Agorà

L'anniversario. Giovanni Verga e lo sguardo sui vinti di oggi

Ferdinando Camon giovedì 27 gennaio 2022

Giovanni Verga

Cent’anni fa, proprio oggi, moriva Giovanni Verga. Noi che scriviamo gli dobbiamo molto. Ha cambiato il modo di scrivere la vita, e di conseguenza ha influito sulla letteratura, sul cinema, sul giornalismo. Ha inventato quello che fu chiamato il Verismo, dal quale nacque quello che fu chiamato Neorealismo. Verismo e Neorealismo sono modi di raccontare la realtà dicendo la verità, anche se la verità può offendere il lettore. Verga raccontava i vinti, e il ciclo dei suoi romanzi per cui oggi lo ricordiamo si chiama 'ciclo dei vinti'. Se sono vinti, vuol dire che hanno combattuto e hanno perso, Verga racconta questo combattimento e questa sconfitta. A suo modo, fa una letteratura epica. I Malavoglia e Mastro-don Gesualdo sono eroi. I lettori e le lettrici si commuovono e si turbano, considerano l’incontro con i personaggi di Verga un momento esaltante della loro vita.

Il Neorealismo ha introdotto questa variante, decisiva e turbante: non racconta i vinti ma gli ultimi, e gli ultimi sono i sotto- proletari schiacciati dalla borghesia della quale anche i lettori fanno parte. I narratori veristi gratificano i lettori borghesi, che reagiscono premiandoli. Giovanni Verga fu fatto senatore. I narratori neorealisti offendono i lettori borghesi, che reagiscono citandoli in processo e mandandoli in prigione. Pier Paolo Pasolini fu rinchiuso a Rebibbia. Verga diceva al lettore: ti mostro le colpe della storia borghese, sdégnati con me. Ma i neorealisti, con Pasolini in testa, dicevano: ti mostro le colpe della società borghese, di cui fai parte, quindi ti mostro le tue colpe.

Un critico letterario cattolico, che a suo tempo aveva grande autorità, Carlo Bo, si presentò al tribunale che stava condannando Pasolini come 'autore scandaloso', per dire che era invece un 'narratore moralista', descriveva il male per correggerlo. Io penso che il problema, quando si scende negli strati subalterni per pescare storie da portar su agli strati borghesi, sia il limite a cui si scende. Verga era sceso ai vinti. I vinti hanno dignità, orgoglio, onore. Sono raccontabili. Pasolini scese più giù, agli emarginati, ai non integrati, ai ladri, ai ragazzi di vita. Più tardi venne l’epoca dei disadattati, dei matti. Più tardi ancora (oggi) arriverà l’epoca degli immigrati, vengono qui da fuori del mondo, non hanno niente e han bisogno di tutto. Vengono da civiltà diverse, separate o nemiche della nostra, ma noi dovremo spartire i prodotti della nostra storia.

Verga ha abbassato lo sguardo sui vinti per mostrare la grandezza della battaglia che avevano combattuto e perduto, e farci capire che c’era dell’ingiustizia in quella sconfitta. Il grande nemico contro il quale avevano combattuto e perso era il destino, che poteva anche chiamarsi il mare. Come oggi per i migranti. C’è slancio, fede, eroismo, in questo salire a centinaia su barconi fatti per poche decine, in questo sperare di arrivare pur essendo senza benzina, senza radio e senza cibo, ma c’è anche follia. Folli quelli che annegano, folli quelli che arrivano.

Verga è il narratore mondiale della roba, della terra e della casa: i tre miti che i suoi personaggi inseguivano come folli. Sono miti borghesi, e infatti Verga è il grande narratore della borghesia. La guerra che i vinti hanno perduto è la guerra per il possesso: se hai, sei, se non hai non sei. Se non hai non puoi amare, non puoi vivere. Finché non hai, muori un po’ ogni giorno. Quelli che vengono qui rischiando la vita sul mare, vengono per smettere di morire.