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DIETRO LE QUINTE. Cinema e realtà, vince lo stile Pixar

Alessandro Zaccuri lunedì 24 giugno 2013
Il cinema come specchio del mondo? «Andiamoci piano – avverte il semiologo Armando Fumagalli, che alla Cattolica di Milano dirige il master in Scrittura e produzione per la fiction e il cinema –. Come ogni altra forma di racconto, il cinema è un discorso sulla realtà. Tutto sta a capire chi lo fa, questo famoso discorso». Da questa premessa – semplice quanto necessaria – nasce Creatività al potere  (Lindau, pagine 350, euro 24), il saggio in cui Fumagalli propone un itinerario in apparenza bizzarro: «Da Hollywood alla Pixar, passando per l’Italia», come annuncia il sottotitolo.Ma perché, Pixar non è Hollywood?No – risponde Fumagalli – e questo, tra l’altro, è uno dei motivi dello straordinario successo riscosso dai cartoni animati come i vari Toy Story o Gli Incredibili. Negli Usa come in Italia, i professionisti del cinema vivono solitamente all’interno di una “bolla” molto chiusa, molto autoreferenziale. Andrew Stanton, il regista di Alla ricerca di Nemo, spiega che alla Pixar la situazione è del tutto diversa: alla sera non si va ai party, si torna a casa, in famiglia. Ed è lì che si sperimenta una quotidianità che altrimenti non verrebbe raccontata.Vale anche per la televisone?Certo e, almeno in questo, Stati Uniti e Italia si assomigliano. Basta pensare che da noi il 90% della fiction proviene da non più di dieci società di produzione. Il che significa che a decidere che cosa vediamo in tv sono, grosso modo, trenta persone. Negli Usa la proporzione è analoga, con un’ulteriore complicazione: negli ultimi anni la frammentazione del mercato televisivo ha permesso il costituirsi di nicchie estremante sofisticate, destinate a un pubblico molto ristretto. Il guaio è che, quando vengono importati in Italia, questi prodotti vengono proposti a una platea generalista, con tutti gli equivoci del caso.È solo un problema di numeri?Senz’altro è un problema di investimenti. I meccanismi di approvazione sono molto più complessa nel caso di una serie televisiva rispetto al cinema. Negli Usa un film può nascere come prodotto indipendente per essere poi distribuito da una major. Ma se manca l’approvazione della rete, una fiction semplicemente non viene realizzata. Da qui una maggior omologazione dei contenuti televisivi.E in Italia?Siamo ormai in presenza di un buon prodotto medio, con risultati talvolta addirittura eccellenti quanto a risposta del pubblico, come dimostra il caso di <+corsivo>Benvenuti al Sud<+tondo>. Quello che ancora manca, forse, è un equilibrio costante fra registi, attori e produttori: perché un sistema funzioni bene occorre che nessuna di queste figure professionali prevalichi sulle altre. Come insegna l’America, sia a Hollywood sia alla Pixar.