La storia scritta dai figli non è mai la migliore premessa per una ricostruzione obiettiva delle opere dei padri, o almeno per allontanare nel lettore i sospetti di parzialità. Ciò non significa tuttavia che il volume Operazione «Armi ai partigiani» , appena stampato dalla calabrese Rubbettino (pp. 190, euro 14), non abbia i suoi meriti. Per esempio nella divulgazione di documenti inediti e informazioni interessanti sulla cosiddetta «Repubblica di Caulonia»: l’anomalo e brevissimo (durò solo 5 giorni) esperimento di «repubblica partigiana» che nel marzo 1945 interessò la cittadina in provincia di Reggio Calabria. L’autore? Alessandro Cavallaro, appunto il più giovane figlio di Pasquale, protagonista incontrastato di un episodio che fece gridare – da una parte – al socialismo finalmente realizzato in Italia e – dall’altra – al bolscevismo sbarcato sulla punta dello Stivale. Le novità su cui Cavallaro junior punta per una rivoluzionaria ricomprensione storica di quella minuscola e originale «comune» sorta nel Mezzogiorno sono già espresse in copertina: le «armi ai partigiani », appunto, e «i segreti del Pci». Due elementi che, equamente distribuendo tra destra e sinistra colpe e ipocrisie, farebbero stagliare la figura del Cavallaro padre come quella di un solitario e disinteressato eroe (o forse vittima) schiacciato tra i contrapposti giganteschi schieramenti. Pasquale, in realtà, è un personaggio arduo da decifrare al di fuori di alcune categorie dell’atavico ribellismo meridionale: disertore nella Grande Guerra ma per questioni d’orgoglio, uomo d’azione inesausta e nello stesso tempo maestro dalla scrittura ampollosa, antifascista anche perché oppositore del sistema feudale dei latifondisti, comunista ma alleato degli Alleati... Nel luglio 1942 Cavallaro – leader del locale movimento clandestino di opposizione al regime – venne infatti contattato dai servizi segreti Usa per occuparsi dello sbarco notturno e del trasporto di armi destinate ai partigiani del Nord. Fu probabilmente per tale attività che l’uomo, dopo l’arrivo dei liberatori in Calabria nel settembre 1943, ricevette il be- nestare alleato a diventare sindaco di Caulonia, nonostante fosse comunista. Ma intanto parecchi di quei mitra erano rimasti al Sud e il 5 marzo 1944 spuntarono al collo delle improvvisate milizie della nuova «Repubblica». La quale – a dar retta alla ricostruzione di Alessandro Cavallaro – sarebbe stata un’iniziativa spontanea, non voluta dal padre, e tuttavia diede spunto ad attività che a qualche superiore direttiva dovevano pur obbedire: dal giacobino «tribunale del popolo», riunito in pianta stabile a giudicare i fascisti (e i possidenti) locali, al sequestro dei carabinieri nella locale stazione, all’uccisione del parroco – a detta dell’autore accidentale e dovuta a rancori personali. Almeno in questa parte, insomma, la descrizione risulta piuttosto «innocentista» nei confronti del suo principale attore. Il merito dello storico va però cercato altrove, e cioè nella segnalazione di un secondo aspetto finora sottaciuto: i rapporti tra Cavallaro e il Pci, o meglio la solitudine in cui le strutture e i dirigenti comunisti lasciarono il militante in quei momenti di difficili scelte, «scaricandolo» poi anche all’epoca del processo celebrato contro di lui nel 1947. Il leader calabrese vi fu condannato a 8 anni, al termine dei quali – tra risarcimenti in denaro (poco) e richiami all’ideale – Umberto Terracini riuscì a convincerlo a tenere la bocca cucita sui trascorsi piani segreti del partito: «Se i compagni – gli scrisse infatti il politico comunista in una lettera del 1953, inedita e pubblicata ora nel volume – si sono armati sottraendo parte delle armi che dovevano arrivare ai partigiani, all’epoca è stato giusto. Non si poteva sapere come sarebbero andate a finire le cose». La rivolta di Caulonia dunque, secondo il figlio, sarebbe stata opera di «quel movimento armato che Cavallaro aveva organizzato per ordine del partito comunista», il quale però (dopo essersene assunto per breve tempo la responsabilità attraverso i suoi dirigenti provinciali) giustificò la repressione e abbandonò il sindaco «a se stesso, permettendo persino che gli si gettasse addosso l’accusa di mandante dell’assassinio del parroco»; infatti «il partito si era piegato alla 'necessità' di sacrificare Cavallaro e tutto il movimento per dimostrare ai partiti borghesi che il Pci era affidabile... ed era pronto a sedersi con loro attorno a un tavolo per risolvere pacificamente i problemi del Paese». Insomma, «Cavallaro era diventato scomodo... sapeva molte cose», tra cui le responsabilità del partito negli omicidi di alcuni fascisti e agrari, e perciò «qualcuno aveva bisogno che Pasquale sparisse dalla circolazione per un bel po’ di tempo. I comunisti o gli americani? O, forse, tutti e due insieme? Entrambi avevano molto da nascondere». Una cassa di documenti sequestrata; le frequenti visite che i pezzi grossi del partito (da Secchia a Pajetta) facevano periodicamente all’ex compagno, morto nel 1973; un documentario Rai girato nel 1990 sulla «repubblica di Caulonia» e mai andato in onda... Sembrano altrettanti indizi rafforzativi dell’esistenza di un possibile segreto che comunque, «per tener fede alla grande fede » (come aveva scritto una volta a Togliatti), Cavallaro non tradì mai.