Idee. Charles Péguy e il mistero della guerra
Charles Péguy
Nel 1908 Péguy confida a un amico il ritorno alla fede, ma non parlerà mai di conversione. E rivendicherà orgogliosamente in ogni scelta «un approfondimento costante del cuore lungo una stessa via» e mai un rinnegamento, come un’esattezza di senso cui costringere ogni scoperta su di sé e sugli uomini. Tra queste scoperte, e forse ossessioni, anche il “bel combattimento”, la lotta, la guerra stessa, che in lui raccoglie da subito il senso dell’onore, del sacrificio, l’idea di una vocazione, la lealtà verso Dio e gli uomini. Il suo primo incontro con la guerra coincide con il racconto della morte del padre, di cui legge e rilegge l’unica lettera dal fronte che sua madre conserva; come se solo nel rinnovarsi del dolore potessero emergerne i contorni e insieme riannodarsi le proprie origini alla storia stessa. «Non mi piacevano le vittorie. Mi piaceva ricominciare le sconfitte. Quante volte non ho ricominciato le sconfitte con quella strana impressione che ogni volta che le ricominciavo non si erano ancora consumate». Dopo gli anni dell’adolescenza, scanditi dalle canzoni di marcia dei “battaglioni” scolastici, già al liceo accetta ogni occasione di scontro, e spesso alla guida dei propri compagni. Un’autorità naturale e una disponibilità al sacrificio cui il primo servizio militare offre una cornice fuori dagli “accomodamenti civili” e la rappresentazione di una giustizia sociale inaspettata. Ma è con la piccola Jeanne d’Arc che la guerra entra nel gioco più grande della vocazione e della salvezza, assumendo una valenza nuova che confina con il destino personale e il suo compimento. È il “sistema dell’onore”, all’interno del quale «morire è sempre e comunque un colmarsi, un compiersi, e il risultato ne è sempre una specie di pienezza». La delusione per come evolve il caso Dreyfus – durante il quale Péguy guida anche vere e proprie battaglie, randelli in pugno, intorno alla Sorbona – è esattamente per il venir meno di questo onore fondativo. «Noi dicevamo che una sola ingiustizia, un solo crimine, una sola illegalità basta a rompere l’intero patto sociale, a disonorare un intero popolo». L’angoscia per questo disonore trasforma la minaccia di una guerra contro la Germania di Guglielmo II in un’occasione per la rinascita della patria. Non chiede una rivincita, neppure solo la liberazione dei territori occupati, ma che ogni singola giustizia sia finalmente preferita a ogni ordine prestabilito; e che il sistema della guerra come il “sistema della cavalleria” riveli la statura dell’uomo attraverso il suo sacrificio e regoli in un modo definitivo il confronto tra i valori in campo. «Un bel combattimento, ecco cosa importa. Dio è servito. Dio può guardare. Ci si riconosce. E il resto è quel che accade». Ma chi darà efficacia a questa immolazione personale? E cosa faremo delle sconfitte di una vita, dell’angoscia che non viene meno, della pace che non è mai valida e mai salda? Perché la fiducia in quel che accade abbia senso occorre che la realtà porti in dote una propria positività ultima; e che la battaglia dell’onore appresa dagli antichi, in cui l’umanità misura se stessa, trovi un dio che abbia, al contrario dei loro dèi, anch’egli bisogno dell’uomo e di un proprio “compimento”. Péguy troverà infine questo valore interno al reale nel mistero dell’Incarnazione. E la guerra, che era già parte del piano della salvezza, diventa metafora diretta della fede. In questo nuovo combattimento, così come Dio si rivela all’uomo, anche l’uomo si mostra a lui col suo volto più vero. Solo in questo avvenimento di corrispondenza e reciprocità, l’asse che lega il temporale e l’eterno rende efficace lo sforzo umano e, insieme, l’intenzione di Dio. Il simbolo di questa scoperta, e della letizia inaspettata degli ultimi mesi di vita, sarà il martire Poliuto, personaggio tra i più famosi di Corneille. Péguy vi legge il coronamento dell’onore antico, al cui eroe l’annuncio cristiano dona la capacità di salvazione del mondo intero e una statura umana all’altezza della propria natura. Così, se pur sbaglia a immaginare come sarà la guerra in cui anch’egli perderà la vita, non possiamo non sentirlo vicino quando chiede a un amico: «Siamo noi destinati a vincere o piuttosto a preservare, a qualunque prezzo, un certo livello di umanità?». È il sistema della santità, non solo quello dell’onore, ora, che interroga e sfida anche il sistema della guerra. Pronto a pagare ancora qualunque prezzo, ma per affermare e testimoniare quel livello di umanità che corrisponde a ciò per cui l’uomo è fatto, alle sue aspettative più profonde di verità e di giustizia. Solo così possiamo capire la sua frase di addio: «Parto soldato della Repubblica, per il disarmo generale e l’ultima delle guerre». Perché che ogni uomo aspiri a compiersi lealmente al suo più alto grado possibile è in fondo l’unica strada che possa rendere inutile la guerra; perché la guerra si sconfigge prima di tutto nel cuore dell’uomo, dando al suo cuore ciò che sommamente desidera.