Agorà

Epistolari. Nelle lettere di Freud tutto il dolore per la finis Austriae

Giuseppe Bonvegna giovedì 30 maggio 2024

Sigmund Freud

Il 4 maggio 1915 Freud aveva quasi sessant’anni, quando scriveva una lettera (da poco resa disponibile per la prima volta in italiano e che pubblichiamo sotto) indirizzata al suo allievo Karl Abraham, fondatore a Berlino di uno dei primi istituti di psicanalisi: in essa il fondatore della psicanalisi scriveva di aver trovato molto preziose le osservazioni di Abraham sulla melanconia in vista del lavoro omonimo che stava terminando; aggiungeva anche di essere preoccupato del fatto che la guerra iniziata l’anno prima potesse volgere a sfavore dell’Austria (suo figlio maggiore Ernst era sottoufficiale dell’esercito austriaco in Galizia), nel caso in cui si fosse verificato l’intervento anti-austriaco dell’Italia che proprio quel giorno (il 4 maggio), ricusava, in seguito alla firma del Patto di Londra con Gran Bretagna, Francia e Russia, la sua alleanza a fianco di Austria e Germania.

Il carteggio tra Freud e Abraham, che le Edizioni Alpes di Roma mandano in libreria in prima edizione italiana sulla base della prima edizione tedesca del 2009 uscita presso la casa editrice viennese Turia + Kant, inaugura la collana Carteggi freudiani (che avrà come prossime uscite gli epistolari di Freud con Eugen Bleuer, Otto Rank e Max Eitingon) e consente, tra l’altro, di ricordare snodi cruciali della vita di Freud: come la morte della figlia Sophie nel 1920 e del figlio minore di lei, a soli quattro anni, a causa della tubercolosi nel 1923.

Ma vengono alla luce anche aspetti forse meno noti della vita di Freud, a cominciare dalla sua appartenenza anche sentimentale al mondo della finis Austriae, quel mondo multiculturale, multietnico e multireligioso, nel quale il medico di Vienna si identificava col proprio ebraismo, pur trattandosi di un mondo che aveva ancora il proprio collante culturale, politico e religioso nel cattolicesimo. Non va comunque dimenticato che Freud si era formato, nella Vienna degli anni Settanta dell’Ottocento, alla scuola del sacerdote cattolico renano di origine italiana Franz Brentano, il quale proponeva una filosofia spiritualista incentrata non sull’idea di “incarnazione” dello spirito assoluto hegeliano nel mondo, ma sull’idea di apertura intenzionale della coscienza del singolo individuo al mondo. Una scuola, quella di Brentano, dalla quale era uscito anche il fondatore della fenomenologia, Edmund Husserl, nato nel territorio dell’Impero austroungarico, ebreo anche lui, formatosi a Vienna e poi, a partire dei primi del Novecento, docente nelle università tedesche di Halle, Gottinga e Friburgo: in quegli anni, a Gottinga era studente anche Carl Jaspers (fondatore dell’esistenzialismo) e, a Friburgo, Husserl ebbe come assistente Martin Heidegger, anche lui orientato nel solco dell’esistenzialismo.

La corrispondenza tra Freud ed Abraham, coprendo un arco di tempo di vent’anni, compreso tra il 1907 e il 1925, anno della morte prematura di Abraham, riguarda quindi un periodo cruciale della storia della cultura europea del Novecento: che avrebbe visto ancora, a Vienna, il lavoro di Freud fino al 1939, anno della morte, avvenuta il 23 settembre all’indomani dell’inizio della Seconda Guerra Mondiale, con l’invasione tedesco-sovietica della Polonia. Erano anni durante i quali Freud elaborava la Metapsicologia, avviandosi quindi sempre di più verso una caratterizzazione filosofico-metafisica della psicanalisi (si pensi soltanto alle pagine sullo statuto dell’inconscio), mentre nascevano, tra il 1909 e il 1910, la “Società psicanalitica viennese” e l’“Associazione psicanalitica internazionale”, ma avveniva anche la fuoriuscita di Alfred Adler e di Carl Gustav Jung dal gruppo freudiano.

In questo contesto Abraham ebbe modo di far conoscere la propria convinzione circa l’apporto che la psicanalisi poteva dare ad alcune scienze morali (etnologia, psicologia dei popoli, biografie psicanalitiche di personaggi importanti) e quindi sollecitava Freud nella direzione di una maggiore attenzione verso il primato della psicanalisi su qualunque retroterra di tipo filosofico: ma riteneva, nello stesso tempo, che i saggi freudiani (infarciti di considerazioni filosofiche) avessero un enorme valore euristico proprio per gli apporti che potevano offrire alla clinica, tanto da considerare Freud quasi una sorta di supervisore. Del resto, fu proprio anche scrivendo ad Abraham che Freud ebbe la possibilità di consolidare la propria convinzione secondo la quale la psicanalisi, come indagine e terapia delle patologie della mente, presupponesse una filosofia antropologica dell’uomo che andasse innanzitutto a indagare i rapporti tra anima e corpo: Psicopatologia della vita quotidiana (1901), Tre saggi sulla teoria sessuale (1905), Totem e tabù (1912-1913), Introduzione al narcisismo (1914), Metapsicologia (1915), Al di là del principio di piacere (1920), L’Io l’Es (1922).

Non tutte le nostre scelte, infatti, hanno, per Freud, diritto a essere chiamate desiderio, dato che quest’ultimo non deriva soltanto dalla libertà di scelta individuale la quale, anzi, può spesso negarlo: ad esempio, attraverso la guerra. Anche un altro figlio di Freud, oltre al già citato Ernst, partì per il fronte della Prima guerra mondiale: il 22 luglio 1916 Freud scriveva ad Abraham di avere, dal 2 luglio, notizie di Ernst «che è ancora rimasto sul suolo italiano conquistato» (dove sarà preso prigioniero) e che invece «di Martin, che è da qualche parte a combattere contro i russi, non ne ho soltanto dal giorno 11».

E, a giudizio di Freud, le guerre peggiori erano quelle che egli stesso considerava sbagliate, come proprio la grande liquidazione dell’Austria-Ungheria del 1914-1918. Sempre nella lettera ad Abraham scriveva: «Peccato che l’esultanza per la vittoria di questi giorni, che ci è mancata così a lungo», sia offuscata dalla prospettiva dell’ingresso dell’Italia contro l’Austria; prospettiva che comunque lo portava a concludere che, in compenso, l’ammirazione austriaca per «i nostri grandi alleati» (i tedeschi) «cresce di giorno in giorno».