Protagonisti. Cesare Cavalleri, la critica letteraria come stile di vita
Cesare Cavalleri (1936-2022)
«I libri fatti di articoli di giornali hanno, quanto meno, il vizio intrinseco della frammentarietà: tessere talvolta anche preziose, ma che raramente si compongono in mosaico. Non è questo il caso di Letture 19672022 di Cesare Cavalleri (Ares, pagine 1.320, euro 30), che è poi la fonte della citazione, originariamente riferita a Sporchi cattolici di Valerio Volpini, direttore dell’Osservatore Romano tra il 1978 e il 1984. Un’inezia, rispetto ai record personali detenuti da Cavalleri, che fu alla guida delle Edizioni Ares dal 1965, responsabile del mensile Studi Cattolici dal 1966 e collaboratore di Avvenire fin dal primo numero, datato 4 dicembre 1968. Tutte posizioni conservate fino alla morte, avvenuta il 28 dicembre 2022, poco dopo il suo ottantaseiesimo compleanno. Il Kaiser – come affettuosamente lo chiamavano amici e colleghi – aveva vissuto la malattia con l’abbandono e la speranza del credente autentico, conquistandosi l’ammirazione anche di quanti, prima di allora, lo avevano tenuto in sospetto. Per capire le ragioni di questa diffidenza occorre addentrarsi nell’ordinato labirinto di Letture, che lo stesso Cavalleri aveva voluto allestire come un dizionario lussureggiante di rimandi e riferimenti incrociati. Nel 1998, per la prima uscita del volume, l’autore si era lasciato affiancare da Giuseppe Romano, che adesso cura l’edizione definitiva della raccolta, pressoché raddoppiata per mole e per numero di voci. I lemmi sono saliti a 611, ma questo è comunque l’esito di una selezione i cui criteri Romano illustra con partecipe esattezza nella sua prefazione. Numeri, date e statistiche non rappresentano un elemento marginale nell’esperienza critica e letteraria (meglio: di critica letteraria) riassunta in Letture. Cavalleri andava fiero della laurea in Economia e Commercio conseguita all’Università Cattolica, e più fiero ancora andava della sua indipendenza di gusto e di giudizio, che lo induceva a scelte erratiche solo in apparenza, ma profondamente motivate da una visione del mondo che necessariamente diventava visione della scrittura e della lettura. Attività, queste, entrambe da praticarsi «per vivere meglio», secondo la celebre espressione del premio Nobel Saint-John Perse – forse il prediletto fra i non pochi poeti che Cavalleri prediligeva – dalla quale era derivato, nel 2018, il titolo della lunga intervista rilasciata a Jacopo Guerriero. A dispetto delle apparenze, Letture non è una semplice collezione di recensioni, alcune delle quali indubbiamente memorabili per acutezza e severità (esemplari, in questo senso, i rilievi riservati alla produzione narrativa di Umberto Eco). Nel regesto sono inclusi scambi epistolari con autori come Giorgio Caproni e Mario Pomilio, ma anche prefazioni e, in generale, documenti che rendono conto della singolare condizione di Cavalleri come critico-editore. Il lungo saggio dedicato al Cavallo rosso di Eugenio Corti è probabilmente la testimonianza più compiuta di questa sorta di autocommento indiretto (il romanzo, com’è noto, fu pubblicato dall’Ares nel 1983). La più emblematica è invece la presentazione vergata da Cavalleri per Il libro della Passione del cileno José Miguel Ibáñez Langlois, da lui stesso tradotto nel 1990 per la casa editrice che dirigeva. Tutt’altro che ancillare, il lavoro di rendere un’opera in una lingua diversa da quella in cui è stata scritta rappresenta bene l’ideale di corpo a corpo con la letteratura che ha sempre sostenuto l’impegno di Cavalleri. E così, in un susseguirsi di riflessioni che spesso lasciano ammirati per vivacità e acume, gli episodi più sorprendenti sono quelli in cui il critico si trasforma, di nuovo, in traduttore o addirittura manipola il testo di partenza, come accade con la ricostruzione di una poesia di Nanni Balestrini. Lettore novecentesco per vocazione non meno che per anagrafe, Cavalleri ha riservato un’attenzione costante alle prove della neoavanguardia, mantenendo un misurato distacco da autori altrimenti acclamati come Mario Luzi e, tra i classici indiscutibili, Alessandro Manzoni. Eppure, nonostante tutto, lui stesso si è trovato a essere oggetto di una freddezza difficile da spiegare al di fuori di uno schema di pregiudizio ideologico. Giovanni Raboni, che lo conosceva bene e di cui Cavalleri è stato interprete assiduo, riassumeva la questione in questi termini. In Cavalleri, scriveva dunque Raboni nel 1994, si vuole vedere non il critico, ma «il censore cattolico, del quale bisogna respingere l’invadenza: equivoco che, se fosse vero, la direbbe lunga su complessi di superiorità e insieme di inferiorità di cui la cultura laica continua a essere alquanto comicamente infarcita». Anche questo brano, se non si fosse capito, appartiene al magnifico magna di Letture. Che è un libro fatto di libri, e non di frammenti. Un mosaico scintillante, nel quale ogni tessera ha l’eleganza rivelatrice di una gemma.