Tex Willer ci capitava piuttosto spesso, all’inseguimento di fuorilegge con i quali finiva per ingaggiare furibonde sparatorie. Forse per questo nell’immaginario di molti le città fantasma sono una faccenda da Far West. E invece il nostro Paese ne è cosparso. Sono centri sospesi in un limbo tra civiltà e natura. Dove spesso tutto è rimasto fermo, come se gli abitanti fossero semplicemente usciti di casa per poche ore. Terremoti, carestie, invasioni, devastanti epidemie. Sono il più delle volte terribili e spettacolari le cause che portano alla morte di una città. Così è stato per
Monterano, nel Lazio. Il sito abitato fino dall’età del bronzo, fu importante centro etrusco e crebbe nei secoli fino a diventare uno dei principali centri tra lago di Bracciano e Monti della Tolfa. Fu sede episcopale e feudo di famiglie romane come gli Orsini e gli Altieri. E quando nel 1670 Emilio Bonaventura Altieri divenne papa col nome di Clemente X, per Monterano giunse la grande occasione. Il pontefice spedì lassù Gian Lorenzo Bernini, commissionandogli i progetti della chiesa di San Bonaventura e del relativo convento, della fontana ottagonale della piazza e del riordino della facciata del palazzo feudale. Quegli stessi edifici oggi si ritrovano immersi in un’atmosfera surreale, in cui il genio barocco si trova a gareggiare con boschi di lecci e di faggi. Già alla fine del Seicento a Monterano giunse infatti la malaria, che decimò la popolazione. Poi nel 1799 arrivò anche l’esercito francese, che incendiò e saccheggiò la cittadina. I pochi abitanti rimasti anziché tentarne la ricostruzione, la abbandonarono. Lo scenario è spettacolare. La diroccata chiesa di San Bonaventura si affaccia su un prato dove, accanto alla fontana, pascolano i cavalli. Arcate di un acquedotto emergono dalle chiome degli alberi. Case, palazzi e vegetazione si contendono palmo a palmo il territorio. Sulla facciata del palazzo un leone berniano, in cima a una scogliera da cui un tempo scaturiva una cascata, sembra fare la guardia al silenzio della foresta. Non stupisce che Monterano sia diventato set cinematografico. Qui sono stati girati
Ben Hur, Brancaleone alle Crociate, Il marchese del Grillo. Quella di avere una seconda vita nel mondo dello spettacolo è una sorte che accomuna diverse città fantasma. Come ad esempio
Craco, in Basilicata. Qui Hollywood è di casa: tra i ruderi si sono svolti ciak di
King David di Beresford,
La Passione di Cristo di Gibson, lo 007 di
Quantum of Solace. Il borgo fu evacuato nel 1963 in seguito a una frana. La causa fu anche dell’uomo, con le perdite di un acquedotto che infradiciarono il terreno argilloso. Provarono a contenerla con palizzate di cemento. Il rimedio fu peggiore del male e lo smottamento si inghiottì tutto. L’esodo forzato di duemila persone ha lasciato le abitazioni ferme all’ultimo giorno di vita del paese. Percorrere le vie desolate dominate dalla torre normanna, aggirarsi per le case di pietra tagliata incrinate dal crollo è un tuffo in un’Italia scomparsa, non lontana da quella raccontata da Carlo Levi in
Cristo si è fermato a Eboli. In Basilicata è anche
Campomaggiore vecchia, pure abbandonata dopo una frana nel 1885. Un borgo affascinante non solo per gli imponenti resti del palazzo baronale e della chiesa di Santa Maria del Carmelo. Campomaggiore era infatti oggetto delle sperimentazioni sociali di Teodoro Cutinelli-Rendina, che alla fine del Settecento ne ridisegnò la pianta urbana secondo i principi filosofici dei socialisti utopisti. Sul retro del Palazzo Baronale resiste un raro esemplare di sequoia conifera, importata dal Nord America dal conte Gioacchino Cutinelli-Redina.
Pentedattilo è una delle località più affascinanti della Calabria. Deve il suo nome agli speroni rocciosi del Monte Calvario, un tempo cinque come le dita di una mano (da cui il nome), poi in parte crollati. Un luogo aspro e selvaggio, affacciato sul mare e sull’Etna. La sua storia millenaria si interruppe nel 1783, quando un terremoto lo danneggiò gravemente. Di lì in poi fu uno stillicidio. Gli abitanti migrarono verso i centri vicini e costruirono un nuovo paese a valle. Negli anni Sessanta del secolo scorso il borgo era completamente disabitato. Negli anni Novanta la rinascita (anche grazie ad alcune iniziative dell’Agesci, gli scout cattolici) come luogo di cultura, tanto da diventare una delle immagini turistiche della Calabria. Il paese resta disabitato, ma durante l’estate riprende vita. È infatti tappa fissa del festival itinerante Paleariza, dedicato alla Calabria greca, mentre tra agosto e settembre ospita il Pentedattilo Film Festival, kermesse internazionale di cortometraggi.È una città fantasma di un genere a sé
Consonno, frazione di Olginate in provincia di Lecco. Il piccolo borgo rurale venne completamente trasformato quando negli anni Sessanta l’eccentrico Grande Ufficiale Conte Mario Bagno, imprenditore per alcuni geniale e visionario, per altri semplicemente senza scrupoli, decise di acquistarlo in blocco. «Costruirò una nuova strada», disse il Conte. E con la strada vennero le ruspe e le betoniere. L’antico paese e le famiglie che vi abitavano sparirono per fare posto alla Las Vegas della Brianza. «A Consonno il cielo è più azzurro», recitavano gli striscioni di benvenuto a chi, varcata la porta sorvegliata da due fantocci di armigeri medioevali, si avvicinava al grande minareto. Migliaia di persone arrivavano alla città dei balocchi dove potevano trovare sale da gioco, sale da ballo, sfingi egiziane, pagode cinesi, uno zoo e il Grand Hotel Plaza. La cementificazione forsennata nel 1976 causò una frana che spazzò via la strada, isolando il centro. Oggi il minareto di Consonno svetta triste su un passato che era già fuori della realtà.