Già circa al principio degli anni Settanta l’autocomprensione epistemologica della storia della Chiesa ha conosciuto una crisi che finora non è stata superata. Le cause di questa situazione possiamo individuarle nella svolta antropologica della teologia in genere. Le discipline umanistiche come la psicologia, l’antropologia, la sociologia da decenni avevano cominciato a determinare il pensiero teologico in una misura fino a quel momento ignota.Nell’ambito della storia della Chiesa questo sviluppo ha provocato un acceso dibattito sul suo carattere teologico o non teologico, in cui di fronte all’interpretazione difesa per esempio da Hubert Jedin, altri – come Victor Conzemius – parlavano della essenziale "profanità" della storia della Chiesa. [...]Questa trasformazione da «una storia della Chiesa come teologia, legata alla Chiesa come istituzione» ad una «storia che concepisce la vita politica, sociale, culturale ed economica degli uomini in stretto rapporto con l’identità cristiana» viene descritta da Andreas Holzem di Tubinga in una rassegna altamente istruttiva. Lo stesso Holzem vede come risultato di questa trasformazione «una storia del cristianesimo che nei disegni storico-salvifici è stata sempre considerata deficitaria sul piano teologico», «un tipo d’approccio storiografico più ampio» e ritiene che «l’effettivo ampliamento della disciplina a partire da una storia della Chiesa in senso stretto si è realizzato di fatto da lungo tempo». Quindi si è compiuto «il superamento di una storia della Chiesa che si vede legata ad un’istituzione e alla sua immagine religiosa in direzione di una storia sociale generale del cristianesimo».Per concludere, la storia della Chiesa dev’essere definita come una «parte della scienza culturale con intenti storici che di recente è stata fortemente favorita», infatti: «la religione come qualsiasi emanazione di un "dio creduto" è parte di un ampio concetto culturale...», dove la cultura viene intesa come «il tutto, la totalità, quindi il complesso delle creazioni dell’uomo in tutti i campi della vita». Questo significa né più né meno che la religione e naturalmente anche la Chiesa sono «creazioni dell’uomo».Non bisogna ignorare che quest’affermazione appartiene al classico concetto di religione del modernismo dell’inizio del XX secolo. Si può concordare con Hubert Wolf quando dichiara che «la svolta storico-culturale delle nuove generazioni ha portato ad un’ampia deteologizzazione della disciplina "storia della Chiesa"». Da ciò derivano inevitabilmente lo strumentario di metodologie e anche le tematiche da affrontare, che vengono ricavate dagli studi sociali, sulle mentalità, dalla microstoria, dagli studi di genere. A ciò si aggiunge un’impostazione chiaramente relativistica, se Andreas Holzem nella sua opera sul movimento del "Deutschkatholizismus" scrive: «Cattolici tedeschi, cattolici riformisti e ultramontani si sono considerati di volta in volta destinati a essere i riformatori – e di volta in volta accusavano gli altri di settarismo. L’imporsi a livello storico di un partito contendente non significa ancora la sua legittimazione storica. Il problema della legittimità e del limite di un pluralismo teologico-religioso – anche se in altre costellazioni conflittuali – è rimasto attuale fino ad oggi». Ora, non si vuole assolutamente contestare che ognuno degli approcci metodologici appena menzionati possa essere legittimo e proficuo. Se però la Chiesa e la fede cattolica non sono «creazioni dell’uomo» ma realtà radicate nella rivelazione divina, nell’incarnazione di Dio in Gesù Cristo – ed è questa la convinzione cattolica – allora il modo in cui dev’essere esercitata la storiografia ecclesiastica deve rispondere a questa premessa fondamentale. Quindi almeno nell’interpretazione, nella valutazione della rappresentazione, la fondazione della Chiesa da parte di Gesù Cristo che si è fatto uomo e l’essenza sia divina che umana di questa Chiesa devono costituire gli elementi sostanziali dell’orizzonte ermeneutico nel quale viene inquadrato il fenomeno «Chiesa».Invece si tratta di un’esigenza ancora ampiamente disattesa. Proprio come nelle