Intervista. «Nascita e morte degli imperi? Cercatele nelle materie prime»
In un periodo di conflitti e cambiamenti come quello che stiamo vivendo, torna spesso il paragone con l’epoca di decadenza che il mondo visse con la fine dell’impero romano. Nel secolo scorso il crollo di Roma del 476 d.C. divenne quasi una pagina di storia contemporanea: «La civiltà può morire, perché essa è già morta una volta », scrisse Wilamowitz. Ma i confronti e gli scontri di civiltà nel corso della storia non hanno solo un’interpretazione politica, culturale o religiosa: esiste anche una chiave economica di lettura degli avvenimenti. È quanto ci insegna l’ultimo volume di Alessandro Giraudo, Quando il ferro costava più dell’oro, pubblicato da add editore (pagine 322, euro 20). Economista, Giraudo ha studiato con Carlo M. Cipolla e insegna Geopolitica delle materie prime, Finanza internazionale e Storia economica della finanza all’Institut supérieur de gestion di Parigi. Il libro ricostruisce vari momenti della storia globale in cui, a partire dagli Assiri, nei cui mercati il ferro costava otto volte più dell’oro, la lotta per le materie prime ha costituito un elemento centrale per l’affermarsi degli imperi, da Alessandro il Grande a Costantino, dagli Arabi ai Normanni, fino a Cristoforo Colombo e Napoleone.
Professor Giraudo, l’intreccio fra storia ed economia emerge nel volume con tanti esempi istruttivi per l’oggi. Come far sì che il bisogno di energia e di terre rare non diventi una nuova forma di sfruttamento dei Paesi più potenti rispetto a quelli più poveri?
Attualmente è in atto un durissimo e strategico braccio di ferro fra Paesi che dispongono di capitali e tecnologia, ma con poche materie prime, e Paesi che dispongono di materie prime. Ci sono due importanti eccezioni: Usa e Cina, che hanno in mano il tris vincente (capitali, tecnologia e materie prime). Temo sia molto difficile evitare questo tipo di conflitto. In realtà si tratta di un conflitto che dura da diversi millenni e che ha sovente visto la vittoria di chi dispone di tecnologie e di capitali. C’è forse un caso di vittoria dei Paesi che possiedono certe materie prime: è il caso dei Paesi produttori del petrolio. Dalla sua scoperta, verso gli anni 1860, fino all’accordo di Achnacarry (1928), il prezzo dell’oro nero era fissato essenzialmente dai compratori. Con questo accordo siglato da sette potenti imprese del settore e rimasto segreto per molto tempo, il prezzo del petrolio fu fissato con criteri precisi dalle sette sorelle e da altre imprese che si accodarono. Ma nel 1973 il forte disequilibrio fra domanda e offerta favorì largamente i produttori, che riuscirono a rovesciare la relazione produttori-consumatori a loro vantaggio, vantaggio che dura tuttora. Abbiamo poi davanti ai nostri occhi un caso epocale: nel settore dei metalli strategici la Cina ha fatto delle scelte chiare e lungimiranti. In Cina la «politica del tempo » è differente dalla nostra: i loro politici ragionano in lustri e decenni; da noi il mondo politico ragiona in minuti e nel caso migliore in qualche mese con una miopia dettata dal ritmo delle elezioni politiche… La Cina ha fatto la scelta di diventare la miniera- officina del mondo che estrae, raffina e produce i metalli per la nostra esistenza tecnologica. Il mondo occidentale ha delegato questo lavoro «inquinante » ai cinesi che hanno accettato di “sporcare” il loro ambiente (terra, acqua, cielo e in alcuni casi la salute dei cittadini). Stiamo cercando di fare marcia indietro, ma ci vorrà tempo…
Quali sono, fra tutti quelli che ha ricostruito, i casi più significativi di crollo economico e sociale dovuto ai cambiamenti climatici?
