Il caso. Città della scienza, la fenice di Napoli non ancora rinata
una veduta dell'area ex Italisider di Bagnoli
La Ferrovia Cumana rappresenta, per Napoli, il collegamento ideale con la sua storia più ancestrale e, insieme, con il futuro più intrigante. Virgilio collocò da quelle parti l’antro della Sibilla, porta d’ingresso degli Inferi, ma lo spettacolo che si presenta davanti agli occhi - alle viste di Nisida, della baia di Pozzuoli - ricorda più il Paradiso. Anche le denominazioni delle stazioni sono significative: quella di Fuorigrotta si adegua con grande velocità a quella assunta dallo stadio che, in ricordo delle gesta del 'Pibe de oro', mette in archivio la precedente ('San Paolo') e con essa lo sbarco da quelle parti, a Pozzuoli, dell’apostolo delle Genti, evocato negli atti degli Apostoli. Un colpo di spugna sul passato, mentre un’apertura di credito sul futuro la si ritrova nella nuova dicitura della stazione di Bagnoli, abbinata a Città della scienza, la grande scommessa edificata sull’immensa area bonificata dalle ciminiere dell’Italsider. Una scommessa mancata eppure ancora tutta da giocare di cui si occupa il libro della giornalista sociologa Diletta Capissi Che fine ha fatto città della scienza. Un giallo napoletano o una metafora del Mezzogiorno?, appena uscito per il prestigioso editore napoletano Guida (pagine 254, euro 15,00). Un’idea figlia di un raro protagonismo dell’intellighenzia napoletana, che ebbe due fondatori in Vittorio Silvestrini e Vincenzo Lipardi, assecondata dalla breve stagione dei sindaci che tentarono di rimpiazzare, attraverso l’investitura popolare conseguente all’introduzione dell’elezione diretta, il vuoto di potere creatosi nelle istituzioni centrali annichilite dall’inchiesta Manipulite. Un’idea formidabile, che andava avanti ormai da quasi un decennio sotto la sigla Futuro remoto, decollata una volta presa in carico da Antonio Bassolino, che ne fece un simbolo della sua idea di 'rinascimento'. Tecnicamente il progetto divenne una variante al Piano regolatore della città, approvata il 19 ottobre del 1994, e poi un accordo di programma il 28 agosto del 1996. Formidabile perché valorizzava il ruolo baricentrico assunto da quell’area dentro un modello industriale andato in crisi, ma si inseriva perfettamente nella vocazione paesaggistico-culturale totalmente deturpata da quel progetto industriale, figlio dell’entusiasmo del boom economico, poco rispettoso della sostenibilità ambientale. Un investimento miliardario in vecchie lire, che vedeva le istituzioni agire in modo corale, con circa 10 miliardi stanziati dalla Regione Campania, altri 10 dalla fondazione Idis intestataria del progetto, e ben 80 dal ministero del Bilancio. Il progetto procede: nel 2001 apre lo Science center (un museo interattivo con centro congressi), nel 2003 viene inaugurato il Centro di Alta formazione e l’Incubatore d’Impresa. Il sogno, così, si trasforma in realtà: Bagnoli esce dall’immeritato anonimato denunciato dalle canzoni di Edoardo Bennato e si proietta in un presente cosmopolita che registra, nel 2003, punte di 300mila visitatori, e - cosa ancor più importante Città della scienza diventa il luogo da cui partono decine e decine di start up, al punto che - nel 2008 - viene premiata dall’European Business Network, come miglior incubatore tecnologico d’Europa. Una via meridionale allo sviluppo, una sorta di Silicon Valley dentro l’incanto dei Campi flegrei, un modello di economia sostenibile in grado di fare da volano per la valorizzazione di un patrimonio turistico ampiamente sottostimato, con potenzialità enormi. Ma a un centro punto qualcosa si incrina, la coralità fra istituzioni inizia a dare spazio alle gelosie, alle risorse attribuite con il contagocce, in nome della minore o maggiore sintonia politica. Il resto lo fa un rogo misterioso e devastante. Le fiamme divamparono la notte del 4 marzo 2013 e devastarono la struttura di Bagnoli, determinando danni rilevantissimi. La grande mobilitazione popolare diede voce alla Napoli che non si rassegna, ma 9 anni sono passati e quel sogno - se non è finito neanche è mai più davvero rinato. L’area è rimasta sotto sequestro in tutti questi anni per favorire indagini mai concluse, del grande progetto sopravvive, dignitosamente, solo la parte museale e le mostre. Troppo poco, ma Riccardo Villari, attuale presidente della Fondazione non si dà per vinto. «La riqualificazione si farà, vado avanti fino in fondo».