Fotografia. Quei frammenti che rivelano l'infinito
"Frammenti", Museo Nazionale Romano, Roma: 9.3.2019, 11.07
Sono spesso le piccole cose a dirci tutto di una persona. Come di un’epoca e di una storia. Frammenti che fanno la differenza. Da interpretare, da ricostruire. O da cercare, quando sono proprio quelli che mancano. Stefano Cigada cerca esattamente «ciò che non si vede», «l’infinito nel frammento». Lo fa con la libertà del fotografo “amateur” e una sconfinata passione per l’archeologia: viaggiando in tutta Europa, visita i musei, s’imbatte in statue dell’antichità – raramente integre – di cui coglie non l’interezza ma la fragilità, mettendo a fuoco la rottura, la faglia, nell’attimo in cui quel particolare «è toccato dalla luce naturale». Sì, perché Cigada fotografa le statue per fotografare il tempo, la luce, il “frammento” visibile solo in quel determinato istante. Immortala le sculture quando vengono colpite da un raggio di sole che arriva da una finestra o attraverso una porta. «Conosco statue e orari in cui sono colpite dalla luce, con che incidenza arriva la luce secondo il calendario – spiega Cigada –. Alla Centrale Montemartini il 27 di settembre una delle mie statue preferite – il guerriero morente del tempio di Apollo Sosiano – è accarezzata per dieci minuti da un raggio di sole. Una settimana prima e una settimana dopo il sole passa oltre, e la fotografia è inutile. Solo durante quei 10 minuti succede qualcosa di magico. E quelli sono i miei dieci minuti, quelli che voglio acciuffare».
"Frammenti", Museo Nazionale Romano, Roma: 27.12.2017, 16.08 - © Stefano Cigada
Il frutto di quella che può considerarsi una “ossessione” per Cigada si può ammirare in ventuno stampe esposte fino al 15 marzo al Museo di Roma in Trastevere, nella mostra intitolata appunto “Frammenti”, a cura di Jill Silverman van Coenegrachts, promossa da Roma Capitale, assessorato alla Crescita culturale - Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali. «La magia di questi Frammenti è che a livello subatomico, il marmo è ancora vivo come tutte le specie di piante e animali – scrive la curatrice nell’elegante libro che accompagna la mostra –. La luce naturale diurna in una frazione di secondo fornisce un senso a questo fatto fisico, come una performance. Cigada sta cercando quel momento, e dopo molte prove ed errori la sua ossessione ci permette di condividere questa esperienza fugace ma palpabile. La mostra accompagna lo spettatore in un viaggio nel tempo e nello spazio, insieme al senso preciso di quella frazione di secondo, quando il pezzo di pietra sembra animarsi, ruotare, sollevare pesi, respirare, piegarsi o sospirare. Questa vita interiore è il soggetto di Cigada». Con la consapevolezza che anche le fotografie, per dirla con John Berger, «sono reliquie del passato, tracce di ciò che è avvenuto». Ma sempre pronte a vivere. E a «esistere nel tempo».