distribuzione delle pellicole provenienti dall’estero. Fu un duro colpo alle leggi del libero mercato. Di conseguenza Metro Goldwyn Mayer, 20th Century Fox, Warner Bros e Paramount, dal 1° gennaio 1939, chiusero i loro uffici nello Stivale. Ciononostante, grazie alla permanenza sul territorio italiano di studios di minore importanza, le pellicole statunitensi continuarono a essere distribuite. Perfino dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbor, che scatenò l’ingresso nel conflitto degli Usa, i film hollywoodiani seguitarono a essere proiettati nelle sale, nonostante i divieti del regime. Analogamente, negli States diversi lungometraggi italiani, tra cui alcune opere di propaganda, poterono essere proposti al pubblico americano, in due sale di Broadway, grazie all’intervento della società Hesperia Film. (3. Fine)