Il cristianesimo si incontra presto con il diritto, e finisce con l’esservi pienamente coinvolto. La sua diffusione si realizza nella realtà dell’impero romano, che ha raggiunto un livello di maturità e sapienza giuridica ancora oggi insuperato, con un’autorità politica centrale e una legislazione ammirate in ogni epoca. La nuova religione assimila la mentalità e la pratica giuridica sin dai tempi delle persecuzioni, quando vive e si struttura utilizzando gli strumenti del diritto romano per ciò che riguarda la propria organizzazione, amministrazione dei beni, struttura gerarchica. Ma la compenetrazione con il diritto si determina soprattutto quando diviene
religio licita nel 313, religione dell’impero nel 380, in proporzioni che ingigantiscono con il tempo.Le ragioni della «giuridicizzazione del cristianesimo» sono oggetto di discussione, senza che una tesi riesca a prevalere sull’altra. La più convincente ritiene che il diritto sia connaturato al cristianesimo, pur non potendosi negare il ruolo svolto dall’incontro con la romanità. Per Paolo Grossi, «su un punto si può tranquillamente concordare: che questa Chiesa – che è romana, che dalla civiltà romana ha assorbito molto (...) – questa Chiesa ha avuto da Roma in legato il sentimento della rilevanza del diritto e, di conseguenza, la persuasione del diritto come cemento sociale come garanzia di incisività nella storia e – perché no? – anche come strumento potestativo». Però, aggiunge l’autore, la ragione del rapporto inscindibile tra Chiesa e diritto è un’altra, risiede nel fatto che il cristianesimo sceglie di agire nella società come nel proprio ambiente naturale. La «Chiesa non diffida del temporale, anzi vi si immerge ben volentieri convintissima che la salvezza eterna dei fedeli si gioca proprio qui, nel tempo e nelle temporalità (...). Ma nel temporale non vivono individui isolati, bensì un reticolato di rapporti che uniscono gli individui nella societas ». La comunità «protegge, garantisce, media», è «l’unico tramite sicuro per un colloquio efficace con la divinità», e ne deriva «la preminenza e l’essenzialità del giuridico», perché «se per l’ideologia religiosa cattolica è nel sociale che si gioca la
salus aeterna animarum, il diritto, compenetrato nel sociale, lo è implicitamente anche al religioso. Il diritto si colloca naturalmente anche in un orizzonte salvifico».Il grado di compenetrazione con il diritto dipende dal contesto geopolitico nel quale il cristianesimo si diffonde, provoca effetti aggiuntivi, incide sulla sua natura religiosa, e nel tempo si modifica, cresce, si affievolisce e si stempera. Un momento decisivo del processo di giuridicizzazione è quando Costantino diviene arbitro nelle vicende interne della Chiesa, pur essendo ancora pontifex maximus, capo dei pagani. Costantino quasi si sdoppia. Guida e garante del paganesimo, si erge a difensore dell’unità cristiana, considera tale unità un grande valore po- litico, esercita diritti e poteri squisitamente ecclesiastici. L’imperatore sollecita la Chiesa a risolvere le controversie dottrinali aperte in Africa da Donato, il quale ritiene necessario un nuovo battesimo per gli eretici convertiti e considera invalidi i sacramenti amministrati da chierici indegni. È iniziata la commistione con il diritto pubblico, ma la compenetragenerale zione tra impero e Chiesa giunge a compimento con l’esplosione della crisi ariana. L’insegnamento di Ario mette a rischio l’identità del cristianesimo, ma ha effetti deflagranti anche per l’impero, dove per la prima volta province e distretti si dividono e si combattono per motivi teologici. Poiché l’insegnamento di Ario si diffonde e conquista consensi, si prospetta l’esigenza di un concilio – la prima assise ecumenica della storia – che definisca una dottrina valida e cogente per tutti. Costantino convoca il concilio a Nicea, lo inaugura il 20 maggio 325, e afferma in apertura: «Quanto a me, considero temibile come una guerra, come una battaglia, e più difficile a perdersi, ogni sedizione interna della Chiesa di Dio e la pavento più che le guerre esterne». Il concilio risolve le questioni religiose, si conclude con la condanna di Ario e l’approvazione del simbolo di Nicea, il credo cristiano che non cambierà più. La professione di fede entra a far parte delle leggi imperiali. La Chiesa si apparenta in questo modo all’impero e al suo capo, finisce col farsi plasmare dalla mentalità e dalla cultura giuridica, che sfiora la sfera della dottrina e della teologia. La gerarchia indulge all’uso del metodo giuridicizzante anche nel definire principi e verità teologiche. Se questa opera è necessaria per mantenere l’unità delle genti cristiane, è vero che si attenua l’orizzonte misterico nel quale la rivelazione si inserisce, diminuiscono la flessibilità e la delicatezza con cui si dovrebbe parlare dell’ambiente e della dimensione del divino. L’assimilazione della mentalità romana rischia di introdurre nella religione del libro un formalismo che non giova alla sostanza del suo messaggio. L’intreccio con il diritto prosegue senza soste, con risvolti ambigui e fecondi al tempo stesso. Il diritto romano e il diritto canonico sono strumenti utili per civilizzare popoli e terre d’Europa, per creare istituzioni ecclesiastiche stabili, disciplinare la Chiesa. Quando l’Europa si fa adulta, inizia un cammino inverso, che non cancella il diritto canonico, ma inizia ad abbattere strutture autoritarie e ingiuste, riconosce i diritti dello Stato che si emancipa dalla Chiesa, avvia un processo di spiritualizzazione della Chiesa nel quale siamo tuttora immersi. C’è un bilancio quasi impossibile da fare, e che sarebbe affascinante: ciò che il diritto ha dato alla Chiesa, e ciò di cui l’ha privata, ciò che la Chiesa ha dato al diritto, ciò che l’ordinamento canonico può lasciare senza perdere la propria identità. «Il battesimo di Costantino», affresco di Raffaello Sanzio nei Museo Vaticani (1520-24)