formulazioni più recenti della cristologia l’umanità di Gesù Cristo viene messa in risalto in modo unilaterale mentre la sua divinità è offuscata, lo stesso accade inevitabilmente anche in rapporto alla Chiesa e alla sua storia. Esiste anche un arianesimo ecclesiologico. [...]Come comunità strutturata in senso gerarchico-sacramentale la Chiesa è organo di Gesù Cristo per la trasmissione del suo Vangelo e della sua redenzione all’umanità fino alla fine della storia. Questa Chiesa è indubbiamente un fenomeno necessariamente radicato nella storia umana, eppure è al tempo stesso un fenomeno unico soprannaturale. A questo concetto di Chiesa – delineato molto sommariamente – dovrà quindi orientarsi lo storico della Chiesa cattolico. Questo in realtà significa – e dipende dalla componente sostanziale storico-umana della Chiesa – che per il suo studio dev’essere impiegato in primo luogo il complesso degli strumenti del metodo storico. Proprio perché lo storico della Chiesa cattolico ha di fronte a sé una
Ecclesia visibilis, una Chiesa che secondo le acute espressioni del cardinale Bellarmino è visibile e percettibile come la Repubblica di Venezia, proprio per questo il metodo storico gli è indispensabile nella sua ampia varietà e nel suo rigore. Ammettere che presupposti dogmatici potrebbero determinare il riconoscimento o il mancato riconoscimento di fatti storici secondo il noto assioma di Morgenstern significherebbe ricadere nei pregiudizi del XIX secolo. Ma se le cose stanno così – allora in che cosa e in che senso lo storico della Chiesa è anche teologo? Un primo elemento consiste nella scelta del suo punto di vista. Si considera un osservatore neutrale, esterno, oppure un membro interno alla Chiesa? Ciò che egli riconosce della storia della Chiesa è anche una parte della sua storia personale.Questa scelta del punto di vista non può assolutamente condurre ad una cieca faziosità nella rappresentazione storica. Ma lo storico della Chiesa deduce i suoi parametri di giudizio dal suo concetto di Chiesa. Questo significa per esempio che il catarismo e il valdismo non possono essere considerati correnti riformiste altrettanto legittime o autentiche del movimento pauperistico francescano o domenicano. Anche affermazioni sulla decadenza o la fioritura della vita ecclesiastica devono essere orientate secondo il criterio del concetto di Chiesa. Proprio questo concetto di Chiesa non consente, per esempio, come accade altrove, di parlare di una «storia dei vincitori», quando si tratta di sviluppi ecclesiastici nella dottrina, nella struttura costituzionale o nella prassi sacramentale. Tutto questo nella prospettiva teologica non dev’essere considerato come il risultato di costellazioni casuali di potere o di interessi, che avrebbero potuto benissimo concludersi diversamente, ma come uno sviluppo organico legittimo. È quindi al concetto di Chiesa che si attribuisce, come si è detto, un ruolo essenziale nel processo ermeneutico. In questo contesto ci si deve richiamare a Jürgen Habermas, che ritiene: «Per tre categorie di processi di ricerca è possibile dimostrare un rapporto specifico tra regole metodologico-logiche e interesse che deve orientare la conoscenza. È questo il compito di una teoria scientifica critica che si sottrae alle trappole del positivismo. Nell’impostazione delle [...] scienze ermeneutico-storiche [c’è] un interesse conoscitivo [...] pratico, che tacitamente era già alla base [...] delle teorie tradizionali». Applicandolo alla ricerca relativa alla storia della Chiesa questo significa che la questione del motivo e dell’intenzione con cui si studia la storia della Chiesa può essere risolta soltanto ponendo alla base un concetto adeguato di Chiesa. Solo in questi termini va formulato «l’interesse che orienta la conoscenza». Ma ciò è necessario se ci si vuole sottrarre alle "trappole del positivismo". Lo storico Reinhard Koselleck indica la stessa direzione introducendo il concetto di "Theoriebedürftigkeit", cioè "bisogno di teoria", e sottolinea che solo la teoria fa parlare le fonti. Quindi le fonti devono essere interrogate – e le domande da porre dipendono sempre dalla natura dell’oggetto di ricerca. Nel nostro caso si tratta della Chiesa. Quindi non si può fare a meno della teologia. Come si è già accennato, è la
