Dopo cinquant’anni è ora di mettere mano a una nuova legge sul cinema, anzi, a una legge che riformi tutto l’audiovisivo in generale. Dalla politica agli addetti ai lavori sono tutti d’accordo: il cinema italiano è in crisi, l’industria dell’audiovisivo è stata travolta dall’effetto del web, i fondi scarseggiano. Quindi occorrono nuove regole e nuove risorse per ridare fiato a un’industria culturale fondamentale per il Paese di Rossellini e Fellini, fermo alla legge 4 novembre 1965, n. 1213. Ma qualcosa ora finalmente bolle in pentola. Il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini sta preparando un collegato alla legge di stabilità da presentare al governo che, se approvato, sfocerà in un disegno di legge sull’audiovisivo. Intanto un ddl sul cinema e l’audiovisivo bell’è pronto c’è, a prima firma della senatrice Rosa Maria Di Giorgi (Pd) insieme ad altri 46 senatori di ambedue gli schieramenti, in cima ai quali figura Sergio Zavoli. Una proposta di legge che si ispira dichiaratamente al modello francese ed attualmente in discussione presso la VII Commissione del Senato. «Con l’arrivo di internet il mondo dell’audiovisivo è radicalmente cambiato e da noi non c’è un vero sistema cinema – spiega la senatrice Di Giorgi –. Il nostro è un ddl che istituisce un Centro nazionale del cinema e dell’audiovisivo, ossia un organismo con ampia autonomia che unifichi le competenze (attualmente suddivise fra sette od otto ministeri). Anche le risorse dovranno essere indirizzate al Centro che si farà carico delle produzioni». L’altro punto è l’istituzione di un «prelievo di scopo su tutti coloro che fanno
business col cinema, dalle tv a internet, sino alle sale con un prelievo sui biglietti, con la promessa di non alzarne però il prezzo. Il guadagno che andranno a perdere gli esercenti, però, dovrà essere compensato da misure finanziare adeguate, tipo il
tax credit. Dobbiamo innescare un circolo virtuoso in cui il cinema si finanzia da sé, per questo occorre coinvolgere tutti i soggetti». Il ddl punta, anche sulla trasparenza dei fondi pubblici, il sostegno all’educazione all’immagine (soprattutto nelle scuole) e il supporto ai cinema d’essai e alle sale più a rischio in città e nei piccoli centri.Un punto che trova molto sensibile Francesco Giraldo, segretario generale dell’Acec che rappresenta gli esercenti cattolici. «Dare rilievo alle piccole sale è un grandissimo elemento di cultura perché c’è un pubblico adulto che non trova un’offerta adeguata nelle multisale – spiega –. In particolare le sale di comunità sono capillari, settecento sono già digitalizzate e offrono un momento di aggregazione fondamentale. Chiederemo che vengano inserirete nella legge». Il timore fra gli esercenti è, però, che «sia difficile imporre una tassa ai poteri forti del web» e che l’arrivo della rivoluzione digitale porti a “bypassare” le sale per portare subito i film in tv. «L’idea di uno sforzo comune è positiva – dice Luigi Cuciniello presidente dell’Anec, che rappresenta gli esercenti –. Però tutti devono contribuire al sostentamento del cinema italiano. Negli ultimi anni abbiamo investito milioni di euro nella digitalizzazione: chiediamo chiarezza e certezza sulle defiscalizzazioni e un incentivo per allungare la stagionalità anche d’estate». In generale, stando al
Rapporto 2014 sul cinema redatto dalla Direzione generale cinema e Fondazione Ente dello spettacolo, le cose non vanno per niente: insieme ad un calo degli spettatori e degli incassi (-4,95% di ingressi nelle sale) si registra una flessione della quota di mercato del cinema italiano, passato dal 31,16% al 27,76% in un solo anno, mentre calano anche le risorse economiche destinate alla produzione, a fronte di un’esplosione di titoli, ben 201 solo nel 2014, «con un budget medio sempre più basso e che spesso non sono neanche passati in sala» aggiunge don Davide Milani, presidente dell’Ente dello spettacolo. «Il cinema può essere davvero un volano per l’economia – spiega Francesco Martinotti, presidente dell’Anac (Associazione Nazionale Autori Cinema) –. La Francia lo ha capito subito e infatti il cinema con sedici miliardi di euro all’anno è il terzo comparto industriale. Crisi della creatività degli autori? Tutt’altro, il talento in Italia è ancora molto forte, va sostenuto da una adeguata filiera». «Il cinema italiano è in una fase delicatissima di passaggio. O si riparte col processo di crescita e sviluppo o si chiude». È drastico, Nicola Borrelli, direttore del settore Cinema del Mibact che invita «tutti gli operatori del settore audiovisivo a cambiare modello di
business». Borrelli è già al tavolo di lavoro con le associazioni di categoria del settore audiovisivo «che è uno e come tale va trattato – aggiunge –, considerando insieme le televisioni, la fiction, il cinema, la rete, il
video on demand». «Siamo un mercato piccolo e stagnante, che vale la metà di quello inglese, due terzi di quello francese e della Germania che vendono i loro prodotti all’estero mentre la nostra penetrazione sui mercati internazionali è minima», prosegue Borrelli, che sottolinea anche l’eccessivo numero di film: «L’anno prossimo vedremo di modificare la metodologia statistica di valutazione». Il direttore lamenta che l’Italia sia diventato un Paese importatore di film, di fiction e di format tv. E spiega che, secondo uno studio del Mibact dal 2004 al 2013 sulla quantità di biglietti venduti dei film di produzione nazionale nei singoli Paesi, risulta che in Italia, su un incasso totale di 304 milioni di euro, 265 sono incassati in patria e 36 all’estero, ovvero pochissimi a confronto delle altre nazioni, Gran Bretagna e Francia in testa. Il Mibact però sta passando all’azione, anticipa Borrelli. «Il ministro ha in mente tre obiettivi. Rivedere il rapporto fra emittenti e produttori indipendenti, poiché le quote di prodotto italiano trasmesso sono insoddisfacenti. Rivedere lo schema di intervento pubblico, ovvero le quote del Fus e del
tax credit. E instaurare un nuovo rapporto con internet. Bisogna rivedere la normativa a livello europeo. Sono fiducioso che una legge si farà, coordinata con le altre proposte».