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Anniversario. Chiari, i colori dell'eterno Walter

Massimiliano Castellani venerdì 1 marzo 2024

L'attore e showman Walter Chiari (1924-1991). Foto tratta dalla biografia "100% Walter" (Baldini+Castoldi)

Nella storia dello spettacolo d’arte varia Walter Chiari era e resterà in eterno il “talento”. Per il critico Maurizio Porro, «un talento anche sprecato, autodistruttivo », per colpa «di disgrazie pubbliche e private», scrive in prefazione a 100% Walter. Chiari. Biografia di un genio irregolare (Baldini+Castoldi. Pagine 473. Euro 22,00). Biografia monumentale, scritta, di cuore e di pancia, dal figlio di Walter Chiari, Simone Annichiarico e dalla penna “biopica” Michele Sancisi, in occasione del centenario dell’istrione che era nato un secolo fa, a Verona: l’8 marzo 1924. Data quasi scontata per un idolo delle donne del secolo scorso. E chi ha visto gli esordi di Mamma Rai, non può aver dimenticato neanche un fermo immagine, una gag, un sorriso e le mille bolle blu come le altrettante facce buffe e le smorfie dell’inventore del surreale Sarchiapone. L’inimitabile Walter, il fidanzato di quell’Italia uscita a pezzi dalla guerra, simbolo di una migrazione dolceamara da Sud a Nord, come la sua famiglia, gli Annichiarico che si era spostati dalla Puglia (Grottaglie) fino a Verona. Ma è Milano che cresce e forma il genio artistico di Walter Chiari, anche se la sua unicità, e il suo limite, fu quello di essere un apolide di tutti i luoghi e di tutti i generi praticati. Principe della rivista, teatrante da esportazione in America - con parodie sagaci alla Tutto fa Brodway -, giocoliere della parola quanto il geniale signore di mezza età Marcello Marchesi. Voce inconfondibile alla radio e volto della Tv: bello e solare all’ombra del ciuffo scuro e mediterraneo. Ma anche attore di cinema con debutto nel 1950 ne I cadetti di Guascogna di Mario Mattoli assieme all’amico Ugo Tognazzi. In più, talent scout: nel 1954 portò in scena per la prima volta Domenico Modugno all’Odeon di Milano, in Controcorrente. Da atleta quasi olimpico, non a caso amico dell’olimpionico Ottavio Missoni che gli dispensava cene e maglioni sgargianti, Walter Chiari era un campione nel salto degli appuntamenti. Saltò anche la prima a Torino di Buonanotte Bettina. Scrissero i rotocalchi che lo attenzionavano morbosi, «è colpa della nuova fiamma, Lucia Bosè». Ecco, l’altro primato: Walter Chiari il più paparazzato della dolce vita, collezionista di flirt e amico di tutti i gestori dei locali di via Veneto (e non solo). Tutto questo e anche di più è condensato nel lavoro di scavo con emersione di perle rare e inedite svolto da Sancisi, affiancato da memorie corsive e corsare provenienti dalla fonte di quel figlio, unico, Simone (nato dall’unico matrimonio, con l’attrice Alida Chelli), che ha beneficiato, quanto basta, degli insegnamenti di quest’uomo perennemente in fuga, forse perché convinto dentro di sé di essere costantemente in anticipo sui tempi, e non solo quelli comici che si era imposto. Walter il generoso che spendeva tutto ciò che aveva per far felici gli altri e che non ha mai distinto tra pubblico pagante e quello che lo applaudiva e salutava al passaggio dei mille scali aerei e ferroviari in cui fu avvistato il tempo di un autografo e uno scatto, quando la rucola non c’era (direbbe il suo autore, il principe degli umoristi Enrico Vaime) e neppure i cellulari. Perché quest’uomo pirandelliano, da una, nessuna e centomomila esistenze, è volato via a 67 anni, nel 1991. E con Michele Sancisi che ci fa da Virgilio tra le pagine di questa biografia spettacolare cominciamo dagli inizi e dalla cattiva nomea del “Walter Chiari fascista”.

