Storia. Clemente XIV soppresse i Gesuiti «per amore»?
Fu veramente un acerrimo nemico dei gesuiti o subì in modo neutrale gli eventi del Settecento l’ultimo Papa francescano della storia («un onest’uomo» come lo definì Stendhal), il frate minore conventuale Lorenzo Ganganelli (1705-1774) salito sulla Cattedra di Pietro nel 1769 (dopo un Conclave durato ben tre mesi dove venne eletto all’unanimità) col nome di Clemente XIV, noto per avere soppresso, attraverso il breve Dominus ac redemptor il 21 luglio 1773, la Compagnia di Gesù? Fu un gesto estremo, un segno di “resa” (come lo definì lo storico Ludwig von Pastor) per compiacere le antigesuitiche corti borboniche (e con essi i giansenisti e il Portogallo del marchese di Pombal) o invece fu un atto di lungimiranza per salvare, nel solco del suo predecessore Benedetto XIV, il Papato e lo Stato della Chiesa nella sua libertà d’azione dalle ingerenze delle potenze cattoliche? Per quest’ultima tesi propende, attraverso una ricca documentazione (fatta di fonti inedite), un confratello di papa Ganganelli il francescano conventuale Isidoro Liberale Gatti, storico di formazione e da anni membro del Collegio dei penitenzieri apostolici della Basilica di San Pietro a Roma. Recentemente questo religioso veneto ha dedicato proprio al Papa romagnolo la sua ultima fatica Il conclave del 1769 e l’elezione di Clemente XIV. Alcune sue visite devozionali nelle Chiese di Roma (L’Apostoleion, pagine 268+64, s.i.p.); un saggio che non solo cancella qualsiasi ombra o alone della leggenda “nera” del Papa antigesuita, ma che racconta nel dettaglio come la sua elezione papale non fu frutto di ricatto, ma al massimo di un compromesso tra le istanze delle corti, che volevano l’eliminazione dei gesuiti e il partito capeggiato da molti cardinali (tra cui il segretario di Stato Luigi Maria Torrigiani e fedelissimo del papa defunto Clemente XIII) che avrebbero difeso a spada tratta i figli di sant’Ignazio, guidati allora dal mite preposito generale, il fiorentino Lorenzo Ricci. «La mia ricerca su papa Clemente – racconta lo studioso francescano – è a metà del guado, perché già nel 2012 ho realizzato un volume sulla vita da semplice frate e da cardinale di Ganganelli. Ora mi accingo a pubblicare un terzo volume sugli ultimi giorni di vita del Pontefice e sulla vicenda del breve Dominus ac redemptor che ancora fa tanto discutere gli storici…». Nelle oltre 200 pagine di questa pubbli- cazione vengono raccontati gli aspetti inediti di questo Papa (fu tra i primi ad apprezzare il talento musicale di Mozart, fu un provetto cavallerizzo e l’ispiratore del Giubileo del 1775) la sua fede mariana (da buon scotista fu un devoto dell’Immacolata Concezione), i suoi atti di mecenatismo e di pietà verso i poveri, gli infermi ma anche la gente comune (tra cui la mitigazione di alcune norme anti-giudaiche) della Città eterna o le sue grandi amicizie con i santi del suo tempo da Paolo della Croce (che ne vaticinò l’elezione al soglio di Pietro) ad Alfonso Maria de’ Liguori (che lo assistette nelle ultime ore di vita); o ancora come contrastò nella Roma del suo tempo il triste fenomeno della prostituzione, del nudismo a Fontana di Trevi e della pedofilia con pene durissime (come l’uso della frusta). «In questa severità fu un antesignano – evidenzia fra Isidoro Liberale Gatti – dell’azione attuale di papa Bergoglio». A colpire sono i dettagli sul Conclave del 1769: su come venne eletto questo “semplice” frate e teologo di fama (unico porporato di quel Sacro Collegio proveniente da un Ordine religioso), dell’evento inaspettato dell’ingresso nel marzo di quell’anno all’interno della clausura della Cappella Sistina dell’imperatore d’Austria Giuseppe II e del granduca di Toscana Pietro Leopoldo I, le note spesso colorite e sprezzanti di cardinali influenti come Filippo Maria Pirelli, Gaetano Fantuzzi (che lo considerava “pazzo”) o del potentissimo François-Joachim de Bernis che volle sondare per primo le reali intenzioni del futuro Clemente XIV sul destino degli ignaziani, ormai espulsi (molti dei quali sbarcati avventurosamente nel porto della pontificia e quindi “amica” Civitavecchia) e caduti in disgrazia un po’ ovunque. «Il cardinale Ganganelli – scrive l’autore del saggio – forte della sua competenza giuridica, partiva sempre dal principio giuridico che ogni legittimo sommo Pontefice ha la potestà nella Chiesa di approvare una nuova Congregazione, e anche di scioglierne una vecchia». E questo fu il principio chiave (tra cui il non aver promesso in chiave simoniaca per la sua elezione al Soglio di Pietro lo scioglimento della Compagnia di Gesù), a giudizio di padre Gatti, a cui si attenne durante tutto il lungo Conclave fra Lorenzo. Ma il desiderio più intimo di Ganganelli (proprio perché provenendo da un Ordine religioso ne conosceva i problemi) secondo il suo biografo, sposando in questo la tesi dello storico Mario Rosa, era quella di una riforma della Compagnia di Gesù (un tentativo che quasi due secoli prima azzardò un altro papa francescano conventuale, Sisto V) che forse ne avrebbe evitato lo scioglimento. A tanti anni di distanza dalla morte di questo Pontefice il suo stile di buon pastore è ancora offuscato (confermato anche dalle fonti francescane del suo tempo) dal gesto della soppressione dell’Ordine loyoliano: una testimonianza di questo ci arriva dallo stesso papa Francesco (che scelse di chiamarsi così in onore di quel Poverello d’Assisi di cui proprio il Ganganelli si sentì sempre figlio) che rievocò il giorno successivo alla sua elezione il suggerimento ironico di alcuni cardinali: «Chiamati Clemente XV così ti vendichi di Clemente XIV che sciolse la Compagnia…». Proprio papa Bergoglio è tornato spesso (basti pensare alla celebrazione nella Chiesa del Gesù a Roma nel settembre del 2014 per i 200 anni della ricostituzione della Compagnia) a parlare del lungo periodo della soppressione del suo Ordine (17731814) rileggendo in quell’uscita di scena ufficiale in seno alla Chiesa (se si esclude la profetica presenza dei gesuiti nelle terre non cattoliche di Russia e Prussia) dei suoi confratelli come un momento di «tribolazione», ma anche di un tempo per sperimentare «l’umiltà» e lo «spirito di obbedienza». Forse a tanti anni di distanza dalla scomparsa di questo Pontefice rimangono ancora attuali le parole pronunciate per l’orazione funebre (anno 1774) proprio da un ex gesuita Simone Mattzell: «Quanti mezzi non ha impiegati il Santo Padre per il corso di cinque anni per evitare di venire a questo estremo! No, non fu l’odio, ma il suo zelo per la tranquillità della Chiesa che armò il suo braccio paterno del fulmine che ci ha colpiti».