La penultima cena, ideata, scritta e recitata da Paolo Cevoli, è un monologo storicogastronomico comico-religioso. Con l’ultimo aggettivo che scorre sotto traccia e alla fine domina, ma in puro stile cevoliano, tra paradossi, doppi-tripli sensi e provocazioni. Allo spettatore viene proposta un’immersione surreale e spassosissima nella Roma augustea e nella Palestina di Gesù viste con gli occhi di Paolo Simplicio Marone, un uomo che coltivava senza scrupoli l’ambizione di diventare il cuoco più famoso dell’impero. Per conseguire quell’obiettivo tutto diventa lecito, ma proprio quando ha raggiunto il vertice della notorietà il suo sguardo incrocia quello di un altro uomo destinato a diventare decisamente più celebre, e a segnare indelebilmente la sua vita: Gesù.Per lui allestisce l’ultima cena, che in realtà sarà solo la penultima. Quella finale infatti la preparerà nelle cucine del Circo Massimo, dove lavora come cuoco dopo avere concluso l’avventura palestinese, e la servirà ai leoni che il giorno dopo avrebbero dovuto combattere contro i cristiani per sollazzare il popolo romano. Una libagione pantagruelica, fatta apposta per stordire le belve, fiaccarne le energie fino a renderle innocue nel momento decisivo, in modo che i suoi amici cristiani possano salvarsi. Il trucco costerà a Paolo Simplicio Marone il taglio della testa: un epilogo che traduce nella carne e nel sangue la frase pronunciata dal Nazareno che si era stampata nella sua mente: «Non c’è amore più grande di chi dà la vita
per i suoi amici». È la fine di un’esistenza condotta in maniera spericolata, all’inseguimento costante del piacere. «Il piacere, la goduria, la ricerca della felicità. Chiamalo come ti pare, ma il concetto è lo stesso: l’uomo vuole godere – chiosa Paolo Cevoli-Simplicio Marone –. La goduria più grande la proveremo in Paradiso, ma mica possiamo accontentarci di aspettare tutta la vita, noi umani vogliamo assaggiare qualcosa di sostanzioso già su questa terra. E chi può saperlo meglio di un cuoco, uno che di professione si occupa 'del mangiare' e che ha come scopo quello di far godere la gente a tavola? Del resto, nella top ten dei sacramenti il primo posto è per l’Eucarestia, geniale invenzione durante una cena tra amici...».Lo spettacolo che Cevoli sta portando in giro per l’Italia, con una serie ininterrotta di 'esauriti' è una rivisitazione del cristianesimo fatta alla sua maniera: si ride (parecchio), e si medita. Si passa dalle orge sfrenate nelle ville dei patrizi romani ai miracoli di Gesù che a volte incrociano 'il mangiare' – le nozze di Cana, la moltiplicazione dei pani e dei pesci – e comunque hanno sempre a che fare con la materialità dell’esistenza, alla quale il Nazareno dona nuovo significato. Incontrando Gesù alle nozze di Cana, Paolo Simplicio Marone intuisce che quell’uomo può essere il suo ideale socio in affari («Vedo già l’insegna: 'Ristorante Al Miracolo', cucina tipica, si mangia da Dio»). Ma sono i suoi occhi, è il suo sguardo che scava, scava, fino a diventare una traccia incancellabile che si radica nel cuore e comincia a cambiare l’esistenza.Accade al cuoco romano la stessa cosa accaduta ad Andrea e Giovanni, i primi che si sono sentiti dire «Venite e vedete», e poi a Pietro e a tutti quelli che «lo guardavano parlare». «Molto immodestamente – scherza Cevoli – devo dire che se avessi potuto scrivere un Vangelo, il quinto, il sesto, fate voi, avrei parlato di sguardi che cambiano la vita. La cosa più importante è come tu guardi una persona, e Gesù aveva uno sguardo carico di amore per la gente che incontrava. Del resto, anche per fare il comico bisogna voler bene alla gente: la vuoi far ridere perché la ami, desideri che chi ti vede goda...«È una legge universale, quella dell’amore, vale per tutti: non si può essere madri se non si vuole bene ai figli, non si può essere buoni politici senza voler bene agli italiani. E tu come fai a fare il giornalista se non vuoi bene ai tuoi lettori? Per restare sul terreno gastronomico, quello che mi ispira di più, penso che per essere un buon comico devi imparare da chi prepara le tagliatelle al ragù: per farle buone devi farle come le faceva mia mamma alla pensione Cinzia di Riccione, dove per vent’anni ho lavorato come cameriere. Si parte da ingredienti semplici, farina, acqua e uova, ma il segreto è la 'mano calda', una cosa che deve trasmettere energia e amore, il che tradotto significa la capacità di creare un buon impasto. Se la mano non è calda, la tagliatella diventa 'sguincia', come diciamo noi romagnoli, se invece è bella porosa assorbe tutto il sapore del ragù e quando la servi in tavola è un trionfo di sapore.«Quando faccio il comico è come se preparassi le tagliatelle: parto dagli ingredienti di base che la realtà mi mette a disposizione, persone, storie, incontri e ci metto la 'mano calda' per fare l’impasto e trasformarli in battute saporite, puntando a far ridere la gente, a farla godere. Lo scopo non è godere da solo, ma far godere chi ti vede. Il comico non esiste senza rapporto con gli altri. Pensa che tristezza mangiarsi le tagliatelle da solo...».Obiezione: la rappresentazione del cristianesimo come qualcosa di godereccio non rischia di sembrare dissacrante e di scandalizzare quanti indicano la via della 'rinuncia al mondo' come la strada privilegiata per seguire Gesù? Cevoli scuote la testa: «Il cristianesimo dei rinunciatari è una bufala, anche se va molto di moda in un certo mondo cattolico e piace a chi pensa alla vita come a un codice da rispettare, a una serie di omissis. Il cristiano, come ogni uomo, desidera la felicità, non si accontenta delle parole, vuole i fatti.«Duemila anni fa quello che ha cominciato tutto ha detto chiaro che per chi lo segue c’è 'il centuplo su questa terra', e la cosa continua a rimanere valida. Per tornare alla mia metafora preferita: ti posso raccontare la tagliatella finché voglio, ma non ti convincerò della sua bontà finché tu non l’assaggi. Se la mangi, ti convince più di un libro di cucina. Non serve fare la réclame di Gesù, bisogna che gli uomini si mettano a tavola con noi e mangino le tagliatelle».