Dici Milano e pensi (anche) a gente che da sempre si riunisce, si rimbocca le maniche, si spende per gli altri. O quantomeno per qualcosa di costruttivo. Non è retorica, e la giornata di studi promossa ieri dall’Università cattolica lo ha dimostrato. Sotto i riflettori, per la prima volta in modo organico, “Milano e le sue associazioni. Cinque secoli di storia che interrogano il nostro presente”: è il titolo del convegno, e il suo primo periodo anche quello del libro (Scalpendi editore, 2014, € 25) presentato nell’occasione. Quell’opera che insieme al database delle realtà aggregative milanesi tra l’Età moderna e gli inizi del Novecento, con oggi online all’indirizzo http://milanoassociazioni.unicatt.it/, scaturisce da un progetto dell’ateneo sostenuto da fondazione Cariplo. L’indagine attinge al passato, ma lo fa per raccontare l’oggi della metropoli. Ecco qualche esempio.
Le confraternite
“Tra le prime forme associative - ricorda Danilo Zardin, alla Cattolica in forza al dipartimento di Storia dell’economia, della società e di scienze del territorio, nonché tra i curatori del progetto - ci furono le confraternite, libere associazioni di fedeli laici che si riunivano attorno alle cappelle delle chiese o anche in oratori indipendenti”. Ebbene: “Fu quella dell’Immacolata, che aveva sede nel convento di San Francesco, di fronte all’Università cattolica dove ora c’è la Caserma Garibaldi, a commissionare a Leonardo la “Vergine delle rocce”. Senza di essa, non avremmo quel capolavoro pittorico”.
Le associazioni di mestiereMa c’erano anche le corporazioni professionali, “quelle che hanno dato il nome ad alcune vie del centro: Orefici, Spadari… quelle stesse che nel Cinquecento, all’apice del loro splendore, vollero ricordare i loro patroni attraverso le vetrate policrome del duomo”. Tra queste, non ricco ma certamente curioso era il “sodalizio della pubblica mendicanza”: un’associazione di zoppi del tutto inabili la lavoro. Ma attenzione: per esservi ammessi, bisognava dimostrare di trovarsi davvero in stato di grave bisogno.
I nuovi organismi filantropici
E realtà come il Club alpino italiano, il Touring club italiano, l’Automobil club d’Italia ancor oggi così radicate nel tessuto milanese? “Sono associazioni moderne - spiega il curatore -, scaturite con il nuovo pensiero di fine Ottocento: meno ideali religiosi, ma vivo più che mai il desiderio di riunirsi per perseguire scopi comuni”. Si tratta dunque di organismi filantropici e laici nati dopo la decadenza del periodo napoleonico. Quando l’imperatore aveva tentato di distruggere quelle realtà associative ben presto “riemerse come un fiume carsico”.
Gli enti caritativi
Emblematico, poi, in quanto trasversale a più epoche, è il caso dell’attuale azienda di servizi alla persona “Golgi-Redaelli”: la diretta erede degli antichi “luoghi pii elemosinieri”, con il passare del tempo laicizzatasi nell’ispirazione ma sempre indefessa nell’azione a sostegno dei più fragili. Anticamente elargiva ai poveri sussidi materiali (denaro, cibo, ma anche legna da ardere), oggi si prende cura degli anziani. E “racconta” quella generosità ambrosiana che lungo i secoli ha mutato le forme, non certo la sua sostanza.
Eredità viva
Tutto ciò, Zardin l’ha dimostrato, “parla davvero al nostro presente”. E invita la communitas milanese a “non abbandonare quel modello di cittadinanza attiva” che da sempre la contraddistingue: ne sono esempi il “volontariato ancor oggi così generoso”, e più in generale tutte quelle risposte associative nate dall’”esperienza dell’impossibilità di gestire la vita in termini puramente individuali”. Già. Perché riunirsi significa tessere “una rete protettiva che evita solitudine e sconforto, quindi soccombenza”. E che rende “più umana la vita dei singoli, dei quartieri, dell’intera metropoli”.