Penso che ci siano due momenti in cui i cambiamenti strutturali del clima hanno avuto effetti tragici. Dopo i quattro secoli dell’optimum romano (fra il 200 a.C. e il 200 d.C.), un brusco cambiamento di clima, con calo delle temperature, colpì in modo devastante il mondo euro-asiatico con pesanti effetti anche sull’Africa del Nord e il Medio Oriente. Tre importanti civiltà andarono a gambe all’aria: la dinastia degli Han, che scomparve nel 220 d.C., l’impero dei Parti (224) e quella dei Kushana (India nord occidentale, 230 d.C.). Solo la civiltà romana riuscì a rimanere a galla, ma iniziò la terribile crisi del III secolo che assemblò gli ingredienti della decadenza romana, inizialmente dorata, poi rovinosa. E poi penso all’ondata di caldo che colpì tutta la terra fra la metà del IX secolo e il 1100 d.C.: gli effetti furono drammatici sulla dinastia dei Tang in Cina, che cadde rovinosamente dopo tre secoli di successi e stabilità (907 d.C.). Contemporaneamente, numerose città Maya furono duramente penalizzate da una terribile siccità: non servirono a nulla le loro preghiere agli dèi per invocare la pioggia e i numerosi sacrifici umani documentati da importanti scoperte di ossa di bambini e di donne nei cenote, i pozzi naturali d’acqua nella penisola dello Yucatan. Ma anche il mondo dei califfati che regnava nelle regioni comprese fra il Maghreb e la Mesopotamia fu fortemente provato dalla siccità. Queste civiltà, che avevano beneficiato di uno sviluppo politico e culturale molto brillante, furono minacciate nella loro esistenza proprio dalla ridotta disponibilità di acqua che compromise in modo drammatico raccolti, bestiame, attività minerarie, con un duro impatto sulla vita quotidiana degli uomini. Disponiamo di prove evidenti: le carovane che attraversavano il nord dell’Africa dovettero modificare i loro percorsi e spostarli verso il sud per trovare oasi che permettessero il proseguimento del viaggio. Solo i Vichinghi beneficiarono largamente di questo periodo: le loro terre coperte dalla neve divennero terre verdi (Groenlandia) e gli uomini si lanciarono in una serie di grandi conquiste, invadendo una parte della Gran Bretagna, della Francia (i Normanni), dell’Olanda, del bacino del Volga fino alle terre nere dell’Ucraina da cui i Vichinghi partivano verso il grande sud per procurarsi le spezie che compravano a Baghdad. Senza dimenticare l’invasione della Sicilia dei Normanni…
Stiamo vivendo una crisi della globalizzazione. Quale fu la prima vera globalizzazione della storia?
Un buon esempio di globalizzazione fu quello organizzato dall’impero romano. Ma era una globalizzazione regionale, il mare nostrum. Invece il primo caso di globalizzazione “mondiale” fu realizzato dall’argento. Questo metallo era negoziato e scambiato su base mondiale a partire dalla metà del XVI secolo. C’erano tre grandi centri di produzione mondiale e due grandi “spugne” che assorbivano una enorme quantità di metallo bianco. Le grandi miniere erano localizzate nel bacino germanico-boemo in Europa; basta citare quella di Johachimsthal (Repubblica Ceca) dove era realizzata la produzione di talleri d’argento da cui deriva il nome dollaro (Thaler). Il secondo grande bacino di estrazione era il tandem Messico- Alto Perù, dove le grandi miniere controllate dall’impero spagnolo producevano a costi molto bassi, con l’impiego di schiavi, il metallo bianco che poi era spedito in Spagna e finanziava le guerre organizzate dal grande impresario delle guerre in Europa, Filippo II, il figlio di Carlo V. Molti di questi schiavi che giungevano dall’Africa vivevano giorno e notte nelle miniere, soprattutto in quella di Potosì, nell’attuale Bolivia, e morivano di stenti e di malattie nel sottosuolo. Il terzo grande centro minerario era a Iwami Ginzan, in Giappone: questa grande miniera partecipò al finanziamento della guerra civile giapponese del XVI secolo. Chi disponeva d’argento poteva pagare mercenari e comprare gli archibugi che i Portoghesi importavano dall’Europa a Macao e vendevano a caro prezzo a samurai e shogun per armare gli ashigaru, gli uomini delle fanterie molto mobili che hanno cambiato la tecnica dei combattimenti nel Giappone tardo-medievale. Due grandi bacini economici erano diventati le vere spugne di tutti questi flussi di metallo. Si tratta dell’India e della Cina, che all’epoca erano i due più potenti e importanti Paesi del mondo… ma non disponevano d’argento. La Cina esportava porcellane, seta, spezie e l’India, che era l’opificio del mondo, esportava tessuti di cotone, spezie, prodotti destinati alla farmacopea e salnitro, proprio quel salnitro che serviva a produrre la polvere nera destinata ai cannoni usati dagli europei per farsi le guerre tra di loro… Come si vede, sono molti i mattoni che partecipano alla costruzione del grande edificio della storia.