raison d’être della Chiesa essere "l’organo di Gesù Cristo", per trasmettere il suo Vangelo e la sua redenzione all’umanità fino alla fine della storia. Questo significa che nell’adempimento di questa trasmissione – nel Nuovo Testamento si chiama
paradosis – la Chiesa realizza la propria autentica natura.Questo però non accade solo attraverso i documenti del magistero, di papi e concili, o attraverso la successione apostolica, ma attraverso ogni
autentica espressione di vita della comunità ecclesiale. La Chiesa vive tramandando – e tramanda vivendo. Poiché le cose stanno in questi termini, la storia della Chiesa diventa trasparente per la sua essenza. Questo significa che un’adeguata conoscenza teologica dell’essenza della Chiesa – per quanto è possibile – può essere conseguita solo tenendo in considerazione i risultati della ricerca sulla storia della Chiesa. Quindi è possibile affrontare naturalmente un grande ventaglio di temi e di problematiche nella ricerca sulla storia della Chiesa. Si spazia, per esempio, dall’amministrazione finanziaria dei papi all’evoluzione della liturgia e della prassi sacramentale, fino al fenomeno della mistica o dell’arte religiosa. Se quindi è analizzata la totalità delle singole espressioni di vita della Chiesa e viene rappresentata nella sua interazione con il mondo come suo spazio vitale, allora diverrà visibile il senso del tutto, perché si dimostrerà in che modo e in che misura tutto questo era ricevere e trasmettere,
paralepsis e
paradosis. Proprio da questa prospettiva fondamentale devono essere interrogate le fonti. Ma in questo consiste anche il criterio per una valutazione corretta di singoli fatti, persone, processi. In poche parole: intendiamo per storiografia ecclesiastica lo studio e l’interpretazione metodica dell’autorealizzazione della Chiesa come organo della
paradosis di Gesù intesa nel senso più ampio. Quindi è già posta anche la questione dell’importanza, della funzione che la storiografia ecclesiastica può avere per la Chiesa stessa. Hubert Wolf ha citato recentemente Sebastian Merkle, che voleva vedere lo storico della Chiesa come un giudice al di sopra delle parti. Uno storico della Chiesa che di fatto avanzasse questa pretesa, andrebbe notevolmente in rosso con il suo conto. Lo storico non può essere né accusatore né difensore – e neppure giudice o ancor meno giustiziere. I suoi sforzi devono essere protesi a comprendere, a chiarire e poi, con ogni cautela, a vagliare, a valutare. Con questa premessa di autocomprensione lo studioso della storia della Chiesa può prestare alla Chiesa stessa un servizio indispensabile ed insostituibile. In questo contesto ancora una volta Hubert Wolf ha fatto riferimento ad un classico della teologia del XVI secolo, Melchior Cano, che nella sua teoria della conoscenza teologica – il trattato
De locis theologicis – rappresenta la storia della Chiesa, addirittura la storia, come un luogo importante in cui trovare la verità della fede. [...]Se perciò le realizzazioni concrete e autentiche della vita della Chiesa sono oggetto di studio storico, diventano trasparenti per l’essenza della Chiesa.
Agere sequitur esse. L’
esse viene riconosciuto dall’
agere. Così la storia della Chiesa diviene di fatto
locus theologicus per eccellenza. Senz’altro è sempre possibile, anzi legittimo prescindere da quella impostazione storico-teologica. Infatti la storia della Chiesa o la storia del Cristianesimo viene concepita in questo senso da molti – soprattutto al di fuori delle facoltà di teologia. In questo modo, con questa ottica, sono state pubblicate grandi opere di storiografia i cui risultati sono imprescindibili anche per la storia della Chiesa letta in chiave teologica. D’altra parte la lettura in chiave teologica allo storico non teologo può servire per comprendere ed interpretare personaggi, fatti, processi ecclesiali in modo più adeguato ed approfondito – perché considerata alla luce dell’autocomprensione della Chiesa stessa che è l’oggetto della sua ricerca.