L’etichetta assurda del “filofascista”

«Circolava la voce, falsa e tendenziosa, del Chiari “nostalgico di regime”. Aveva un padre, Carmelo, brigadiere dei Carabinieri e fascista, coinvolto in un caso molto delicato che lo portò al trasferimento a Milano. Da quel padre prese sempre le distanze, al punto da essere considerato da tutti gli Annichiarico “un extratterrestre finito in una famiglia pugliese”. Le sue uscite giovanili su Mussolini o la gag del baffetto alla Hitler, erano delle provocazioni di un comico disinteressato alla politica, quanto interessato invece a divertire e piacere al suo pubblico. Sono andato a scavare negli archivi che sono stati desecretati da poco - continua Sancisi - e ho trovato che la sua appartenenza fugace alla Repubblica Sociale di Salò fu cancellata con l’altrettanto rapida adesione alla condizione di “disertore”. Nel tempo pagò l’etichetta di presunto fascista? No, ma grazie al fatto che stava simpatico a tutti. Va anche detto però, che non essendo organico a quei registi di sinistra della commedia all’Italiana, Scola, Monicelli... gli fu precluso un certo tipo di cinema che avrebbe sicuramente meritato di fare. Con Dino Risi lavorò a un solo film, Il giovedì, che non ebbe successo e lo stesso Risi risentito diede la colpa alla sua interpretazione. Ripiegò su registi come Mario Mattoli e Marino Girolami, per i quali fu attore e autore, ma per la critica fu facile etichettare Walter Chiari come attore cinematografico di serie B. E ingiustamente, perché, come ricorda suo figlio Simone: “In 50 anni di carriera papà aveva lavorato con registi con come Orson Welles, Michael Powell e Otto Preminger”...».

“Sedotto e abbandonato” da Luchino Visconti

« Bellissima fu l’apice della sua carriera cinematografica. Merito di Visconti che lo considerava uno di famiglia, anche se artisticamente lo aveva sedotto e poi subito abbandonato. Bellissima funzionò anche per il feeling instaurato con la grandissima Anna Magnani. Lei e Chiari sono stati due irregolari, due divi antidivi. Si sono capiti, hanno avuto anche una breve storia d’amore e poi mantenuto un profondo senso di amicizia e di rispetto, due elementi per i quali Walter Chiari era un attore da Oscar, quanto la Magnani.

Fuori dal cinema mattatore in teatro e in Tv

«Walter Chiari entra in maniera dirompente e da predestinato nel piccolo schermo fin dal 1958 con La via del successo, Canzonissima e quattro anni dopo l’apoteosi con Mina in Studio Uno. In tv trasferisce tutto il suo immenso talento di attore di rivista, spiazzando il pubblico con l’arte dell’improvvisazione e con i suoi proverbiali “monologhi fiume” che avevano incantato in teatro e funzionavano anche alla televisione. E poi era il primo “comico bello” che ammaliava tutti, uomini e donne, tanto da permettersi il lusso di andare in onda senza cravatta, che all’epoca era di ordinanza. Ma lui già negli anni ‘40, quando in scena faceva coppia con Marisa Maresca, restava sul palco in giacca e camicia sbottonata, suscitando anche qualche malumore da parte dei critici più conservatori. Con o senza cravatta, Walter era di una eleganza innata e di una pulizia ammirevole. Sandra Mondaini per descriverlo disse: “Walter sapeva sempre di shampoo e di dentifricio”. E poi sapeva cantare, ballare e recitare, tre doti rare per uno show man di allora.

Anche gli americani si accorsero del Walter

«L’esperienza a Brodway (100 repliche de The Gay Life di Herbert Ross) dove impara a recitare in inglese lo completa definitivamente. A New York arriva nel 1957, anche sulla scia della love story con Ava Gardner, ed è l’unica volta che riesce a disciplinarsi e ad essere funzionale allo star system. Poteva restare in America e sfondare a Hollywood? Sì, forse, ma avrebbe dovuto rinunciare alla sua indole di uomo libero, di contemplatore del mare “almeno una volta al giorno”. La sua vera passione erano le passeggiate in solitaria nei boschi, il poter andare a caccia e a pesca, anche se magari quella stessa sera aveva uno spettacolo. E poi se c’era un luogo dove si sarebbe rifugiato non era certo la caotica America. No, Walter sognava gli spazi infiniti e incontaminati dell’Australia. Un sogno condiviso anche con i suoi parenti, in Australia si era sposato con Alida Chelli e aveva acquistato dei poderi, deciso a trasferirsi per sempre assieme a loro, ma poi gli “fregarono tutto” (come accadde spesso nella sua vita) e rinunciò.

