Agorà

IL CASO. Chi fa guerra a Gesù?

Andrea Galli mercoledì 20 aprile 2011
«Gesù si è consegnato all’esegeta, allo storico, al critico come si è consegnato ai soldati, agli altri giudici, alle turbe». Dovendo scegliere tra un mare di rimandi e circa 800 note, questa citazione di Charles Peguy è una di quelle che meglio racchiudono il senso dell’ultima fatica di Antonio Socci, La guerra contro Gesù (Rizzoli, pagine 440, euro 18,50), scritto dal giornalista e saggista senese con la vis polemica, il gusto per lo scavo documentario e l’apertura al soprannaturale che lo hanno reso popolare. Si tratta di una sorta di viaggio nel tempo seguendo la traccia indicata nel titolo, l’odio bimillenario per un «ebreo marginale» e per i suoi seguaci. Un viaggio che parte da un fatto recentissimo, l’assassinio del cattolico Shahbaz Bhatti, ministro pakistano per le minoranze religiose, e dalle persecuzioni nei confronti dei cristiani in lande più o meno sperdute del mondo. Passa poi per le persecuzioni politicamente corrette, ossia per l’anticattolicesimo quale «ultimo pregiudizio accettabile», come recita il titolo di un saggio del sociologo episcopaliano Philip Jenkins, per il dileggio mediatico e la pressione dell’opinione pubblica. Torna a una della matrici di questo odio «illuminato», Voltaire, soffermandosi sul lato noir del polemista francese, ben noto agli storici ma quasi per nulla al grande pubblico: il Voltaire rabbiosamente antisemita indagato da uno dei massimi esperti dell’argomento, Leon Poliakov; quello razzista del Trattato di Metafisica; quello azionista di una compagnia mercantile di Nantes dedita alla tratta dei «negri»; quello dell’écrasez l’infâme, preda di un’ossessione, una sorta di nevrosi anti-cristiana, secondo la diagnosi di quel finissimo filologo che fu Erich Auerbach. Un Voltaire che è stato nondimeno mistificato e mitizzato dalla cultura di matrice illuminista, da quella stessa classe intellettuale che ha irriso alla deificazione di predicatore della Galilea operata da un manipolo di discepoli visionari. Socci sovrappone poi l’odio per Cristo  nella sua radice ebraica e nella sua continuazione storica, cioè la Chiesa cattolica -a quello di un’altra figura apparentemente agli antipodi, Alfred Rosenberg, uno degli ideologi del Terzo Reich con il suo Mito del XX secolo. Anche in lui l’antisemitismo fa tutt’uno con l’anticattolicesimo, nel tentativo di strappare la figura di Gesù dalla suo fondamento storico e piegarlo ai canoni della religio ariana. E qui il viaggio arriva a nei pressi di un’altra «guerra» contro la figura di Cristo, che sta particolarmente a cuore all’autore, che vi si sofferma per oltre la metà del libro e che riguarda la storicità di Gesù e dei Vangeli. Socci riprende un filone a cui si era dedicato all’inizio degli anni ’90 sul settimanale "Il Sabato" e sul mensile "30Giorni". Venti anni dopo torna a denunciare la resistenza di esegeti e studiosi delle Scritture a confrontarsi con le più recenti acquisizioni scientifiche. Se nel mondo dei neotestamentaristi il canone vigente pare essere ancora quello formulato da un luminare come John Meier, ovvero che «Gesù fu semplicemente insignificante per la storia nazionale e mondiale, agli occhi degli storici giudei e pagani del I secolo e dell’inizio del II secolo», la realtà sembra dire l’opposto. Ovvero che la quantità di attestazioni della vicenda di Gesù e del propagarsi del suo culto, a partire dai primi anni dopo la sua morte, è prodigiosa contando l’irrilevanza politica del protagonista e la quantità di documentari rimastici di un tempo così remoto. Socci elenca una trentina di queste attestazioni, appoggiandosi anche alle ricerche di due antichiste italiane come Marta Sordi e la sua allieva Ilaria Ramelli. Dal senatoconsulto del 35 d.C. con cui Tiberio sottopose al senato romano l’ammissione della figura di Gesù nel pantheon delle divinità; alla testimonianza di Abgar il Nero, toparco di Edessa, databile verso il 36 d.C.; all’epistolario tra Seneca e san Paolo, di cui la Sordi ha provato l’altissima attendibilità; alla parodia cifrata del cristianesimo nel Satyricon di Petronio; al quadrato magico del Sator, forse la più famosa struttura palindroma del mondo classico ritrovata anche a Pompei, e il cui significato cristiano pare difficilmente contestabile; alla testimonianza di Giuseppe Flavio nelle Antichità giudaiche, che resta cruciale anche al netto di eventuali interpolazioni cristiane. E così, se resta «canonica» la datazione bassa dei Vangeli, dal 70 d.C. in su, Socci sciorina in un centinaio di pagine il perché tale posizione non è più sostenibile: dai risultati della scuola esegetica di Madrid sul sostrato aramaico dei Vangeli, agli studi pionieristici in tal senso di Jean Carmignac, a quelli dell’anglicano John A.T. Robinson (partito da un approccio «demitizzante»), a quelli di Klaus Berger sul Vangelo di Giovanni, alla questione sempre più cogente dei rimandi ai Vangeli in Paolo o nella Didaché, fino alla sfida posta dal 7Q5, il frammento trovato a Qumran e identificato dal gesuita Josè O’Callaghan e altri con un brano di Marco. E lancia il suo j’accuse contro chi, spesso interessatamente, rifiuta a priori l’ipotesi che i Vangeli siano cronache di un evento e non rielaborazioni teologiche tardive. Non si tratta di una bega fra specialisti. Ne va della possibilità di risalire al Gesù storico e della veridicità dei suoi testimoni, come più volte ha ricordato negli ultimi 30 anni anche Joseph Ratzinger. Negate o minimizzate le quali, da lì a considerare il tutto una sublime fabula il passo è breve.