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Il filosofo. Charles Taylor: «La secolarizzazione? È un'opportunità»

Simone Paliaga domenica 8 gennaio 2023

Il filosofo canadese Charles Taylor

«L’epoca secolare offre l’opportunità di riadattare le forme della spiritualità, non va ritenuta come un declino e soprattutto non bisogna pensare di tornare al passato», dice Charles Taylor, uno di più importanti filosofi viventi, autore di opere capitali come L’età secolare e Le radici dell’io, entrambi pubblicati, qualche anno fa, dall’editore Feltrinelli. Ma oltre al ruolo giocato sulla scena filosofica della seconda metà del Novecento e di questo primo scorcio di ventunesimo secolo, il filosofo canadese è stato insignito, nel 2007, anche del premio Templeton, uno dei maggiori riconoscimenti nel campo della spiritualità e che in precedenza era stato assegnato anche a Madre Teresa di Calcutta e a Aleksandr Solženicyn. Taylor, classe 1931 e professore emerito alla McGill University di Montréal, in questi giorni si trova in Italia per prendere parte all’incontro “Solo la secolarizzazione ci potrà salvare? Fede e ragione nell’epoca del disincanto” e alla successiva tavola rotonda che si terranno all’Università Cattolica di Milano martedì 10 gennaio.

Professore, oggi parlare di secolarizzazione è diventato quasi un luogo comune…

«Si sostiene spesso che le nostre società siano secolarizzate, che il problema di Dio sia ormai assente, che ci sia un allontanamento della fede da parte dei credenti. Tuttavia la questione va ridefinita, e non pensata in modo semplicisitico. Inoltre andrebbe contestualizzata. Eventualmente il termine secolarizzazione andrebbe utilizzata per descrivere le società occidentali e, anche in quel contesto, non in maniera generalizzata perché ci sono degli ambienti delle nostre società dove il termine non è applicabile. E certo non vale per il mondo musulmano, per esempio. E così per il buddhismo».

Come possiamo intendere allora questo processo affinché il termine possa servire per interpretare il nostro tempo?

«Per inquadrarlo, possiamo considerare la secolarizzazione sotto tre aspetti diversi. Il primo prende in esame le istituzioni o le pratiche comuni, e non solo lo stato. E riguarda il fatto che queste istituzioni in passato trovavano legittimazione solo se erano connesse, garantite dalla fede in Dio o fondate su altre nozioni che fanno riferimento a una realtà ultima. C’è anche un secondo modo di intendere la secolarizzazione. È quello di constatare che le persone si siano in qualche maniera distolte da Dio e dunque si siano allontanate dalle pratiche religiose e non si rechino più in chiesa. Entrambi questi modi di vedere però non sono però efficaci per indagare il problema della secolarizzazione. Dal mio punto di vista è opportuno focalizzarsi sulle condizioni sottese al credere, su come si sia modificato il contesto in cui la fede fiorisce. In questo senso la secolarizzazione consiste nel passaggio da una società in cui è impossibile non credere in Dio a una società in cui la fede è una opzione tra le tante. Oggi ci troviamo dinanzi a una tremenda varietà di possibilità e di opzioni spirituali, e da questa situazione non possiamo tornare indietro. Pertanto possiamo ritenere che una società è secolare non in virtù dell’eclissi della fede ma in forza delle condizioni che rendono possibile l’esperienza e la ricerca spirituale in un mondo segnato dalla pluralità di opzioni offerte».

La sua visione rompe quindi con la convinzione che la secolarizzazione faccia il paio con una situazione di decadenza e di declino…

«La situazione del mondo di oggi non può essere interpretata come un semplice declino o decadenza. La nostra fede non è degenerata. Viviamo certamente in un’epoca di ansia perché ognuno si sente insicuro nel proprio intimo anche per la presenza di tutte queste possibilità. Però non possiamo pensare di tornare indietro di cinquant’anni o ancora di più in là col tempo. Per far fronte a questa situazione dobbiamo pensare che il sacro e lo spirituale si posizionano in una relazione diversa, rispetto al passato, nei confronti degli individui e della vita sociale. Questa nuova situazione in realtà può esser letta come un’occasione di ricomposizione della vita spirituale in nuove forme e di nuovi modi di esistere in relazione con la realtà ultima. Non possiamo pensare che tutta questa ricchezza, questa varietà di sentieri spirituali sia un impoverimento. Essi vanno intesi come un’occasione che consente all’uomo di fiorire».

Nel corso del Novecento il mondo cattolico ha tentato di rinnovare la fede e di ripensare le pratiche per adattarla alle nuove condizioni di credenza?

«Non è un movimento che fa capolino solo nel Novecento. La ricerca del rinnovamento è sempre avvenuta, anche in passato, quando ci si richiamava alla lezione dei Padri. Solo per citare qualche esempio, basti pensare all’operato, messo in atto ai loro tempi, dai domenicani o della Compagnia di Gesù. E così nel corso dei secoli a seguire. Poi certo con Giovanni XXIII e con il Concilio Vaticano II sono intervenute delle iniziative che si sono mosse in questa direzione. È stata così valorizzata la riabilitazione della libertà, per esempio, oppure si è diffusa la concezione della Chiesa come popolo di Dio, è stato rinforzato il discorso sui diritti umani e sul valore della democrazia. E non è mancata neppure l’apertura ad altre fedi, superando così gli atteggiamenti assunti in passato dalla istituzioni ecclesiastiche. Questo percorso però non è nato dal nulla. L’esigenza di un rinnovamento era già stato inaugurato da alcuni teologi francesi come Yves Congar o Henri de Lubac».

Come far fronte all’epoca secolare che oggi sembra predominare nelle società occidentali, dunque?

«Di certo non cercando una strada per fare ritorno al passato al passato, come dicevo prima. Sarà possibile trovare ispirazione in alcune esperienze dei secoli precedenti, indubbiamente, ma la vita cristiana oggi dovrà cercare e scoprire nuovi percorsi per andare oltre la situazione attuale. Comprendere il nostro tempo in termini cristiani dipende anche dalla necessità e dalla capacità di individuare questi nuovi sentieri».