Pochi vezzi e quel vizio della droga

«Dalla droga non si liberò mai. Era il suo vizio fin dalla metà degli anni ’40. Ma paradossalmente era una dipendenza che seppe gestire bene, anche grazie alla costante attività sportiva a cui sottoponeva il suo fisico. Per ingenuità, e non certo perché fosse uno spacciatore, come lo accusarono i soliti pentiti della malavita che da sempre infestano questo Paese, è finito in prigione: 100 giorni di reclusione a Regina Coeli. Simone nasce l’8 agosto del 1970 mentre Walter è dietro le sbarre. Il mondo dello spettacolo dopo averlo portato in paradiso lo lascia da solo nel suo inferno, dal quale avrà la forza, come sempre, di uscirne ma il carcere l’ha cambiato nell’anima. Appare più malinconico, deprivato di parte di quell’energia carismatica ed esplosiva di prima di quell’accanimento giuridico. Simone racconta che un fan un giorno gli disse: “Ti è stato dato un padre di seconda mano, tu non sai com’era Walter Chiari prima della galera…”.».

Il papà unico e speciale di Simone Annichiarico

«Simone nasce quando Walter ha già 46 anni, ma la voglia di paternità gli era scattata molto tempo prima, ai tempi in cui girava Il Giovedì e nel film interpretava il padre irresponsabile del piccolo attore Roberto Ciccolini, il quale si affezionò a Walter, affetto reciproco, al punto che alla fine delle riprese Roberto piangeva, voleva andare a vivere con lui. Anche Simone al momento della separazione dei suoi genitori spera di poter andare a vivere con papà Walter che gli garantiva quel “giro del mondo” che poi fece con l’amico Tony Renis, ma soprattutto la possibilità di non andare a scuola, perché troppo impegnati ad esplorare il pianeta insieme. C’è un aneddoto per tutti che fa capire quanto Walter Chiari teneva a quell’unico figlio. Un giorno salgono in treno diretti a Milano e sono in tre: Simone, Walter e la sua giovane fidanzata del momento. A Bologna Walter scende e finge di andare a comprare i giornali, ma è un trucco per sganciarsi… il treno riparte e lui prova a rincorrerlo con Simone, mentre la ragazza al finestrino si dispera… Fuori dalla stazione c’era già pronta la macchina di un amico che li avrebbe portati a Riccione per una settimana di vacanza, loro due da soli, Walter e Simone.

La fede nella natura e lo “choc” da Padre Pio

Walter aveva una sua spiritualità. Era un asceta dinanzi alle meraviglie della natura. Soffriva il cattolicesimo e si teneva a distanza dalle istituzioni ecclesiastiche e probabilmente si allontanò definitivamente dopo quell’episodio con Padre Pio. Carlo Campanini, suo grande amico e sodale televisivo, era un fervido credente e alla metà degli anni ’60 gli chiese di accompagnarlo a San Giovanni Rotondo, ma quando arrivano per chiedere di incontrare Padre Pio pare che il futuro Santo congedò Walter con un “va de retro” che lo amareggiò tantissimo. Erano gli anni in cui cominciava la sua dissipazione e Padre Pio probabilmente aveva voluto ammonirlo affinché desse una raddrizzata alla sua vita. E Walter ci provò anche, con il matrimonio, ma non fu sufficiente perché il suo ruolo era quello di appartenere solo ed esclusivamente a quella famiglia allargata che considerava il mondo.

Il gran finale e il biglietto in tasca: “Morto Ugo Tognazzi”

«La famiglia per Walter era stata essenzialmente la madre, Vincenza. Morta lei, va alla ricerca di una “famiglia ideale” che un giorno vide in un ristorante dove Ugo Tognazzi era a tavola tra figli e nipoti. Walter osserva da lontano il suo caro amico e non ha il coraggio di andarlo a salutare. Un gesto non da lui, e confidò a Simone, che era presente e chiedeva perché non lo salutasse: “Non volevo disturbarlo”. Ugo è stato nel cinema quello che Walter è stato per il teatro leggero e la televisione. Tante affinità elettive, il gusto del comico, la generosità artistica e umana, la passione per il Milan, quella per la buona tavola e l’attività sportiva, vedi le mitiche partite a tennis nei tornei estivi organizzati al Villaggio Tognazzi con in premio lo Scolapasta d’oro. Ironia della sorte sono morti tutti e due prima dei settant’anni, capaci entrambi di sfuggire anche alla vecchiaia. Quando quel 20 dicembre 1991 Simone si fa coraggio ed entra nella stanza del residence milanese, dove Walter è morto, nella sua giacca preferita trova un biglietto, probabilmente lasciatogli dalla reception, che conservava da un anno e su cui stava scritto: “E morto Ugo Tognazzi”… Walter Chiari - conclude Sancisi - ha vissuto fino in fondo la vita che aveva voluto». E sulla sua tomba (al Cimitero Monumentale di Milano), confidò a Dino Risi, avrebbe voluto tanto apporre l’epitaffio: “Non vi preoccupate, è solo sonno arretrato”.